Sesto capitolo

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LIBRO PRIMO

ARRIVO IN GIAPPONE


не забывай меня.

Non dimenticarti di me.


Sesto capitolo





Non mi sono mai sentita più a mio agio in un bagno che adesso, strano ma vero. Chiusa dentro una toilette scolastica ho l'impressione di poter fuggire da uno dei miei incubi peggiori più recenti: Satsuki Momoi. Per precisare meglio la situazione dovrei affermare che non scappo da lei perché è lei, lo faccio a causa del mostro interiore che prende il suo posto in questo determinato giorno dell'anno.

San Valentino. Ecco, avete presente l'immagine del ragazzo che si dichiara alla ragazza che gli piace, magari con un mazzo di rose in una mano e il peluche in un'altra? Dimenticatevela. Trascinatela in un cantone della vostra mente con un bulldozer immaginario perché in Giappone sono le ragazze a dichiararsi ai ragazzi regalandogli cioccolata.  Imbarazzante, ecco il primo pensiero che ha attraversato la mia mente l'anno scorso quando l'ho scoperto. Ci deve volere un coraggio dell'anima.

Momoi è una di quelle giovani quindicenni innamorate dell'idea dell'amore stesso; credo sia una di quelle che si concentra molto sullo studio ma che intanto fantastica con la mente su come il ragazzo che le piace possa comparire dal nulla e iniziare una specie di correlazione con lei. E sinceramente non vi è nulla di strano, se non fosse che il quattordici febbraio -giorno funesto- il suo "Io" animalesco la percuote e riesce a impossessarsi del suo corpo prosperoso convincendomi ad agire come se fosse una grandissima sconosciuta.

Dico così perché l'anno scorso, per poco, non mi ha convinta ha regalare della cioccolata ad Aomine; e avrei anche potuta farcela, se l'apparizione di quel gigante di Murasakibara non mi avesse spaventata a morte mentre si chinava a raccogliere il cioccolato dal sacchetto. Se quest'anno la tipa pensa che io ci possa ricascare si sbaglia di brutto.

Evidentemente il mio destino non è quello di far capire ad Aomine che, molto probabilmente, lui mi piace. Sentire un buco nello stomaco quando sorride all'improvviso non per forza vuol dire che io ne sia innamorata. Forse ne sono cotta, ma vi è una bella differenza fra i due sentimenti. No?

Stringo le maniche del maglioncino fra le dita, tirando la stoffa verso il basso, e trattengo il respiro mentre salgo sul gabinetto per nascondere i miei piedi alla vista di Satsuki che, me lo sento nella pancia, è appena entrata in bagno.

«Mel-chan, lo so che sei qui'» mi richiama quasi maleficamente,  utilizzando la storpiatura del mio nome. Trattengo il fiato, ma so benissimo che lei sa che sono qui. Maledetta abitudine.

Sento che apre di colpo la porta di uno dei bagni, esclamando un «TROVATA!» a vuoto; poi mugola, cammina un poco e spalanca la seconda porta. Alzo gli occhi al cielo, non posso fare altro. Lei è così maledettamente prevedibile, o forse persino più di me.

Aspetto che apra la porta accanto alla mia prima di scavalcare la parete divisoria e sgattaiolarle alle spalle.  Esco dal bagno e, fortunatamente, riesco a far intercorrere fra noi una notevole distanza. La cosa mi rilassa particolarmente. E' rassicurante sapere che la fragolina mi starà lontana per qualche altro minuto ancora; anche perché oggi non ho alcuna intenzione di spendere il mio tempo a regalare cioccolatini. Li mangerei volentieri, questo si, ma non riuscirei a darli in pegno al ragazzo di cui mi sono irrimediabilmente invaghita.

Non riuscirei a farlo per un buon motivo: lui è innamorato della sua migliore amica che, beh, l'avrete già intuito, non sono io.  E' un po' la classica botta di culo che viene rifilata a tutti gli adolescenti: trovi quello che ti prende, lo stesso che quando ti sorride fa volare le farfalle nel tuo stomaco e permette alla tua mente di creare ottocento-venticinquemila-seicento-ventiquattro film mentali ma che, ehi, è cotto di un'altra. Bella merda. Quando si dice che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi non ci si riferisce soltanto alla fortuna, guarda caso bendata.

Continuo a camminare tranquilla per i corridoi liberi, la maggior parte dei ragazzi è già rientrata a casa; rimangono nell'istituto solo i club e qualche altro studente che ha deciso di restare a ripassare nell'istituto. Ormai è tardi, me ne rendo conto dai raggi del sole che si sono fatti più bassi e lunghi sul pavimento, è ora che vada a casa. Perciò, mi rifugio in aula e afferro la cartella, ma qualcosa mi blocca.

La voce di Momoi in corridoio. Avrei dovuto saperlo che non si sarebbe arresa tanto facilmente. Dannazione a me.

Carico in spalla la cartella e mi guardo velocemente attorno. Sono al  piano terra, saltare dalla finestra non dovrebbe comportare lesioni gravi né a me né alla mia divisa: può essere una cosa fattibile. Mi affretto ad aprire le imposte e ho già un piede sul cornicione quando la sento: l'aura prepotente e invadente della manager della squadra di basket maschile della Teiko.

«Trovata.» I suoi occhi s'infiammano mentre si richiude la porta alle spalle e la blocca. «Cercavi di ignorarmi, Ao-chan? Sei crudele.»

Rido istericamente, colta alla sprovvista. Per me si avvicina la fine. «Cosa stai dicendo, Satsuki? Non ti eviterei mai, io.» Signore, mi sto arrampicando sugli specchi come farebbe un ladro colto in fragrante.  Guardo il cortile che si estende sotto di me e poi nuovamente la giovane che si avvicina guardinga fra i banchi. Ho stranamente paura delle occhiate che mi rivolge mentre io salgo di più sulla finestra. «Guarda, ora perché devo andare ma ti prometto che prima o poi ti accompagno agli allenamenti», la blocco prima che possa anche solo prendere fiato, «ma non darò cioccolatini a nessuno. Ciao Satsuki!» Salto giù, toccando quasi subito il pavimento.

«Miele!» protesta lei, affacciandosi con uno slancio. «Miele, sei crudele!»

«Mi farò perdonare, lo giuro!» Svolto l'angolo e scompaio dalla sua visuale, aumentando l'andatura per quanto il peso che mi porto appresso me lo permette. Non si sa mai che quella scapestrata cambi idea da un momento all'altro e mi mandi a raccattare da qualcuno dei ragazzi della squadra. So che sarebbe in grado di farlo, ci ha già provato più volte.

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