Giulia, 22 anni, (quasi) infermiera

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Mi chiamo Giulia. Sono una ragazza come altre, senza alcune pretesa di essere migliore o peggiore di molte, fermamente convinta di poter arricchirsi, ma anche di poter perdere molto, perchè nella vita non si sa mai.
Nel mio paese la maggior parte dei ragazzi guarda solo quelle belle fuori,  quelle che escono in minigonna e tacchi o con quei vestiti che evidenziano le forme, gli stessi che piacciono anche a me, ma se li mettessi, farei una figura pessima. I ragazzi dalle mie parti sono molto spesso ciechi e le ragazze stupide: non pensano, si omologano e credono che sia "cool" trattare male coloro, maschi o femmine che siano, che incontrano per strada o, nel caso di individui di sesso maschile, dimostrano loro interesse, ma non sono abbastanza belli da rispondere ai loro canoni estetici di perfezione. Se non hai muscoli e un bel viso, non funzioni; analogamente se non sei abbastanza sexy e superficiale, non vali molto. Beh, ecco, io non sono così. A me piace passeggiare in tuta, non importa se in riva al mare o lungo una strada trafficata, basta muoversi. Mentre gironzolo senza meta e senza scopo, mi piace fantasticare e osservare: guardo le nuvole, i volti di chi guida le auto, timoroso di arrivare in ritardo a un appuntamento o rilassato e felice per un bell'incontro con qualche amico; mi piace dire 'grazie' se un anziano mi fa spazio, affinché io possa sorpassarlo lungo il marciapiede e sorridere a un bambino che fa lo stesso con me. Magari poi succede che arrivo al parco, dopo un giro più o meno lungo, mi siedo su una di quelle vecchie panchine verdi scrostate e inizio a leggere oppure guardo i cani giocare e, se uno, con vivacità e la coda scodinzolante, si avvicina a me lo accarezzo come se fosse mio. In realtà non ho nessun cane e neppure un gatto, ma trovo che ogni motivo sia buono per offrire un gesto di dolcezza e proferire una parola gentile. Per questo ho deciso di fare l'infermiera e ora sto studiando: voglio fare del bene e aiutare chi ne ha bisogno. Nelle notti di studio, spesso immagino già come sarà la mia vita da lavoratrice, anche se è già da qualche anno che mi do da fare: prima ho fatto la cameriera nei fine settimana, quando ancora andavo a scuola, adesso durante la settimana, tra una lezione e l'altra, do ripetizioni di matematica e sabato e domenica lavoro in un bar, spesso chiudendo il locale alle due. Non sono mai stata una dormigliona, per cui frequentemente dopo una chiusura a quell'ora, torno a casa e inizio a studiare. Il bar è vicino casa, giusto dieci minuti a piedi, ma dalla folla che c è nella stretta prossimità del locale a cinquecento metri di distanza si passa alla desolazione più totale. Vige il quasi totale silenzio, s'ode solo qualche canzone proveniente dai bar ancora aperti- oltre al mio pochi altri- e qualche schiamazzo. In quella pace, guardo le stelle, quando il cielo è sgombro di nubi oppure guardo il paese illuminato, i vicoli deserti e le vetrine dei negozi, scuri all'interno, vuoti e privi di moto mi infondono quiete. Arrivata a casa, devo fare piano, perché Jerry dorme. Entro nel nostro appartamento, poso le chiavi sulla mensola a destra del vaso che la nonna mi ha lasciato, quando è stato necessario che entrasse in casa di riposo, sorrido, perché quell'oggetto mi ricorda, quando ero piccola e lei mi raccontava le mille storie di principi, principesse, indiani e giovani eroine, storie che ora non ricorda più, come non si sovviene del mio volto. Ciò che lei ha dimenticato, però per me è e sarà indelebile, per cui il sorriso che poco dopo esser nato, mi si affievolisce sul volto, si rianima e riprendo la mia routine di ritorno a casa. Di solito lascio i libri sul tavolo del soggiorno e sulla sedia il pigiama: non mi piace studiare in abiti scomodi. Mi cambio, sempre attenta a non fare baccano, perché mi dispiacerebbe che Jerry si alzasse, venisse in soggiorno e mi dicesse, con occhi assonnati e i capelli scompigliati:" Sei rientrata?  Scusa, se sono andato a letto, senza aspettarti". Però tiene sempre il telefono vicino a lui, nel caso chiamassi. Le prime notti io e lui, cercava sempre di star sveglio e ci coricavamo assieme, ma soffre la stanchezza e al mattino attacca a lavorare alle sei, a quaranta minuti di moto da dove abitiamo. Io allora ho preso l'abitudine, prima di aprire libri e appunti di fisiologia, farmacologia e via dicendo, di stendermi dieci minuti a fianco a lui, sentire il suo respiro lieve, osservare le buffe espressioni che fa, mentre sogna, ricordare, quando ci siamo visti per la prima volta. Io ero una ragazzina considerata strana, perché non mi piacevano le discoteche, lui un ventenne alto, sorridente e con qualche brufolo di troppo. Per me era bello, indipendentemente dall'acne , per lui ero bella, indipendentemente da gusti diversi dalla massa. Il nostro primo appuntamento fu un lunedì, mangiammo assieme dopo una noiosa mattinata di terza liceo. Sul cibo avevamo gli stessi gusti, sulla musica pure, sul cinema non tanto e neppure sullo sport, perché lui detestava la pallacanestro, unico sport per me degno di esser seguito, ma entrambi passammo piacevolmente le ore assieme. Erano le sette e mezzo di un lunedì anche quando ci baciammo la prima volta: mi sorrise dopo che le nostre labbra si furono scambiate i sapori e mi disse che il primo giorno della settimana a quell'ora, ha ancora troppo sonno per qualsiasi contatto umano, ma se avesse avuto la possibilita di baciarmi solo ogni lunedì alle sette e mezzo, sulla sua moto, nel parcheggio dietro la mia scuola, lo avrebbe rifatto ogni lunedì.
Mentre ricordo gli anni passati con lui, mentre sta dormendo, mi sento felice, anche se spesso litighiamo, perché abbiamo due caratteri diversi, perché io a volte gli ricordo troppo sua madre, perché lui ha bisogno dei suoi spazi molto più di quanto io necessiti dei miei; perché io esterno tutto ciò che provo e piango, se mi risponde male, perché lui quando ha tanto lavoro non riesce a dedicarmi il tempo che vorrebbe e diventa nervoso.
Vorrei stare lì a osservarlo per più tempo, ma l'esame di fisiologia questa volta mi deve andare bene, per cui torno in soggiorno tra atrii e ventricoli, bronchi e bronchioli, emoglobina e piastrine.
La mia vita in fondo non è niente di che: lavoro  per pagarmi gli studi, frequento l'università, vedo gli amici, esco col mio fidanzato, provo emozioni, leggo, ascolto musica, mi commuovo, rido alle battute stupide, pulisco casa e parlo con chi ha voglia di scambiare due chiacchiere sugli autobus.
Faccio cose ordinarie e sono felice. Non mi accontento, ma ciò che ho mi basta: davanti ho ancora un po' di tempo in cui realizzare ciò che sogno, adesso progetto e affino i miei piani.
Mi viene da ridere, quando qualche nuovo prof chiede una nostra presentazione " per conoscervi meglio", dice, anche se poi ammette che non imparerà mai i nostri nomi.
" Sono Giulia, ho 22 anni. Ho studiato al liceo scientifico e ho scelto questo corso per passione. Ho fatto vari tirocini, nelle stesse struttura e negli stessi reparti dove sono stati i miei compagni."
È sempre, in tutti noi, qualcosa di standardizzato. Non sono solo quella o meglio, lo sono solo in parte e come per quel dato docente io sono così, per ragazze, ragazzi, uomini, donne e bambini sono diversamente.
Perché fermarsi all'apparenza?

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