Capitolo 3

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Mi svegliai di soprassalto, con i capelli madidi di sudore. Era più tardi del solito, ma rimaneva ancora tempo prima di recarmi al lavoro: così decisi di fare tutto con molta calma. Stiracchiandomi, tirai un respiro profondo a pieni polmoni, rilassandomi e rimanendo nel letto per almeno un'altra mezz'ora a fissare il soffitto. A stento mi ripresi dall'incubo avuto durante la notte, sempre e ineluttabilmente lo stesso. Il passato che mi tormentava, io paralizzata dalla paura che gridavo aiuto e nessuno che mi sentisse. Solo il buio tutto intorno, mentre il mostro abusava di me più volte... un incubo ricorrente che terminava sempre allo stesso modo: il buio che si dissolve attraversato da una luce calda e avvolgente. Sullo sfondo luminoso, a stagliarsi, un cavallo bruno che mi viene incontro, fermandosi al mio fianco e quando, nell'avvicinarlo, allungo le mani per accarezzarlo, in dissolvenza svanisce nel nulla. Ripensai al giorno prima e a tutto quello che ceravamo dette, Julia ed io. Mi sentivo di buon umore, rilassata: quella dolce sensazione di sollievo non mi aveva abbandonato e la semplice prospettiva che quel giorno il lavoro non mi sarebbe pesato, mi rendeva ulteriormente euforica. Quella mattina, dopo essermi alzata e aver fatto un'abbondante colazione, ebbi modo di rilassarmi nella maniera consueta, ascoltando musica classica e leggendo un libro di Pascal, soffermandomi su un aforisma:

"...il passato e il presente sono i nostri mezzi, solo l'avvenire è il nostro fine. Così non viviamo mai, ma speriamo di vivere..."

Mi ritrovai nuovamente a riflettere sulla condizione della mia vita. In quell'istante lo chiusi e decisi di metterlo da parte, per non guastarmi la giornata. A volte i filosofi sono maestri in questo. Giunta davanti al ristorante in cui lavoravo, il "Child Prodigy", scendendo dall'auto, vidi sfrecciarmi di fianco un Audi A5 Sportback, quasi a investirmi. In una frazione di secondo riuscì a vedere solo gli occhi di quell'imbecille, che incrociarono i miei, sbarrati dallo spavento. Allontanandosi, gli lanciai un sacco dinsulti, con un bello STRONZO finale. Entrando al ristorante, vidi Frank dietro al bancone, ad affaccendarsi con le bottiglie dei liquori per rifornire il bar. Nel frattempo, impartiva istruzioni ai camerieri, Stefany e John, spesso vittime inconsapevoli delle sue spiritose schermaglie. Stefany e John non erano tra le mie simpatie. Non li conoscevo bene, ma abbastanza da non fidarmi di loro: tra l'altro erano lì solo di passaggio. Entrambi lavoravano per pagarsi la scuola di recitazione: recandosi affannosamente a ogni audizione nei vari teatri di New York. Come in una lotteria, attendevano un colpo di fortuna, nella speranza che fossero notati da qualche regista o produttore. Il loro aspetto la diceva lunga su che tipi fossero, ma non li ho mai giudicati per questo. Lei esibiva, con vanto, un corpo esile da fotomodella anoressica: i folti capelli erano pettinati "alla Valentina" e il viso costantemente ricoperto da un make-up esagerato. Il suo carattere, mi lasciava un po' perplessa: civettuola, non poneva limiti alla sfrenata ambizione, e, per sua stessa ammissione, era disposta a tutto pur di arrivare al successo. John era un bel ragazzo dal fisico asciutto, occhi verdi smeraldo e capelli talmente biondi da sembrare fili d'oro. Non conoscevo aneddoti sul suo conto: doveva, però, essere un tipo schietto, pragmatico e dirompente al punto da fregarsene delle eventuali conseguenze delle sue azioni. Si riteneva un playboy, sicuro di sé, asserendo che tutte le donne "pendono dalle mie labbra e cadono ai miei piedi". C'era una punta di verità nelle sue parole: le ragazze più sciocche e superficiali gironzolanti nel locale, oche da passeggio da me definite, le attirava a sé, come una lampadina fa con la falena. Esteticamente costituivano una bella coppia, ma se, malauguratamente, avessero deciso di mettersi insieme, il ghiaccio ricavatone non sarebbe stato buono nemmeno per un cocktail. Frank era un tipo un po' particolare: un bambinone di quarantacinque anni che amava sempre scherzare. Alto circa un metro e ottanta, capelli neri , corti, riccioluti e leggermente brizzolati. Non era molto attraente, ma possedeva un certo fascino che sosteneva essere lo stesso di Richard Gere o George Clooney, probabilmente per via dei capelli brizzolati. In diverse occasioni l'avevo visto in compagnia con donne diverse, di varie etnie, naturalmente non tutte in una volta. Le sue relazioni sentimentali non superavano mai i tre mesi, per incompatibilità di carattere, a suo dire. Non agiva mai nella stessa area: sondava varie zone alla strenua ricerca della ragazza giusta e New York, in tal senso, offriva infinite possibilità di scelta. Dotato di notevole autoironia, non disdegnava affatto, prendere in giro e burlarsi degli altri con, devo riconoscerlo, molto tatto e savoir-faire. Era un brav'uomo, un onesto e instancabile lavoratore, sempre pronto a dare una mano agli altri, ma i pregi più apprezzabili, riguardavano discrezione e riservatezza. Al di fuori del lavoro, le nostre vite rimanevano private e tutto quello che succedeva allinterno del locale, non trapelava. Non lesinava consigli sui comportamenti da tenere con gli uomini, pur essendo consapevole che non gli avrei mai dato retta. Il mio giudizio finale? Frank era un tipo OK. Salutai con un sorriso: Frank ricambiò stranito, inclinando leggermente la testa da un lato. Con gli occhi appena socchiusi, cercava di capire cosa mi avesse preso, come se non riconoscesse in me quella ragazza che lavorava al suo fianco da circa sette anni. Finsi di non accorgermi delle sue perplessità, sgattaiolando in cucina. Lucy, in attesa del mio arrivo, era già alle prese con i preparativi di alcune pietanze. Oltre ad essere la proprietaria del locale, lei era anche il primo chef: arrivava sempre prima degli altri, seguita da Frank che, responsabile di sala, godeva di una fiducia illimitata. Lucy, oltretutto, seguiva i lavori della ristorazione, con particolare dedizione e religiosa meticolosità, qualità che ho sempre ammirato in lei. Il suo locale, oltre ad essere una passione, rappresentava anche il suo principale investimento. E pur essendo una donna daffari, si dimostrava comprensiva, altruista, mai venale: doti che la rendevano straordinaria e degna di rispetto. Dopo aver cambiato i vestiti con la tenuta da lavoro, mentre mi allacciavo il grembiule, la sentii ringraziare il cielo che fossi arrivata. Quella sera era piuttosto agitata. Solo più tardi compresi i motivi dell'eccessiva agitazione: il famoso attore Robert De Niro aveva prenotato, tramite il suo agente, un tavolo per quattro e Lucy ci teneva enormemente a far bella figura. Non per niente il suo ristorante, un mese prima, comparve sulla copertina di una nota rivista di New York, con ottime recensioni, redatte da Ed Levine, famoso cuoco e critico di fama internazionale. Mi mostrò un lungo elenco di portate, raccomandandomi che tutto fosse servito alla perfezione. Il locale era gradito da molti, sia per la raffinata cucina italiana che per l'atmosfera rilassante che si respirava: ma quella presenza ne stravolgeva il clima, rendendolo elettrico e intriso d'inusitato glamour. Sorridevo nell'osservare lo schizofrenico andirivieni dei camerieri, dal sala alla cucina: sembravano mosche impazzite. E tutto questo per la presenza di un attore del cinema, seppur celebrata star. Frank, che era sempre pronto ad aiutarli, non risparmiava commenti sarcastici, facenti leva su un carattere pungente e ironico: io, con divertito silenzio, mi limitavo ad ascoltare e osservare la buffa scena. Eravamo gli unici abituati a ricevere personaggi noti, anche se, in realtà, stavo sempre nel "backstage". Eravamo anche i soli dipendenti che riuscivano a resistere alla frenesia delle serate, che si susseguivano, senza soluzione di continuità, da oltre sette anni. Lucy era sempre alla ricerca di nuovi dipendenti: non trovava mai uno staff decente in grado di reggere il passo per più di sei mesi o un anno. Chi si trasferiva in unaltra città, altri a riprendere studi interrotti: ma quasi tutti rinunciavano al lavoro per i ritmi serrati cui erano sottoposti e l'obiettiva difficoltà a gestire una clientela molto variegata ed esigente. Si erano fatte l'una e trenta di notte: a quel punto, attraverso un citofono, avvisammo lo staff della sala che con la ristorazione avevamo finito e che stavamo per chiudere la cucina. Lucy si complimentò con tutto lo staff per l'eccellente lavoro, dopo aver ricevuto gli apprezzamenti della star cinematografica avuta come ospite. Rimaneva un piccolo intervallo, prima di riprendere con la seconda serata. Julia e Jack erano nostri amici: venivano a trovarci spesso e a Lucy non le dispiaceva affatto la loro compagnia. Julia mi chiese come mai non sedessi a cenare con loro. Risposi che avevo già mangiato qualcosa prima. Di rado mi sedevo a tavola con gli altri: preferivo isolarmi per un po, a riflettere sullo svolgimento della giornata, non immaginando minimamente che da lì a poco sarebbe cambiata, alterando il mio buon umore. Prima di allontanarmi mi rivolsi a Jack, congratulandomi per il grande passo. Lucy propose un brindisi, mentre Julia metteva in mostra, civettuola, il costosissimo anello. Raggiunsi Frank al bancone del bar, dove era intento a servire drink e cocktail ai clienti. Prima di rientrare a casa, dopo il mio turno di lavoro, solitamente mi fermavo a fare due chiacchiere. Era istruttivo e distensivo, avevamo sempre opinioni diverse, ma non entravamo mai in rotta di collisione: ognuno rispettava il parere dell'altro e magari, dopo, ci scappava anche una risata. Non parlavamo mai della nostra vita privata: l'assoluto rispetto della privacy era diventato il nostro leitmotiv, un inossidabile anello di congiunzione che ci univa aldilà delle divergenze di opinione. Il bancone-bar si trovava a circa quindici metri sulla destra dell'ingresso: era lungo sei metri, tutto in ciliegio, con sei gigli fiorentini incisi sul davanti, distanti circa settanta centimetri l'uno dall'altro. Alla base unasta di ottone la percorreva per tutta la sua lunghezza, servendo da poggia-piedi. Troneggiavano alti sgabelli, dove il cliente poteva sedersi comodamente per sorseggiare un drink in tutta tranquillità, mentre nel retro-banco era stato sistemato un capitello, con un grande orologio al centro. Lucy, oltre ad adorare la cucina italiana, che tra l'altro era la sua specialità, amava l'Italia e la sua arte: così pensò bene di arredare il ristorante in stile Liberty. Le pareti erano ricoperti di cornici con foto autografate dagli artisti che erano venuti a cenare da noi, lasciando, così, traccia evidente del loro passaggio. A circa venti metri, sulla sinistra del bancone, quasi al centro della sala, sulla parete, vi era un enorme TV al plasma che serviva da intrattenimento per i clienti. Anche il personale, durante le piccole pause, poteva dare una sbirciatina agli incontri di basket o baseball. In fondo alla sala, posto ad angolo, quasi in castigo, sintravedeva un bellissimo pianoforte a coda, un Bosendorfer Imperial nero. Per me rappresentava lautentico pezzo forte del ristorante, paragonabile ad un quadro dautore di Renoir o Van Gogh, pittori impressionisti in testa alle mie preferenze. Ogni volta che lo guardavo, viaggiavo a ritroso con la mente, ritrovandomi seduta davanti al mio vecchio pianoforte. Possederne uno era il mio sogno di bambina e a quell'età nulla vi è di più esaltante dellinseguire i propri sogni. Mi vedevo insieme a mio padre che m'impartiva lezioni di musica, una delle tante passioni che condividevamo. Il ricordo di un incoraggiamento a ogni mio sbaglio e un sorriso a ogni mio progresso erano più che mai vividi. Le lezioni con lui non erano mai noiose, diversamente da quelle con l'insegnante che finivano con lo sfiancarmi. Riferiva sempre a mio padre, non so se per piaggeria o altro, che ero un talento naturale e che con la costanza e l'impegno sarei arrivata molto in alto. Io non mi risparmiavo: la musica e quel pianoforte rappresentava un mezzo per rendere felice mio padre e ogni volta che quei ricordi riaffioravano, ero assalita dal rammarico per aver mollato, inopinatamente, tutto.

Quelle Allineate Scarpe RosseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora