Capitolo 9

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Avevo appena finito di prepararmi, quando sentii suonare alla porta. Era in anticipo di almeno mezz'ora: la famigerata cena doveva renderlo molto ansioso per presentarsi prima del previsto. Presi in fretta le chiavi e la borsa e gli andai incontro.

- Buon giorno Leila, dormito bene?

Il suo atteggiamento era beffardo e canzonatorio, come se già sapesse che non ero riuscita a chiudere occhio: ma non volli dargli questa soddisfazione. Salimmo nella sua auto, dirigendoci verso il mercato: si accorse che ero nervosa, tesa come una corda di violino. Per stemperare il tutto, mise della buona musica. Aveva compilato la play-list di uno dei miei compositori preferiti, probabilmente, ricordandosi del pezzo eseguito la sera del nostro primo incontro. Era attento a ogni minimo dettaglio, studiandomi in tutti i modi possibili. Restammo in religioso silenzio a farci cullare da quelle meravigliose note per l'intero tragitto. Dovevo stare attenta a non espormi troppo, per negargli la possibilità di sgretolare nuovamente quel muro faticosamente eretto. E poi, non bisogna mai rivelarsi a un uomo che non ha bisogno di sapere. Ed Ethan ne aveva tutta laria.
Rimanevo sempre affascinata nel vedere New York: non sempre capitava di vederla a quell'ora del mattino. Era passata un'ora dall'alba e la guardavo, ammutolita, dal finestrino. La musica scandiva delicate note, analizzando, in sequenza, tutti i punti della città mediante un fascio elettronico: era come se dovesse trasmettere un'immagine che inaugurasse la nascita di un nuovo giorno. La quiete, prima del caos frenetico. Mi voltai a guardarlo: dal volto, anche lui sembrava esserne rapito, in assoluta contemplazione di una calma che la città poteva offrire solo per brevi attimi. Quando arrivammo, spense l'autoradio e rimasi impressionata per la sua capacità di intuire cosa pensassi in quel momento, come fosse dotato di un infallibile sesto senso.

- E' anche il mio artista preferito, mi rilassa molto in momenti come questo.

- Hai ragione, sono rari attimi in cui si può vedere New York nella tranquillità, bisogna goderne più che si può, quando accade.

New York ci offrì più di un dono: oltre quella breve calma, creò una magia che ci avvolse per qualche istante, fondendo i nostri pensieri in perfetta sintonia. Ci divertimmo molto quella mattina: era strano vederlo sotto l'aspetto di una persona comune, alle prese con normali compere. I suoi occhi mi scrutavano curiosi da sotto il cappello, lo stesso che indossava la sera prima, forse per cercare di nascondere la sua identità, nel caso in cui lo individuassero. Mi guardava affascinato per l'abilità con cui trattavo con i commercianti, per la profonda conoscenza del pesce, o, più semplicemente, per il modo con cui afferravo un'arancia per sentirne l'odore o una mela su cui affondare i miei denti. Si divertì molto nel sottrarla abilmente dalle mie mani, per poi ridurla in torsolo, in men che non si dica. Cercai di trasmettergli alcuni segreti, così ché in futuro potesse fare buoni acquisti. Fingeva di essere interessato, per poi scherzarci sopra e prendermi in giro. Senza che me ne rendessi conto, il muro di Gerico, eretto a difesa, era già crollato: ma non mi sentivo invasa o indebolita. Si era fermato davanti ad una bancarella, attratto, per chissà quale misterioso motivo, da un oggetto: una scatola di legno intagliato con delle incisioni indiane (Dell'India), impregnato da essenze orientali, con forte odore dolciastro. Chiese alla donna della bancarella, cosa significassero quelle incisioni: la stessa spiegò che si trattava di una credenza di origini antiche, proveniente da Jaipur, per cui, chiunque fosse pervaso da un brutto ricordo, non doveva far altro che introdurre un oggetto riconducibile a quel ricordo, per poi dargli fuoco e ridurlo in cenere. Di conseguenza, anche i brutti ricordi avrebbero fatto la stessa fine e non sarebbero più riapparsi. Naturalmente non era altro che una futile superstizione, proveniente dal suo paese di origine, qualcosa a cui aggrapparsi quando non si trovavano altre vie duscita alle sopravvenute disgrazie. Non avevo mai creduto a quelle stupidaggini: la mia mente era sempre proiettata alla ricerca di una logica, tutto ciò che ci circonda ha una filosofia antropologica, non trascendentale. Mai, quindi, avrei potuto immaginare che Ethan si facesse abbindolare da una favoletta indiana. Gli vidi estrarre dalla tasca dieci dollari e prendere la scatoletta che la donna aveva già impacchettato. Mi tornò spontaneo dirgli ciò che pensassi e lui di rimando, mi lanciò un sorriso ammiccante.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 30, 2016 ⏰

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