/3/ -Warrior?-

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"Era quello che ti insegnavano dalla gioventù.

O muori per la patria e muori da eroe o ti salvi e muori da mostro.

E la cosa andava avanti, inesorabile, piano piano. Una piccola idea che impiantata nel cervello cresceva fino a cambiare radicalmente la vita di un uomo.

E si subiva, ovvio. O obbedivi e partivi per la guerra una volta pronto o venivi torturato psicologicamente, diventando lo zimbello egocentrico di turno.

Era un addestramento pesante e stancante, potevi considerarti sempre più morto ogni giorno che passava.
Un esercito di schiavi massacrati dall'allenamento e dal dolore, pronti ad aggrapparsi a qualsiasi cosa li venisse data.

Eravamo così, quasi tutti. Ci prendavamo bastonate sulle ginocchia e a secchiate d'acqua gelida a novembre. Nonostante tutto, riuscivamo a resistere e a lavorare.
Perchè nessuno si ribellava?
Perchè tutti se ne stavano zitti pure convinti che fosse giusto cosí?

Per quella fottutissima idea impiantata nella testa. Erano ormai anni che nessuno si opponeva veramente al dolore, semplicemenre perchè non lo ritenevano giusto.

E cosí nasceva il patriottismo.

<Il nostro paese vi sta preparando per affrontare il vero nemico! Fidatevi di lui, fidatevi della bandiera!>

Urlava il nostro generale, levando grida di consenso da tutta la platea.
E la cosa era orribile, perchè costringeva anche chi era contro, come me e Lucas, a urlare si con i pugni levati al cielo. E noi no, non lo volevamo.

La foto attaccata al muro della sala grande sovrastava la stanza. Il dittatore era stato ritratto nella posa più virile che aveva, come se la sua figura fosse qua, onnipresente.
Ed era questa l'immagine che doveva dare, anche se non lo diceva apertamente.
Più volte io e Lucas ci provavamk e più volte fallivamo. Nessuno voleva capire la verità su quello stronzo che aveva solo avuto la fortuna sfacciata di possedere la cattedra del mondo.
Tutti lo seguivano a ruota, come se dalle sue labbra pendesse solo verità.

Dichiarammo guerra a più di dieci stati in soli due anni.

Io e Lucas, ahimè, ci avevamo provato fino alla fine ma, come dicevo prima, senza alcun risultato. Eravamo partiti per il fronte anche noi.

Durante il viaggio ci siamo resi conto di come fosse crudo quel governo.

Avevamo il massimo del comfort.
Tutta la truppa aveva accesso ad un buffet sulla nave, a dei bagni puliti e a servizi che non si potevano neanche immaginare dopo anni in caserma.

Ma, mentre tutti si godevano il lusso, io e Lucas sospettavamo qualcosa. Perchè, da una sottospecie di priogione in cui venivamo trattati da servi, qua venivamo trattati da dei?

E non ci servì molto tempo per capirlo.

"Salvare le apparenze"

Perchè per i media vederci partire su un peschereccio scassato era mebo caritatevole del vederci partire nel comfort. Se fosse venuto fuori quello che facevano su di noi, il capo sarebbe caduto subito.

E al nostro caro capo le apparenze servivano, altrochè.
Comunque, anche se odiavamo questa cosa eravamo costretti ad accettarla.

In guerra persi Lucas, pochi giorni dopo lo sbarco.

Continuai a combattere, confidando in una fine e pregando per lui.

Due anni dopo il mio arrivo, la guerra cessò e il dittatore venne spodestato.
Io tornai a casa sano e salvo, con soltanto qualche taglio ma con l'orgoglio aggiustato.
Laggiù conobbi le persone che cambiarono la mia vita, sia in senso positivo che negativo.
La guerra ti cambia, sia interiormente che socialmente, ti costringe ad una nuova vita con nuova gente.
E non mi sono pentito di nessuna scelta fatta, mai.

Per quanto però l'Alzhaimer possa farmi dimenticare la storia, comunque, non mi dimenticherò mai del suo nome.

Quel presidente che aveva buttato giù l'America, uccidendo milioni di persone.

Donald J. Trump, sei stato felice della tua nuova nazione?"

Tratto dal New York Times,
9 novembre 2099

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