Capitolo 11

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Era mezzanotte e io ero sola in casa. I miei genitori erano andati a cena con dei colleghi di lavoro di mio padre, Ronnie aveva una cena di famiglia a cui non poteva mancare e i due piccioncini in calore, alias Matthew e Harry, erano alla loro seratina speciale.

Sinceramente non ho voluto sapere alla fine cosa avessero decisero di fare, mi è bastato sentire mio fratello cantare di tacchini arrosto colorati e cuori rosa per decidere che avrei vissuto nell'ignoranza.

Quindi ero sola, sul divano con la luce accesa, a riguardare gli episodi di un anime che adoravo, avvolta in una coperta e con davanti una ciotola di pop corn.

Questa era vita. La pace dei sensi. Che me ne facevo di una vita sociale quando avevo tutto questo?

L'episodio finì e io mi ritrovai a sospirare di fronte alla bellezza di quelle immagini. Non importa quante volte io lo avessi rivisto, l'ansia per quella dannata partita non sarebbe mai sparita.

Stavo giusto prendendo una manciata di pop corn quando un improvviso rumore proveniente dall'altra parte della stanza mi fece sobbalzare.

Puntai subito lo sguardo alla fonte del rumore, notando che era appena caduto un libro dallo scaffale della libreria. Mi alzai per raccoglierlo accorgendomi che era il libro che stavo leggendo prima di scendere in salotto e che avevo lasciato in camera.

Lo afferrai, chiedendomi come diavolo ci fosse arrivato lì ma, probabilmente, sbadata com'ero, l'avevo portato con me, dimenticandomene. Alzai le spalle e lo posai sul tavolino da caffè ma un nuovo rumore catturò di nuovo la mia attenzione: la finestra era spalancata e faceva entrare aria gelida all'interno.

Questa volta un brivido mi scosse completamente. Quella era chiusa prima, ne ero sicura.
«Cameron... sei tu?» chiesi titubante.

Mi sentivo come se fossi in un film horror, e io li odiavo quei film. Sperai con tutta me stessa che fosse lui anche se mi sentivo inquieta.

Prima che potessi muovermi per richiudere la finestra, del vento gelido entrò nella stanza. Soffiava con un'intensità tale da costringermi a ripararmi gli occhi con le braccia, che quasi non sentivo più.

D'un tratto mi sentii afferrare il polso da una mano vellutata, quasi con gentilezza.
Alzai lo sguardo, pensando che Cameron fosse tornato, ma mi ritrovai davanti il buio.

Il buio più oscuro, quello che ti fa credere di avere gli occhi chiusi per quanto non vedi neanche un piccolo fascio di luce.
Come un riflesso involontario, toccai i miei occhi con la punta delle dita, scoprendoli aperti.

Non sentivo più né il freddo né il vento, anzi, l'aria era calda e umida, soffocante. Il silenzio era diventato assordante e la cosa mi stava spaventando a morte.

Sentivo il cuore battermi in gola, non sapevo che cosa fare. D'un tratto un sibilo si espanse in quel buio e sovrastò il rumore del nulla.

Mi voltai di scatto solo per vedere della nebbia di un colore grigiastro, tendente al bianco, fondersi a pochi metri da me.

Sembrava muoversi leggera, in attesa di qualcosa. Grazie alla sua luce, riuscivo finalmente a distinguere le mie mani tremanti dal nero che mi circondava.

Il silenzio era tornato ma non era più assordante come poco prima. Strinsi le mani a pugno e ripuntai lo sguardo su quella massa sinuosa, alzando una mano, avvicinandomi di poco. La nebbia scalpitò, impaziente.

Era come se mi stesse chiamando, come se volesse che io la toccassi, e io non riuscivo a fare altro se non muovermi nella sua direzione. Pareva che volesse dirmi qualcosa di importante, qualcosa che io dovevo sapere. E io volevo sapere, avevo tante cose che volevo conoscere.

Stavo per toccarla quando una forte sensazione mi serrò lo stomaco. Sentivo paura ma anche orgoglio e speranza. Aggrottai le sopracciglia non capendo perché delle emozioni che non sentivo mie fossero così presenti attorno a quelle ombre luminose.

Sfiorai appena quei fini lineamenti e, all'improvviso, fu come se la luce fosse stata riaccesa. L'oscurità divenne bianco accecante, il silenzio fu interrotto dal suono musicale del vento che soffia tra le chiome degli alberi.

Mi guardai attorno sbattendo furiosamente gli occhi che mi lacrimavano. Una voce forte e determinata arrivò fino a me anche se riuscii a riconoscere solo alcune parole.

Ti affido questa Figlia di Luna di cui le leggende narrano. Portala sul sentiero bianco, quello tracciato dalla Luna stessa.”

Non riuscivo a capire il loro significato ma alla parola Luna, detta con così tanto rispetto, fierezza e forza, mi sentii avvolgere in una coperta. 

《Perché questa fu la volontà della Luna.》

Senza pensare sospirai quelle parole che non avevo mai udito ma che sentivo così vicine da farmi rabbrividire per la nostalgia di un qualcosa di inafferrabile e conosciuto, di una luce argentea ed eterea che riesce sempre a rassicurare e ad aiutare chi ne ha bisogno.

Il richiamo di una madre mai incontrata.

Mi sentii improvvisamente come se mi avessero appena tolto tutto e fossi rimasta sola al freddo.

Io quella luce la conoscevo, era parte di me.

Crollai in ginocchio, cominciando a piangere senza un motivo, mi sentivo solo chiusa fuori da qualcosa che in realtà non conoscevo. Il cuore batteva frenetico e le lacrime scendevano senza che io potessi fare nulla per fermarle.

Era come se quella Luce mi fosse mancata da tutta la vita, una cosa vitale non riconosciuta ormai da troppo, troppo tempo.
«Perdonami...» singhiozzai non capendo bene a chi mi riferissi, ma sapendo che quelle parole venivano da una parte di me sconosciuta perfino a me stessa.

In quel silenzio rassicurante, l'unico rumore che adesso si percepiva erano i miei singhiozzi e le mie richieste di perdono al nulla. Il cuore faceva male, la testa pulsava, ma all'improvviso mi sentii accarezzare delicatamente i capelli.

Alzai lo sguardo intrecciandolo a quello azzurro di Cameron che mi osservava con un espressione dolce e preoccupata insieme.

Era inginocchiato accanto a me in quello che, in un secondo momento, riconobbi essere il mio salotto. Tirai su col naso e poi mi diedi lo slancio per abbracciarlo forte.

Perse l'equilibrio ma non si allontanò, anzi. Mi strinse forte a sè, una mano tra i miei capelli a tenermi la testa contro il suo petto e l'altra avvolta attorno al mio fianco.

Ricominciai a piangere più forte sentendo un vuoto enorme nel cuore. Mi strinsi di più a lui, lasciandomi avvolgere dal suo calore e dalle sue braccia che in quel momento erano l'unica cosa che mi impediva di cadere in mille pezzi.

«Andrà tutto bene...» continuò a ripetermi per tanto tempo.
E lì, su quel pavimento freddo, abbracciata a Cameron, mi permisi di pensare che forse quella luce fosse finalmente tornata da me.

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