SOFIA

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Invito Anna a dormire a casa mia. Cambiare un po’ d’aria gli farà bene. Appena entriamo in casa vediamo Sofia fuori dalla porta di camera sua. «Cosa fate?» chiede. Anna la saluta con un sorriso. «Anna viene a dormire da noi, per stanotte. Te invece che ci fai ancora sveglia?» Rispondo. Era le 2 di notte inoltrate. «Avevo sete. Perché Anna dorme da noi?» guardo Sofia con un cenno severo. «Perché mio babbo russa e non riuscivo a dormire. Allora ho chiesto a Fede se mi ospitava.» Mente scherzosa Anna. Io la guardo. Sorrido. «Eh già… suo babbo russa.» Sofia mi guarda. Poi guarda Anna. «Ah, allora ti è andata male» ride. «mio fratello quando dorme sembra un trattore». Io spalanco gli occhi. «Che cosa hai detto? Io non russo!»
«E invece si! Sembri un trattore» rideva. Allora io gli do una piccola spinta con la mano per spingerla dentro la sua camera. «vai dentro signorina che domani hai scuola!» «Ma domani è...» chiudo la porta. Dall’altro lato della stanza si sente un «buonanotte». Andiamo in camera. «Te puoi dormire sul letto. Io dormo qui per terra.» Indico il letto a Anna. Lei mi guarda e fa un piccolo cenno di consenso. Prendo un cuscino e una coperta dall’armadio e li dispongo per terra. Mi metto sotto la coperta. Anna si sdraia sul letto. «Di qualsiasi cosa tu abbia bisogno chiamami.» Gli dico. Lei si gira di fianco. «Fede avrei bisogno solo di una cosa…» Si gira verso di me. «Dormi qui con me.» Sorrido. «Eccomi!» mi alzo dal mio letto improvvisato e mi sdraio di fianco a Anna. L’abbraccio con una mano. Sospira un «Grazie.». E poi si addormenta. Sono stanchissimo. Sono state  due settimane intense. Non ci siamo fermati un attimo. Prima la morte di Tommy, poi questa storia di Anna, il mistero di Martina. Cazzo datemi tregua. Non ce la faccio più. Poi, come se non bastasse,  mi sembra di non dormire da anni. Ogni volta che chiudo occhio c’è sempre quell’incubo che mi perseguita. Gli occhi di Tommy. Le sue parole. La frenata. Le urla. Non riesco a cancellarle. Continuo a stare male. Non sto affatto bene.
Mi sveglio. È mattino. Anna non c’è. Mi alzo dal letto. Entro in cucina. Vedo Anna che ha indosso una mia maglia. Gli stava tremendamente larga. Era davanti ai fornelli che cucinava a ritmo di musica. Io la guardo mentre si muove. Lei non si è accorta di me. «Buongiorno anche a te» esclamo con tono ironico e malizioso. «Fede!» Si gira  di scatto. «Ho fatto i pancake! Ne avevo una voglia, ti ho preso una maglia perchè la mia l'ho sporcata.» Io la guardo e rido. «Perché ridi?» chiede lei. «mi fa ridere come sei.» «E come sono?» «sei semplicemente te.» Arrossisce. Mi mette il pancake davanti. Aveva un aspetto delizioso. Lo mangiamo entrambi. Era buono. «Sono fortunato ad avere come migliore amica un cuoco». Mi guarda. «Io non sono un cuoco. Io sono solo una cameriera. Lo sai.» «per me…» la guardo. «potresti fare la cuoca. Anzi no! La chef!» Si mette a ridere. Eccolo. Quel piccolo sorriso. Quel fantastico piccolo sorriso. Ci vuole così poco, una battuta giusta al momento giusto. E ritorna il sorriso. A chiunque.
«Eh insomma…» mi guarda. «Che hai deciso di fare domani?» domani? «Cosa devo fare domani?» chiedo confuso. «Come cosa c’è? Martina. Tre quattro giorni. Ricordi?» Risponde lei. Cazzo! Domani è il grande giorno. Me ne ero dimenticato! «La cercherò.» Dico con aria convinta. «Bravo. Così ti voglio» Grida Anna. «Chi devi cercare?» una voce da dietro le mie spalle. Sofia. Mi giro di scatto. «Ma te che cosa ci fai qui? La scuola?» esclamo. Sofia mi si avvicina. Mi guarda negli occhi. «Fratellone caro…» sussurra. «Io la domenica a scuola non ci vado» Domenica? Oggi è domenica? Cavolo sto perdendo la cognizione del tempo. È quindici giorni che per me ormai non c’è ne lunedì ne domeniche. Tutti i giorni sono stati più o meno uguali. La mattina mi alzavo. Stanco perché non dormivo la notte. Mangiavo quel poco che c’era. Mi buttavo di nuovo sul letto. E pensavo. Fino alla sera. Senza pranzare. Senza ascoltare nessuno. Per quindici giorni sono stato un’ameba. Un vegetale.
«Effettivamente hai ragione.» Esclamo. Mi guarda. Prende un bicchiere e lo riempie con il latte. «eh quindi…» mi guarda. «Chi devi sentire domani?» ecco. Che ficcanaso. Come al solito. «Non lo so.» Improvviso io. «Come sarebbe a dire che non lo sai?» chiede lei confusa. «semplice. Non conosco la persona con la quale devo uscire.».
Sofia beve il suo latte. «voi grandi siete davvero strani.» Guarda Anna. Si alza. E se ne va salutando. Anna si mette a ridere. «Cosa hai da ridere?» dico infastidito. Anna si avvicina. «Comunque ha ragione…» sussurra. «te la notte sembri un trattore!» e si mette a ridere. Sbuffo infastidito. Anna accende lo schermo del suo telefono. «Cavolo sono le 11. Devo andare al ristorante!» Io la guardo.  «Di domenica?» lei si alza. Si mette il giacchetto di pelle. «certo! Stasera abbiamo un matrimonio!» esce dalla casa salutando. Io mi guardo intorno. Sofia è nella sua stanza che ascolta la musica. Entro in camera. Mi sdraio sul letto. Suona il telefono. È mamma.
 Pronto
 Fede sei sveglio? - che domanda stupida.
 No mamma… sto ancora dormendo - Rispondo sarcastico.
 Ho visto che stanotte Anna ha dormito da noi. È tutto a posto?
 Si mamma, poi ti spiego.
 Ok… cosa fai oggi?
 non lo so… credo che starò a letto. Come sempre.
 Perfetto.  Potresti accompagnare tua sorella a comprarsi un vestito? Stasera ha un compleanno. - Sbuffo.
 Così ti svaghi un po’. Va bene?
 Ok. - dico rammaricato.
 Grazie mille. Sei il migliore. - Riattacca.
 ciao anche a te. -  Esclamo da solo.
Vado in camera di Sofia. «Sofy!»  «Dimmi!» urla lei.  «oggi ti porto a comprare un vestito.» Gli dico. «CHE COSA?» urla contenta. «Dove? Quando? Perché?...» presa dalla gioia inizia a farmi mille domande a raffica. «Non lo  so!» urlo. « calmati e poi oggi pomeriggio decidiamo» «va bene grazie fratellone! Sei il mio fratello preferito» eh grazie… sono l’unico.
Nel pomeriggio io e Sofia andiamo in un centro commerciale a comprare il vestito. Andiamo nel reparto per le bambine. «Quale ti piace?» chiedo a Sofia. «Non lo so…» Dice rammaricata. Che bello! Non gliene piace nemmeno uno. Indosserà un vestito che ha già. Possiamo andare. «… mi piacciono tutti!» CHE COSA? Spalanco gli occhi! «Non te le vuoi mica provare tutti?!» Sofia mi guarda. «Fratellone... cosa vorresti fare? Metterli te al posto mio?» basta ci rinuncio. Emettono un lieve «Va bene» in segno di resa. Sofia inizia a perlustrare ogni scaffale. Ogni vestito che vedeva si provava. Il primo che ha provato era una piccola tuta nera con una gonna corta. Troppo scollata per la sua età. Disapprovo subito. Il secondo vestito era una maglia gialla con degli orsacchiotti tridimensionali cuciti sopra. Orrenda. Il terzo vestito era simile a un tutù,  era rosa,  con un tema floreale bianco  disegnato sopra, e una gonna che raggiungeva le ginocchia. Era graziosa. «Questo è perfetto!» Esclama. Io la guardo. «Vuoi questo?» «Si» «Ok» Andiamo alle casse. Gli piace così tanto il suo nuovo vestito che non se lo vuole togliere nemmeno per andarlo a pagare. Noto che esposto davanti alla cassa. C’è una spilla con un fiocco rosa. La prendo. Gliela metto tra i capelli. Ecco. «Ora sei una principessa perfetta» Sorrido.  «Lo credi davvero?» chiede lei. Gli do un colpetto sulla spalla. «Ovvio. Sei la mia principessina.» Sorride. Paghiamo il vestito. «Ora cosa facciamo?» chiede Sofia uscendo dal negozio. «Ora andiamo a casa che mamma ti fa bella per il compleanno.» Mi guarda. «Compleanno?» chiede confusa. Non sapeva del compleanno? «stasera non hai il compleanno di un tuo amico?» chiedo. «Non sapevo mi avessero invitata» dice guardando in basso. «E perché non ti dovrebbero invitare? Sono pur sempre tuoi amici.» «Si sono amici mia. Hai ragione.» Mi parla triste. «C’è qualcosa che non va?» le domando. «No niente.» Ma non ci credo mai. Ci fermiamo davanti alla gelateria del centro commerciale. «Vuoi un gelato?» la guardo. «SI!» urla. Entriamo dentro la gelateria. Sofia chiede un gelato nocciola e fragola. Io prendo un gelato al cioccolato. Ci sediamo al tavolo della gelateria. «Quindi mi vuoi dire che è successo? Ti prometto che non lo dico a nessuno» Esclamo mettendo una mano sul cuore. Lei mi guarda mentre con la lingua si mangia il suo bel gelato. «Va bene. Però lo hai promesso.» Esclama. «promesso.» «Allora… qualche giorno fa… sono andata da Giulia. La mia compagna di scuola. Ricordi?» mi ricordo. Era il giorno dopo l’incidente.  Aveva lasciato un biglietto. Faccio un cenno di consenso. Sofia da un’altra laccata al suo gelato. «Appena sono entrata a casa sua, siamo andate a giocare. Poi lei a un certo punto mi chiede «Sofia hai presente l’amico di tuo fratello?», intendeva Tommaso.» Tommaso? Giulia lo avrà visto un o due volte. Io la guardo e faccio si con la testa. «Io gli dico «Certo. Federico e Tommaso sono grandi amici. Anche se ieri hanno un po’ discusso.» Lei mi guarda e mi fa «Sofia… Ieri Tommaso è morto.» Io non gli ho creduto.» L’ho guardata. Cazzo non gli abbiamo ancora detto di Tommy. Al funerale Sofia non c’era. «e allora…» continua. «Gli ho detto «no, Giulia. Non può essere. Ieri Tommy e Fede erano insieme.» Lei mi guarda