LIBRO PRIMO - Primo capitolo

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LIBRO PRIMO

ARRIVO IN GIAPPONE





не забывай меня.

Non dimenticarti di me.





Primo Capitolo





«Watashi na... Ahhhh!» Mia madre sospira, poggiando rassegnata una mano sulla fronte. Nelle fievoli rughe che le circondano gli occhi posso leggere tanta frustrazione.

E' da quasi tre ore che siamo in viaggio e, essendo quello su cui siamo un volo diretto a Tokyo, non atterreremo prima di... beh, a dire la verità non so quanto. Non mi sono informata prima di andarmene, troppo presa a salutare le mie amiche. E' vero che ci sono abituata, a cambiare casa continuamente intendo, ma questa volta sto volando davvero, davvero lontano dal mio posto felice. Mi chiedo se mai riuscirò a rimetterci piede per più di due settimane.

Intanto, l'unica cosa su ci devo concentrarmi ora è ricordarmi le frasi imparate nel corso degli ultimi mesi. Se conosco la lingua posso iniziare al meglio questa nuova esperienza, o almeno spero.

«Watashi wa», io sono, «E' "wa" non "na", mamma.» Poggio le dita sul dorso della sua mano e lei sorride, con gli occhi lucidi per la stanchezza. «Watashi wa Miele desu.» Lei fa scorrere l'arto lontano dal mio e mi accarezza una guancia, poi la testa e infine se ne torna a guardare il seggiolino che ha davanti.

Sono consapevole della difficoltà di mia madre nell'imparare questa lingua. Lei fa la traduttrice, come papà, e per lavoro vengono spostati costantemente da un continente all'altro. Io mi muovo con loro, anche se per la maggior parte del tempo uno dei due è sempre lontano dall'attuale casa dell'altro. Questa volta tocca alla mamma. Lei mi accompagna fino a Tokyo, dove papà ha preso una casa, e resta con noi poche settimane -giusto per accertarsi che sia tutto ok, che io mi trovi bene e che papà impari a cucinare da solo visto che è la prima volta che non abiterà in un qualche hotel - poi riparte, se ne va in Africa. 

Ieri sera mi ha detto che sarebbe voluta restare con me e papà in Giappone, nonostante a lei non piaccia il pesce e la lingua le risulti -stranamente- difficile (dico stranamente perché mio nonno paterno era giapponese, ma questo non l'ha aiutata a imparare più facilmente, anzi. Lei ripete sempre che il suo sguardo la terrorizzava, perciò non si è mai applicata molto: sperava di non vederlo troppo presto). Tutta via, non ho insistito affinché ciò diventasse reale. Non fraintendetemi, non voglio che pensiate che sono felice del fatto che mia madre sia dall'altra parte del mondo rispetto a me, però sono a conoscenza dell'importanza di questo lavoro. Sono abbastanza sveglia per avere solo quattordici anni.

«Watashi wa» ripete silenziosamente la mamma, prima di tirare giù la sua mascherina ed esternarsi dal mondo con una bella dormita.

Guardo ciò che si estende fuori dal finestrino. Nuvole. Ecco da cosa siamo circondate al momento: nuvole e cielo. Una distesa infinita di amassi pallidi dalle forme più svariate. E' una visione rilassante e, al contempo, terrificante. L'infinito mi spaventa da sempre e pensare di esserci immersa mi rende inquieta.

Dentro il mio stomaco qualcosa si muove. Non è ne fame ne tristezza e, tanto meno, paura. Credo che ciò che stia scalciando nella mia pancia sia un prospetto d'ansia. Ansia, cara amica fedele che non mi ha mai abbandonato da un anno a questa parte. La detesto. Sul serio, non ne posso più di portarmela appresso; ma lei fa parte del gioco, no? Senza la sua presenza non sarei in grado di capire se sto facendo una cosa nuova oppure no. Trasferirmi non è una novità, ma vivere con mio padre e sua madre d'ora in poi lo sarà. Non avrò più la mia mamma accanto per tanto, tanto tempo e la cosa mi spaventa da morire, ma l'ansia che accompagna tutto ciò mi fa capire che una volta che se ne sarà andata, scomparendo momentaneamente, allora io sarò cresciuta, anche solo di poco.

Stringo il libro pieno di appunti sul Giappone al petto, sospirando nervosa e vogliosa di scoprire quello che mi attende a terra.

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