Cap•4

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Cap•4

Mi svegliò la luce che penetrava da uno spiraglio della tenda.

Ero annebbiato dopo una notte movimentata, turbato da sogni che già al momento del risveglio erano spariti, portati via dalla notte per dare spazio alla luce e all'allegria di un mattino di fine estate.

Marinette, la pensai e quasi a comando, in quel momento, iniziai a sentire il suo leggero cicaleccio con Alya.

Le voci erano ovattate dai due piani che ci separavano eppure ero certo che fossero in cucina in quanto sentii una porcellana rovinare a terra.

Corsi giù per le scale preoccupato per l'accaduto, tirando un respiro di sollievo nel vederle incolumi, ma in un secondo la mia preoccupazione riprese nel vedere un rigolo di sangue solcare la mano  di Marinette.

«Mio Dio Marinette!» raccolsi la sua mano tra le mie, la sua pelle, più delicata della porcellana, si era ferita, così come il piatto a terra.

«Adrien tranquillo non è niente, solo un taglietto» il che era vero, eppure la mia preoccupazione non si fermava neanche al vedere che era poco profondo e della lunghezza di pochi centimetri.

«Cos'è successo?» domandai cercando di uscire da un' apnea creata dallo sgomento.

«Solo una disavvedutezza, perdonami» si strinse nelle spalle come in attesa di una sgridata.

«Vai a medicarti e poi mangiamo okay? » sfiorai con la punta di un dito la ferita fresca e ciò le fece ritrarre leggermente la mano, per poi voltarsi verso Alya ed essere accolta dalle sue mani con un piccolo bendaggio.

Nel bon-ton vigeva ancora la buon usanza che se si andava a mangiare da qualcuno non bisognasse arrivare lì a stomaco vuoto per poi rimpinzarsi di cibo, soprattutto per quanto riguardava le fanciulle, perciò ci rifocillammo a dovere prima di uscire.

Io mi avviai  prima di Marinette verso la dependance ove tenevo la mia automobile coperta da un telo, siccome la utilizzavo di rado.

Era un gioiello moderno, quattro posti di pelle fiammante e la vernice nera metteva in risalto le inserzioni e i fanali d'ottone, eppure non era niente messo in confronto   alla bellezza di Marinette, che riparata sotto un parasole, sfoggiava un abito azzurro decorato da un nastro rosa alla vita.

Si avvicinò alla vettura e l'aiutai a salire.

«Posso guidare?»

«No!» ero quasi spaventato all'idea che Marinette volesse guidare, dato che la sua goffaggine si faceva sentire sempre al momento sbagliato.

Ripensando alla sua sbadataggine guardai la mano ferita che ora era bendata e nascosta da un leggero guantino azzurro.

«Daaii! Ti prometto che sto attenta» mi guardò languida, con gli occhi come acqua,  mentre provava a rompere gli argini della mia rigida corazza.

Neppure io riuscivo a liberarmi di quella mia inflessibilità, eppure lei c'era riuscita, quella volta, il giorno del nostro primo incontro.

«La prossima volta e poi non é bello vedere una donna guidare»non riuscii a dirle "sì".

«E poi ora é tardi, dobbiamo fare in fretta» dissi guardando l'orologio.

Sfrecciammo per la strada e in poco tempo ci ritrovammo al centro di Parigi, davanti ad una villa di medie dimensioni.

Nino avrebbe potuto permettersi una villa tre volte più grande, ma non amava farsi notare. Ad aprirci il portone fu una delle domestiche ma poi fummo subito accolti da Nino.

Capinera- miraculous, Marinette e AdrienDove le storie prendono vita. Scoprilo ora