Capitolo 6

21 9 2
                                    

Quel sogno mi lasciò una sensazione di inquietudine per i giorni a venire, tanto che avevo quasi paura di riaddormentarmi. Le parole che quella voce mi aveva rivolto continuavano a tormentarmi.

Cosa intendeva con “Ora potrò finalmente finire l'opera che ho iniziato diciannove anni fa”? Chi era quella voce?

La ragione continuava a ripetermi che era stato tutto un sogno, che non c'era motivo per preoccuparsi, ma poi mi tornavano alla mente quelle parole e il castello di carta che avevo creato con tanta pazienza veniva abbattuto.

Era troppo reale, le sensazioni che mi aveva lasciato erano reali. Inoltre chi era la luce bianca che mi aveva protetta, chi era Cameron? Ricordo che quando avevo visto che era in pericolo mi era uscito spontaneo urlare il suo nome. Come se lo conoscessi.

Man mano che il tempo passava queste domande mutarono in una sola: e se quello che sognavo in realtà non fossero mai stati sogni? Più ci pensavo e più mi convincevo che fosse così, ma in quel caso cos'erano se non dei sogni?

***

Un gemito di dolore mi scappò dalle labbra mentre cercavo di alzarmi, la mano a tenermi il fianco. Mi sentivo uno schifo. Avevo dolori ovunque ma per fortuna stavo guarendo, anche se lentamente. Quel bastardo non c'era andato giù leggero.

Ricaddi a terra con un attacco di tosse. Ero stato un tale imbecille. Come avevo fatto a credere che lui non potesse trovarla? Quando mi ero reso conto che quell'essere fosse entrato nel nostro posto e l'avevo vista lì, terrorizzata, mi si era gelato il sangue. Ero terrorizzato al pensiero che le venisse fatto del male.

Non ricordo cos'era successo dopo, so solo che attaccai con tutta la mia forza, che evidentemente non serviva a niente contro di lui visto che ebbe subito la meglio, e che la sua voce mi chiamò. Era un suono disperato, pieno di paura, così vero che quasi credetti di essermelo immaginato.

Strinsi i denti e mi appoggiai al muro per rimanere in piedi. Da quando quell'essere sapeva dove trovarla non volevo lasciarla sola, sapevo che in quelle condizioni probabilmente sarei morto appena avrei fiatato ma avevo quell'illusoria convinzione che se fossi stato lì a proteggerla avrei trovato la forza dal nulla per riuscire a farla vivere.

Lei meritava una vita felice, nonostante i precedenti con la sua famiglia, perché lei, ne ero sicuro, non sarebbe stata la causa della nostra distruzione.

***

Scesi le scale di casa con la grazia di un elefante, ero in ritardo. In tremendo ritardo.

Non avevo sentito la sveglia e mia madre e Matt oggi erano usciti presto, per cui avrei dovuto svegliarmi da sola e andare a scuola con calma ma, evidentemente, qualcosa era andato storto.

Chiusi la porta di casa con un tonfo, facendo poi girare la chiave nella serratura in tutta fretta. Se mi fossi sbrigata sarei potuta entrare alla seconda ora.

Misi le chiavi nella cartella e cominciai a camminare a passo veloce, giusto per non sembrare una pazza furiosa.

Ero quasi arrivata alla meta quando cominciò a piovere a dirotto e alla fine fui costretta a fermarmi per ripararmi, non avendo io, nella fretta, preso l'ombrello che avevo preparato questa mattina. Con un verso di frustrazione, presi il cellulare dalla tasca e digitai velocemente un messaggio a Ronnie.

A Rò: Ho fatto tardi, sono scesa ma adesso ha cominciato a piovere e non ho l'ombrello, m'inzupperei tutta... credo che tornerò a casa appena posso.

Alzai lo sguardo al cielo nero. L'intensità della pioggia stava aumentando e i nuvoloni si erano addensati e scuriti tanto da arrivare ad un colore che si avvicinava spaventosamente al nero. Rabbrividii, ma non per il freddo, piuttosto per quel brutto presentimento che avevo. Non mi piaceva per niente quel tempo, e io ero un amante della pioggia.

Beside You.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora