Gesuiti su marte

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Prima prova della fase a gironi del Write_Club 2016. Non so se riuscirò a sottoporre me stesso a tutte le prove con cui torturiamo i concorrenti (sono volontari, sia chiaro!), ma provarci mi sembra un esercizio degno.

Vincoli: 2000 parole
CHI: un anziano gesuita
DOVE: su Marte
COME: genere fantascientifico distopico


Uno spazzino, questo sono, ma la spazzatura che raccogliamo è fondamentale per la nostra sopravvivenza. La mia squadra recupera materiali ferrosi. Demoliamo satelliti in avaria e navi da guerra alla deriva e portiamo a casa tutto quello che può servire.

Di ritorno dall'orbita del nostro pianeta malato mi giro a fissarlo dal finestrino della nave. Gli oceani sono una distesa putrida di colori che variano dal verde al marrone, secondo le correnti, con le bianche isole di schiuma e di spazzatura che ruotano pigramente. La terra è arsa, gialla e rossa dall'equatore fino al circolo polare, spazzata da tempeste di sabbia.

Si narra che un tempo Marte fosse un giardino, poi le due Guerre con i maledetti Terrestri lo devastarono. Io nacqui fra le due guerre, nel duecentosessantaquattro. Ricacciammo i Terresti da dove erano venuti. Non sono più tornati.

La nave atterra al Molo Sette, casa. Mentre iniziano lo scarico dei materiali, posso andare a darmi una ripulita. Arrivato in camera premo il pulsante rosso di sblocco della tuta. Si suda maledettamente in una tuta spaziale. Getto maglia, pantaloni e calzini nel condotto per la lavanderia e premo il pulsante col quadrato per avviare il lavaggio. Mi infilo nel cubicolo per la doccia. Rosso, acqua calda. Trenta secondi, non fai neppure a tempo a godertela, ma queste sono le regole.

In una antica nave terrestre ho trovato quella cosa che il vecchio mi chiedeva da mesi. Non ho idea a cosa possa servigli quell'oggetto. L'ho passato al rilevatore: materiale organico in superficie, cellulosa all'interno. Materiali inutili, non mi sento più di tanto in colpa per averli trafugati.

Infilo degli abiti puliti e tiro fuori dallo zaino il pacchetto. Non è in buono stato, ma il vecchio ci teneva tanto, me l'aveva descritto minuziosamente. L'infilo nella tasca della felpa ed esco in corridoio. La stanza del vecchio è vicina alla mia.

Premo il pulsante verde e la porta si apre subito.

"L'hai trovato?" mi chiede subito dalla sua poltrona fluttuante.

"Credo di sì. È questo che volevi?" chiedo estraendo dalla tasca l'oggetto.

Le folte sopracciglia bianche si sollevano lasciando vedere due pallidi occhi azzurri sgranati. La luce che lo illumina dall'alto mette impietosamente in evidenza le vene che percorrono la pelle del cranio, sottile come un velo. La bocca ormai priva di denti rimane spalancata in una muta espressione di stupore quasi fanciullesco.

Protende le mani: "Aiutami ad alzarmi, te ne prego."

Io lo afferro sotto le braccia, stringendo il tessuto di quella lugubre tunica nera che indossa da sempre, e lo aiuto.

"Dammelo, voglio toccarlo."

Gli porgo l'oggetto e lui lo afferra con le mani nodose e sottili, ridotte ad artigli.

"Oh, Gesù, ti ringrazio. Radhel, tu mi ridai la vita. Questo è il più prezioso di tutti."

L'osserva e lo rigira nelle mani, poi la passa sulla manica dell'abito cercando di rimuovere l'onnipresente polvere. Con mia grande sorpresa ad un certo punto l'apre a metà. Accidenti, non avevo neanche pensato che si potesse aprire! L'interno è tutto pieno di macchiette nere in file ordinate. Il vecchio passa il dito sottile sulla superficie e mormora qualcosa. Dopo poco chiude di botto l'oggetto.

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