e si mette a ridere.» Che? Si mette a ridere? «Perché» chiedo. «Perché ha iniziato a dirmi che voi non vi fidate di me, che mi trattate ancora come una bambina. Io le ho detto che era cattiva. E me ne sono andata» da un’altra laccata al gelato. «pensavo fosse finita lì…» Continua. «ma il giorno dopo Giulia ha raccontato tutto a scuola. E allora tutti i miei compagni mi hanno iniziata a chiamare «Bambinina» e a fare i peggio dispetti» Io la guardo. Ma che cazzo?! Sembra assurdo come una bambina venga trattata male per niente. «Che genere di scherzi ti fanno?» chiedo preoccupato. «Per esempio l’altro giorno…» mangia il gelato. «Matteo mi ha messo un ciuccio nello zaino. E ha detto a tutti che me lo aveva messo mamma per non farmi piangere. E hanno iniziato a prendermi in giro.» Io la guardo. «Te che cosa gli hai detto?» «Gli ho detto che non era vero. Ma nessuno mi ha creduta.» Abbassa lo sguardo.  «Quindi il loro problema è che te sei una bambina. Vero?» Esclamo. «Si. Si sentono più grandi. Ma secondo me sono solo scemi.» Dice ridendo. È ovvio che non posso restare a guardare. È ovvio che la mia sorella non può essere subire bullismo. Devo trovare una soluzione. Devo pensare a un modo per rimediare. Ecco! Mi è venuta un’idea.  Prendo il telefono. «Che cosa fai?» mi domanda Sofia. «Chiamo mamma.» Mi mette le mani sul telefono. «Non gli dire niente. Me lo hai promesso!» la guardo. «Non ti preoccupare. Io mantengo sempre le promesse.» Gli faccio l’occhiolino.  «Va bene.» Mi lascia il telefono. Faccio il numero di mamma.
 Pronto… - Risponde.
 Mamma sono fede, senti avrei bisogno di un informazione… - Esclamo guardando Sofia.
 Dimmi amore.
 Stasera Sofia dove deve andare?
 Al compleanno di Giulia?
 Si, grazie… ma dove si trova? Volevo accompagnarla io, me l’ha chiesto Sofia. - Sofia si mette le mani sulla bocca per trattenere una risata.
 Si trova a casa di Giulia. È in Via Garibaldi 8. È una villetta con un giardino. La riconosci subito. È sulla destra, ha un cancello enorme.
 Perfetto. Grazie - Ho un’idea. Riaggancio.
«Sofia il bagno di Giulia ha una finestra vero?» Sofia mi guarda e fa un “Si” con la testa. Perfetto.
Finiamo i gelati. Torniamo a casa. Sofia si prepara per la festa. Gli lascio utilizzare i trucchi di mamma. Eccola. La mia principessina. Con il vestitino nuovo. Il fiocco nuovo. Il trucco. I capelli neri, lunghi e lisciati accuratamente con la piastra. È proprio bella.
Arriva l’ora di andare al compleanno.  Porto Sofia alla casa. Dove c’erano già tutti i suoi “amici” ad aspettarla. Entriamo dentro. Ad accogliermi, c’è la mamma di Giulia. «Ciao Sofia.» Saluta. Sofia fa un sorriso. «Io sono la mamma di Giulia. Piacere… te sei?» mi chiede. Ha una voce antipatica e snob. Dall’aspetto sembra una signora molto viziata. Vestiti di marca. Trucco esagerato. Capelli tinti per nascondere i segni della vecchiaia. «Sono Federico. Il fratello di Sofia.» Allungo la mano. Lei me la stringe lentamente e in modo delicato, quasi con disgusto. Toglie la mano. «piacere anche mio.» Le dico con un finta sorriso. Non mi stupisco che la sua figlia sia così cattiva. Mi chiedo come faccia Sofia a esserne amica. «Le posso fare una domanda un po' indiscreta?» la guardo. «Potrei usare il bagno?» lei si gira intorno. E mi indica una porta in fondo al corridoio. «Certo. Lo trovi dietro a quella porta.» «Grazie mille.» Lei se ne va mentre estrae un fazzoletto dalla tasca per pulirsi le mani. Quanto è stupida la gente. Mi abbasso per parlare con Sofia. «Sofia…» gli dico. «… mi sapresti dire chi è Matteo?» lei si guarda intorno. E poi fa un cenno con la testa. «è il bambino con la maglietta blu. E i pantaloncini marroni.» Maglia blu. Pantaloni marroni. Lo vedo. È un bambino della stessa età di Sofia. Ha i capelli neri arruffati.  Sta parlando con un suo amico. «Bene. Vado un attimo al bagno. Appena vedi che Matteo va al bagno mandami un messaggio.» Gli passo il telefono. «Va bene… ma cosa vuoi fare?» chiede lei. «Ti voglio dimostrare quanto è facile essere giudicati.» Mi alzo «Ora vai a giocare…» lei fa una corsa verso Giulia. Che la saluta con un cenno. Che bella amica. Vado al bagno. Noto che la finestra si affaccia sul giardino. È molto grande. La apro leggermente. Esco dal bagno, buttando giù lo sciacquone. Mentre saluto Sofia sento Matteo che la prendeva in giro da lontano. Sofia fa finta di non sentirlo. Brava! L’indifferenza è la migliore arma contro chi ti vuole male. Saluto la mamma di Giulia. Lei mi saluta con un sogghigno orrendo. Faccio finta di sorridere. E esco dalla casa. Vado senza farmi vedere nel giardino. Alzo il cappuccio della felpa per non farmi vedere la faccia. Mi metto a sedere sotto la finestra del bagno. E aspetto. Dopo una mezz’oretta mi suona il telefono. Era Sofia. «FRATELLONE… MATTEO STA ANDANDO IN BAGNO» perfetto.
Mi preparo. Sento aprire la porta. Mi affaccio dalla finestra con solo metà faccia. Vedo Matteo che entra nella stanza.  Si abbassa i pantaloni. E fa pipi. Appena finisce va al lavandino a pulirsi le mani.  Ecco. È il mio momento. Entro furtivamente dalla finestra. Matteo si gira. Io prendo con la mano un po’ d’acqua dal rubinetto aperto. Lui è terrorizzato. Urla. Mi metto davanti alla porta. Gli tiro l’acqua sui pantaloni. Davanti alla cerniera. Questa è la volta che mi arrestano.  Faccio uscire Matteo dal bagno nelle grida e nelle lacrime. «AIUTO! C'E' UN LADRO! AIUTO!» Esco velocemente dalla finestra. La chiudo. Scappo dalla casa in preda alle risate. Monto in macchina. Aspetto dieci minuti. Chiamo Sofia.
 Pronto…- Risponde ridendo.
 Sofia è tutto a posto?
 Si si… c’è Matteo si è fatto la pipi addosso!
 Come si è fatto la pipi addosso?- Faccio finta di non sapere niente.
 Si… è uscito dal bagno urlando. Diceva che un ladro gli aveva tirato l’acqua sui pantaloni… una scusa migliore non la poteva inventare? - povero bambino. Così impara a prendere in giro la mia sorella. Mi metto a ridere.
 ok… quando vuoi andare via dimmelo che ti passo a prendere… va bene? - dico felice.
 Va bene… Ora devo andare che c’è Giulia sta prendendo in giro Matteo. È divertentissima.
Mi riattacca.
Rido. Quando sei bambino è semplice giudicare qualcuno. Solo per uno sbaglio. Solo per un errore. Anche se, a volte, è ancora più semplice per gli adulti condannare per uno sbaglio. Chiunque nella vita può sbagliare. Chiunque può essere giudicato. L’importante è fregarsene. Sofia su una cosa ha ragione “Si sentono grandi. Ma sono solo scemi”. Ma quando non dobbiamo smettere di sentici grandi? Forse siamo tutti scemi.
Guardo l’orologio. È le 10 e mezza. Metto in moto la macchina. Faccio un giro del quartiere. Sembra un quartiere altolocato. Ci sono villette, alcune delle quali con la piscina. Mi domando se tutte le famiglie sono come quella di Giulia. Antipatiche. Cattive. Viziate. Ma non credo. I soldi non dicono come sei. Quello lo decidi tu. Mi fermo in un parcheggio antistante a un parco. Scendo dalla macchina. Mi incammino all’interno del parco. Mi siedo su una panchina. Poco più distante da me noto una coppia di ragazzi che si scambiavano calorosi baci. Che bello. L’amore.  È la cosa più bella che crea il destino. Come fa una singola persona a cambiare per un’altra persona? Cosa è quel dolore allo stomaco che è presente ogni volta che vedi qualcuno che ami?  L’amore è tante incognite. Non ti dà risposte. Per ogni domanda ce ne sono altre cento dietro al quale non sai rispondere.
Sento un urlo. Mi giro di scatto. Vedo dei ragazzini giocare a calcio. Sono veramente bravi. Stanno facendo una partita uno contro uno. Si scartano a vicenda. Ridono scherzano. Poi uno dei due tira la palla fuori dal campo. Finisce sotto la mia panchina. Mi piego per prenderla. Il ragazzo che ha tirato la palla fuori dal campo mi si avvicina. «Palla!» mi grida. Gliela passo. Con un piede la stoppa. Quell’altro ragazzo lo guarda. «Muoviti dai che tra dieci minuti dobbiamo andare a casa. Tommy» gli urla. Lui si gira. «Grazie» mi urla. E torna a giocare con  l’altro ragazzo.
Tommy. Tommaso. Cavolo. Oggi ho pensato veramente poco a Tommy. Mi manca quel ragazzo. Cavolo. Ogni notte i suoi occhi occupano i miei sogni. Le sue parole si intensificano. Di giorno si placano. Ma la notte. Danno il peggio di loro. Mi logorano. Mi fanno agitare, sudare. Mi manca Tommaso.  E il mio inconscio lo vuole urlare.
Mi suona il telefono. È Sofia.
 Pronto…- Rispondo.
 Fratellone… qui stanno andando via tutti…- esclama lei - Mi ripassi a prendere?
 Eccomi. Due minuti e sono da te.
Riaggancio.
Parcheggio davanti alla casa di Giulia. Suono al campanello. «Chi è?» è la voce della mamma di Giulia. «Sono Federico.  Il fratello di Sofia» «Ah già.» Apre il cancello. Ma perché ce l’ha con me? Che donna strana. Entro dentro il cancello. E vedo Sofia in compagnia di Giulia e della sua mamma. «Come si è comportata?» chiedo. «Si. Bene. È una brava bambina» mi risponde la mamma senza degnarmi nemmeno di uno sguardo. «Bene. Bene».
Sofia si avvicina a me. Si gira. Alza la mano e saluta Giulia. «ciao Giulia. Ci si vede domani a scuola!» Esclama contenta.
Usciamo. Montiamo nella macchina. «Eh insomma… come è andata?» Chiedo. « È stato fantastico! Matteo è dovuto andarsene da quanto si vergognava. Ha iniziato a piangere. Sembrava proprio un bambino. » ride. «E con Giulia? Hai risolto?» «Si! Siamo tornate amiche, e mi ha chiesto scusa.» «Bene! Sono felice per te.» «Fratellone ti posso fare una domanda?» «Dimmi pure.» «Il ladro di cui parlava Matteo eri te?» Cazzo, mi ha scoperto! «Io? No.» Mento spudoratamente. «Secondo te il tuo fratello potrebbe mai entrare dalla finestra di un bagno solo per bagnare un tuo amico?!» Sofy ci pensa un po. «Hai ragione! Non lo faresti mai!» Scampata! Credo. Ritorniamo a casa. Lei va in camera. Mamma e papà stanno dormendo. Anche io mi sdraio sul letto. Guardo l’orologio sul muro. È mezzanotte.
Cazzo! È mezzanotte! Oggi è il giorno dove devo chiamare Martina. Che gli dico? Che gli scrivo? Che faccio? Prendo il telefono. Cerco nella rubrica il numero di Martina. Lo ha salvato come “MARTINA CAFFÈ”. Ovvio. Mi ha offerto un caffè. La devo chiamare. Premo sul numero. La sto chiamando. Squilla.
 Pronto… - Esclama una voce femminile assonnata.
 Martina? - chiedo.
 No… ha sbagliato numero mi dispiace - CHE CAZZO STAI DICENDO?
 Ah… ok… mi scusi per l’ora
Riaggancio deluso.
Che? Stiamo scherzando? Mi ha lasciato il numero sbagliato. E ora come la contatto? Come la rivedo? Che stronza! Merda. Sono incazzato. Lancio il telefono nell’armadio.  Sento un tonfo. Non ci faccio caso. Guardo il soffitto. Penso. Come mai mi ha dato il numero sbagliato? Mi sembrava ci fosse stata dell’intesa. Non pensavo di dover essere preso per il culo. Ho buttato via tre giorni della mia vita pensando a una ragazza che non esisterà più. Basta! Che me ne frega?! Se non si vuole fare trovare non la cercherò. Provo a do rmire. Sono turbato. Come tutte le sere. Sudo. Mi agito. «Te sei solo una merda!» la frase che non mi fa dormire. Gli occhi che continuano a fissarmi. Corro. Sto correndo. In una strada. Dietro di me Tommy. In moto. Mi insegue. Non ho più fiato. Sto correndo troppo. Mi giro vedo delle luci. Sento un clacson. Una frenata. Mi ritrovo a terra. Ho la moto di Tommy sopra di me. C’è una macchina distrutta poco più avanti. Sto guardando il cielo. È notte. Vedo le stelle. Non sento dolore. Cerco di muovere la gamba non mi muovo.  Sono immobile. Non riesco a muovermi. Urlo. La figura di Tommy mi sovrasta. Mi sta fissando. Mi si avvicina. «Tommy aiutami!» urlo. Lui continua a fissarmi. «Te sei solo una merda!» sussurra. Sento odore di benzina. Che cazzo sta succedendo? Sento odore di bruciato. Vedo una fiamma. «Tommy aiutami!» grido. Lui continua a fissarmi. «Te sei solo una merda!» Continua.  «Tommy mi dispiace! Non è colpa mia! Mi manchi da morire. Ora liberami. Aiutami!» grido. Urlo. Lui mi guarda. Immobile «Te sei solo una merda.» Lo ripete. «Te sei solo una merda» di nuovo. Vedo la moto prendere fuoco. Sotto la mia gamba. Urlo. Piango. Sento un botto. «Aiutami!» grido. Mi alzo di scatto. Apro gli occhi. Era l’ennesimo incubo. Non ce la faccio più. Devo trovare una soluzione a questo problema. Devo disperdere i pensieri. Devo dormire. È mattina. Sento il telefono suonare. Dove è? Dove l’ho messo? Lo cerco. Lo sento suonare. Il suono viene dall’armadio.  Ovvio, ce l’ho lanciato io. Cerco per terra. Trovo lo scatolone che mi ha lasciato la mamma di Tommy. C’è dentro le sue cose. Mi sono promesso di non aprire quella scatola finché non starò meglio. Finché i miei incubi non svaniranno. Continua a suonare il telefono. È sotto la scatola. Come diavolo c’è finito la sotto?! Lo prendo. È Anna.

 Donna…- la chiamo io.
 Dobbiamo parlare! - dice con un tono secco.
 Che è successo?
 Non te lo posso dire al telefono. Troviamoci al bar tra un ora.
 Va bene… mi sono svegliato ora… il tempo di lavarmi e arrivo. - Sono assonnato.
 Perfetto
Riaggancia.
Mi alzo dal letto. Vado in cucina.  C’è mamma che sta preparando qualcosa ai fornelli. «Buongiorno» Esclamo sbadigliando. «Buongiorno!» Sorride. «Ti devo preparare qualcosa da mangiare o fai colazione fuori?» mi chiede. «La faccio fuori grazie.»  «Come è andata ieri sera?» «Tutto bene. Sofia si è divertita.» «Bene… sono contenta…» «Mamma ti devo dire una cosa…» «Dimmi… mi devo preoccupare?» «No…si… non lo so in realtà» «Cosa è successo?» «Il fatto è che… da quando Tommy non c’è più non riesco più a dormire… faccio sempre degli incubi…» «ho capito…» sospira lei. «Che genere di incubi sono?» «Per esempio…» ripenso al sogno di stanotte «...Stanotte ho sognato che al posto di Tommy su quella moto c’ero io. E lui non voleva aiutarmi. Ti giuro. Sto male solo a ripensarci.» Esclamo. «Secondo me…» pensa. «Questi tipi di sogni vogliono dirti qualcosa…» Io la guardo in modo strano. «...non so… magari devi ancora liberarti da qualche peso.» Forse non ha tutti i torti. Io e Tommy ci siamo lasciati litigando. Ma per una questione che non mi è chiara per niente. Forse devo ancora realizzare tutto ciò che è successo quella sera. «Nel frattempo…» Esclama. «Se vuoi posso passarti a prendere un tranquillante  in farmacia. Ma non credo tu ne abbia realmente bisogno.» Risolvere la situazione con un tranquillante? Sembra la strada più facile. Ma non sempre quella più facile è anche la più giusta. Devo risolvere questa questione. «No. Grazie mamma. Per ora non mi servono. Però su una cosa credo tu abbia ragione…» Esclamo. «devo chiudere una questione in sospeso. E lo devo fare il prima possibile.» Guardo l’orologio. È tardi. Mi ricordo dell’appuntamento con Anna. Mi alzo. Saluto e ringrazio mamma.
Vado al bar. C’è Anna che mi aspetta seduta al nostro solito tavolo. La saluto con una mano. Mi metto a sedere. «ciao!» Esclama.  Ha tra le mani un cappuccino. E noto che ha un secondo cappuccino vicino. «Mi sono permessa di comprarti il cappuccino…» esclama passandomi la tazza. È ancora calda. «oh grazie.» Sorrido. «Che è successo?» Esclamo. «Ecco… ieri sera al mio ristorante c’era un matrimonio ricordi?» Ci penso un attimo. «Si ricordo.» «Bene… e io facevo la cameriera ai tavoli… a un certo punto, davanti a me mi ritrovo Giulio.» GIULIO? Il ragazzo che l’ha violentata? Si è permesso di rimettere piede in quel ristorante. Spalanco gli occhi. «Io rimango pietrificata.» Continua lei. «e ho pensato «Ora vado la e lo riempio di botte» allora ho preso un piatto, sono andata dietro di lui… lui si è girato. Mi ha guardata dritto negli occhi… volevo frantumarglielo in faccia quel piatto…» «E lo hai fatto?» chiedo curioso io. Lei abbassa lo sguardo. «No.» CHE COSA? Spalanco nuovamente gli occhi. «Appena mi ha guardato mi ha chiesto come mi chiamavo. Non si ricordava di me. Non si è ricordato di me. E allora dentro di me ho pensato che sarebbe stato inutile. Non avrei risolto nulla con la violenza. Chissà quante donne ha violentato prima e dopo di me…» dice con gli occhi lucidi. Gli prendo le mani. «Io non voglio che il mio bambino abbia un padre così, non voglio nemmeno che lo conosca, non voglio.» Esclama. «L’ho lasciato perdere. Un uomo di merda resta un uomo di merda. Anche se dopo sono dovuta andare via dal lavoro. Non ce la facevo a stare nella stessa stanza insieme a lui.» La guardo. Non posso credere che abbia preso questa decisione. Inoltre non mi ha solo detto che non vorrebbe fracassare di botte il suo violentatore. Mi ha anche detto che vorrebbe tenere il bambino. «Ma quindi hai deciso di tenerlo?» chiedo io. Lei mi guarda. «Cosa ho da perdere? Lui, il bambino, non ha fatto nulla. