Capitolo X Alexander

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Alexander si trovava circondato da tutte quelle facce che non conosceva.
Intravide Talia al tavolo delle cacciatrici, ma lei non lo curò di uno sguardo. Johanna Abbot, la sorella di Percy lo salutò e si incamminò verso di lui per parargli, ma il fratello la richiamò e la fece sedere al tavolo tre, dove la bambina passò la serata a guardare il suo piatto corrucciata.
Dopo una giornata intera, pochi tavoli dal suo, vide la ragazza che Nico gli aveva chiesto di salvare, Cassandra.
Avrebbe voluto andare al suo tavolo per parlare, ma intuì che non poteva cenare al tavolo degli altri semidei.
Alexander si sedette in un angolo del tavolo e mangiò velocemente tutto il pollo, prima che uno dei suoi "fratelli" lo potesse derubare.
-Indeterminato!- lo chiamò Emily Spencer, la ragazza che gli aveva " procurato" la roba che gli serviva per la sera.
-Non sono...io...fratelli...- farfugliò Alexander. Talia aveva detto di non dare nell' occhio, di mischiarsi con loro, ma se rimaneva noto come "Indeterminato" non ci sarebbe mai riuscito.
La ragazza sbuffò e lo prese per un braccio –Andiamo a bruciare delle offerte agli dei, prendi qualcosa dal tuo piatto-
Alexander afferrò un pezzo di pane mezzo mangiato e corse dietro alla ragazza verso il fuoco.
I ragazzi d'avanti a lui bruciarono gustosi petti di pollo e frutta dall'aspetto invitante pronunciando il nome del proprio genitore divino o facendo una preghiera silenziosa.
Il formaggio di Emily sfrigolò e scomparve nel falò e la ragazza si allontanò dopo aver ringraziato il padre.
Alexander gettò il pane.
"Grazie papà...chiunque tu sia per quello che non hai fatto...cioè non avermi riconosciuto...lascia perdere" sospirò.
Avrebbe dovuto ringraziare anche Ermes, padre degli abitanti della casa 11, ma si sarebbe sentito un ipocrita a farlo.
Non si sentiva accettato nella casa 11, si sentiva furori posto e spaventato dai fratelli.
"Loro non sono tuoi fratelli, Alexander" si ripeté.
Si riunirono intorno al falò ad arrostire marshmallow e a cantare canzoni da campeggio.
Alexander si sentì un po' più vicino agli altri, ma durò poco, forse neanche il tempo di una canzone.
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Lui era tornato nella casa prima dei fratelli. Aveva sperato che Talia, vedendolo andare da solo, decidesse di seguirlo e parlargli, ma probabilmente le regole delle Cacciatrici glielo impedivano, o forse quella che lui considerava la sua unica amica in realtà vedeva lui come un compito da svolgere e magari già risolto.
Si sedette di malumore sul bordo del letto a riflettere.
Avrebbe chiesto volentieri ad Hazel Lavesque, che aveva capito essere pretore ( la più alta carica del Campo Giove) assieme al fidanzato Frank, che però era rimasto al Campo, se poteva portarlo via con lei e sottrarlo al controllo di Percy, ma non ne aveva il coraggio, dopo che aveva capito che il fratello era morto per salvarlo.
Dopo qualche minuto anche il resto della casa era tornata, prima che lui si potesse mettere il pigiama, quindi dovette aspettare tutto il giro per avere il turno in bagno.
Emily era la penultima, prima di lui, e stava aspettando saltellando fuori dalla porta, chiamando la ragazza che lo stava occupando.
Alexander si sentì rivoltare lo stomaco al solo pensiero di dover usare il bagno dopo quella trentina di persone.
Ovviamente gli ospiti erano stati fatti cambiare per primi, cosa che demoralizzò ancora di più Alexander: era già abbastanza rivoltante doverci entrare dopo i suoi ordinati fratelli greci, ma i romani erano ancora peggio.
Alexander premette la faccia sul cuscino, cercando di isolarsi da tutto quel rumore.
Più della metà dei suoi fratelli erano seduti nel centro della sala a cantare come di fronte al fuoco e a farsi degli scherzi, a ridere, o a raccontarsi storie.
Gli altri mettevano a posto la propria roba. "O controllano cosa gli anno rubato oggi" pensò acido Alexander, mentre si univano ai canti o alle risa di tanto in tanto, o gettando un urlo diretto a qualcun altro dall' altra parte della casa. Alexander era convinto che, se avesse controllato, tutti stava ridendo o minimo sorridendo intorno a lui, cosa che trovava molto irritante.
Alzò la testa, ma un cuscino volante lo colpì sulla nuca.
Qualcuno corse a riprenderselo, scusandosi ridendo con Alexander, ma la cosa prese subito una brutta piega.
Prima che Alexander potesse ripararsi sotto il proprio letto una pioggia di cuscini si riversò in ogni angolo della casa.
Alexander era abbastanza sicuro che gli abitanti delle case circostanze fossero abituati a tutto quel fracasso, perché nessuno venne a protestare.
Alexander era ancora nascosto sotto il materasso quando tutti si fermarono.
Un brivido gli percorse la schiena, e si chiese se fosse saggio uscire dal nascondiglio.
Rotolò quel tanto che bastava per vedere il centro della sala e il suo cuore si fermò.
Non aveva mai visto quell'uomo, ma qualcosa gli suggeriva che erano guai: nessuno poteva zittire la casa 11 al completo.
Con il cuore in gola si mise in piedi, mossa sbagliata. Tutti in torno a lui si erano inginocchiati, Romani compresi, anche se con un'espressione abbastanza irritata.
Si chinò velocemente, cercando di nascondersi dietro al proprio letto, pensando che era stato abbastanza fortunato ad averne uno.
-Alzatevi- gli invitò l'uomo, come se fosse una cosa di scarsa importanza.
Tutti lo fecero, tutti tranne Alexander.
La sua mente cominciava a capire chi fosse, praticamente la persona che meno voleva vedere dopo Percy o suo padre, almeno in quel momento.
Gli lanciò un'occhiata da dietro al letto.
Era vestito come un maratoneta e aveva un'inquietante somiglianza con i semidei greci, e anche un po' con quelli romani.
Emily si avvicinò dalla porta del bagno.
Portava i pantaloni del pigiama e la maglietta del Campo, come se si fosse cambiata solo a metà.
-Padre- esordì la ragazza. Il cuore di Alexander fece una capriola appurando che i suoi dubbi erano fondati e si fece ancora più piccolo dietro il materasso –emh...-continuò la ragazza, evidentemente maledicendo mentalmente l' ultimo idiota capogruppo che si era fatto uccidere in chissà quale missione salva-mondo mettendola nella situazione di parlare con un dio con i pantaloni del pigiama –Non che non siamo felici di vederti il fatto è che...ecco...non si vedono molti dei al Campo, e alcuni meno di altri...-dal tono di Emily si leggeva una punta di risentimento, che riuscì quasi subito a soffocare –Stamane è venuto Apollo, e ora tu...credo che tutti ci stiamo chiedendo se è successo qualcosa di allarmante-
"Eccome" pensò Alexander, ma immaginò che un commento come quello non sarebbe stato in linea con il suo "basso profilo".
-No, niente di cui preoccuparsi, credo che entrambi siamo venuti qui solo per delle visite di piacere ai nostri figli- rispose il dio.
Alexander sentì una risata di scherno alzarsi dalla parte riservata ai romani, ma nessuno ci fece caso.
-oh-commentò Emily, che evidentemente era rimasta senza parole o che magari non riteneva necessario sprecarne altre.
-In realtà volevo parlare con uno di voi in particolare. Alexander Johnson- aggiunse.
Alexander pensò seriamente di alzarsi e scappare dalla porta, che era abbastanza vicina, o meglio di non alzarsi proprio, ma qualcosa gli diceva che era meglio non fare lo stupido. Talia aveva calcolato che le probabilità di non essere fulminati da Ermes erano circa il 20%, non aveva mica detto 100%.
Con le gambe molli si alzò da dietro al letto e avanzò verso il centro della casa.
-Ma è un Indeterminato- disse qualcuno, senza cercare di mascherare il commento in maniera garbata.
Alexander non lo poteva biasimare. Oltre ad essere spaventato a morte di essere scoperto (cosa che era certamente già accaduta) si sentiva anche in colpa ad essere stato chiamato al posto loro, da quello che aveva sentito molti di loro avevano visto il padre una volta sola in vita loro, o anche mai, e dovevano trovare parecchio ingiusto che un indeterminato li rubasse l'unica possibilità di parlargli verosimilmente per anni.
"Un indeterminato che li odia, per giunta, anche se loro non lo sanno" precisò Alexander.
-Sciocchezze- disse Ermes –pensavo che il capo delle Cacciatrici, Talia Grace, avesse provveduto a sistemare la questione. Alexander ha diritto a rimanere finché lo desidera, da ora questa è casa sua-
Al ragazzo non sfuggì la sottigliezza. Aveva detto che poteva rimanere, non che era stato riconosciuto.
Il dio salutò i suoi figli, che riposero con diversi gradi di entusiasmo e lo condusse fuori, sul retro, dove lo aveva portato anche Talia.
-Pad...-tentò Alexander, ma l'altro lo fermò.
-Lo so che non appartieni alla casa 11. In realtà sono qui per portarti un messaggio da parte di tuo padre-
Alexander non riuscì a trattenersi –Chi è mio padre?-
Il dio lo squadrò un istante, come per decidere se era il caso o meno di punirlo per la sua sfrontatezza – Non posso dirlo- concluse.
Alexander stava ancora cercando di capire se Ermes lo odiava oppure no, ma alla fine optò per il no.
Nonostante lo guardasse come se fosse tentato di fulminarlo seduta stante non aveva rivelato il suo segreto ai suoi compagni di casa e gli aveva addirittura permesso di rimanervi, annunciando praticamente d' avanti a trenta persone che lo aveva riconosciuto per non dare a Percy la possibilità di smentire Talia, anche se Alexander iniziò a rivalutare le parole che aveva usato d' avanti ai figli. Non aveva detto chiaro e tondo che era loro fratello, anche perché sarebbe stata una bugia, cosa che "ovviamente" non avrebbe mai detto, o almeno era quello che Alexander aveva pensato all'inizio, ma ripensandoci aveva capito che non aveva mai annunciato di essere suo padre, ma solo che gli dava il diritto di dormire nella casa 11 e che doveva essere stata Talia a riferirlo, così, se mai le cose si fossero messe male, lui avrebbe potuto sempre dire che Talia aveva interpretato male gli ordini e lui non aveva mai riconosciuto un semidio figlio di un' altra divinità.
-Dice che dovrai farti assegnare una missione da Rachel Dare e che poi dovrai seguire gli aiuti di un vecchio amico... messaggio consegnato, addio- disse Ermes.
-Aspetti- Alexander si morse il labbro, pentito di quello che aveva appena fatto.
Il cellulare del dio squillò, mentre Alexander rifletteva su quello che voleva dire.
-Non ho tutto il giorno- si lamentò l'altro indicando il telefono.
-Certo, volevo solo ringraziarla per aver portato il messaggio da mio padre e per avermi fatto rimanere nella sua casa. Non so ancora come, ma mi ha salvato la vita, immagino-
Alexander lo disse tutto ad un fiato, anche se alcune di quelle parole gli costarono molta fatica.
-Portare messaggi è il mio lavoro- disse Ermes, guardandolo freddamente, un secondo dopo era scomparso.
Alexander non capì cosa volesse dire, ma di certo non stava esprimendo molta felicità per averlo fatto rimanere nella casa 11.
Ripensò alle sue deduzioni in merito a Talia e sentì una fitta al cuore. Quella ragazza era stata la prima ad aiutarlo dopo Nico e lui l'aveva messa in pericolo così. Era stato stupido e si sentiva in colpa.
Rimase seduto fuori a pensare, riflettendo anche sugli dei. Alexander non poteva credere che Ermes avesse fatto tutta quella strada solo per portare un messaggio a lui, e che non avesse trovato il tempo di scambiare più di due frasi con i suoi poco civili ospiti, che non avesse trovato il tempo di farsi vivo qualche volta con loro, nelle loro vite. No, a quest' ultima cosa riusciva a crederci. Neanche suo padre si era mai fatto vivo, ma almeno aveva trovato una scusa convincente.
Tornò piano verso la sua casa, ma qualcosa lo distrasse.

Alexander & Cassandra e gli Dei dell'Olimpo- La Statua della LibertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora