Capitolo 8

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11 Giugno 2011

Correvo senza sosta, a perdifiato, in cerca di un obiettivo, una meta da raggiungere, qualcosa che mi aiutasse a solidificare quel muro eretto e che stava per sgretolarsi. Mi fermai sfiancata, china in avanti, con le mani alle ginocchia, con il cuore che rullava in modo frenetico come a voler uscire dal petto. Rivoli di sudore scendevano copiosi dalla mia fronte, percorrendo il viso, scivolando lentamente sulle mie labbra per poi giungere verso terra e goccia dopo goccia, inumidire il terreno. Mi voltai verso il lago, avvicinandomi a un albero, strappandomi gli auricolari dell'iPod, pronta a ritornare al presente. Poggiai le spalle sul tronco lasciandomi scivolare giù per riprendere fiato e osservando il paesaggio che mi circondava. Per fortuna Central Park era abbastanza esteso da consentirmi di scrollare di dosso la rabbia accumulata per tanta dabbenaggine. Sentivo il mio corpo iniziare a fare le bizze, incidendo negativamente sulla ragione e il mio umore: un'incontrollabile reazione chimica fece scaturire in me strane fantasie, inspiegabili e a stento represse. Era già passata una settimana dall'ultima volta che lo vidi, rassegnandomi al pensiero che in realtà era una persona come un'altra e che il nostro incontro fosse frutto di un caso fortuito. Mi convinsi, vieppiù, che si era mosso per puro altruismo e che avrebbe agito allo stesso modo con qualunque altra si fosse trovata al mio posto. Non biasimavo la perdurante latitanza: d'altronde ero stata io a mostrarmi distaccata, facendogli credergli che non ero interessata a frequentarlo. Ebbi modo di tenermi distratta tra il lavoro e i preparativi del matrimonio di Julia, illudendomi che, stando occupata, avrei potuto dimenticarlo. In realtà ingannavo me stessa, non ammettendo che Ethan era stato la sola persona capace di farmi abbassare la guardia e frantumare quello scudo di pregiudizi issato a difesa di fantomatici pericoli. Rimasi un giorno intero a casa di Julia, solo per stilare la lista degli invitati. In quella circostanza, per un momento, notai Julia comportarsi in modo strano: pensai che probabilmente fosse nervosa a causa del matrimonio e per lo scintillante scambio di opinioni avuto con Jack la sera precedente. Il battibecco era sorto per via delle madri, incapaci di trovare un accordo sul luogo in cui si dovesse svolgere il rito nuziale. Da buona amica, cercai di confortarla, dicendole che era del tutto normale accusare un certo nervosismo in vista del matrimonio. Mi lanciò un flebile sorriso, assicurando di sentirsi meglio dopo averne parlato: ma non ero eccessivamente convinta. Percepivo che, dietro il naturale nervosismo, celasse un non so ché dindefinibile. Ritenni, però, di non farne parola, per non gravare sul suo stato d'animo. Dopo il lavoro, Julia si offrì di accompagnarmi con la sua Volvo. Il mio vecchio catorcio si trovava dal carrozziere per unimprobabile restyling. In auto discutevamo degli ultimi preparativi, concordando lorario per la prova dell'abito, commissionato a un atelier di Milano. Mi sarei resa disponibile dopo aver visitato una comunità per bambini disagiati. Lì passavo, una volta la settimana, parte del mio tempo libero, aiutando, con piccole donazioni, persone meno fortunate. Adoravo i bambini: apprendevo molto dalla loro innocenza e ingenuità. Riuscivano a dipingere e creare oggetti usando solo la fantasia e qualsiasi materiale riciclabile: dalla carta alla plastica, creando fiori, maschere e cornici. Ogni tanto raccontavo loro una storiella o suonavo qualcosa al pianoforte a muro, per tenerli calmi. La loro vivacità, a volte, faceva impazzire le istitutrici ed io ero felice di poter trasmettere loro un po' di gioia in cambio di un sorriso. Non c'è nulla di più bello al mondo della risata di un bambino quando questa rappresenta la loro unica, vera ricchezza. Mentre ero intenta a scrivere sulla mia agendina gli impegni della prossima settimana, Julia pigiò violentemente sui freni: a poco più di dieci metri dalla mia abitazione aveva scorto qualcuno di comune conoscenza.

- Guarda un po' chi c'è? Il bel tenebroso è ritornato... giusto in tempo per il matrimonio.

Non era possibile, dopo tutti i miei sforzi per cercare di escluderlo dalla mia mente! Era lì, seduto sui gradini davanti al mio appartamento, indossando una maglietta nera aderente, jeans e cappello scuri. Un look total- black, talmente sexy da trasudare smodata sensualità. In verità anche con uno straccio addosso avrebbe emanato lo stesso fascino. Scambiai una rapida occhiata con Julia, eloquente più di qualsiasi discorso, mentre Ethan ci osservava, in attesa che scendessimo dall'auto. I battiti del mio cuore improvvisamente accelerarono: ero nervosa. Quale motivo l'aveva spinto a casa mia? Da quanto tempo sostava lì ad aspettare? Non riuscivo a trovare alcun motivo che potesse giustificare la sua presenza. Ci avvicinammo, Ethan si alzò in piedi con una mano ancora nella tasca e con l'altra sollevò il cappello, reclinando leggermente la testa, salutando Julia da autentico gentleman.

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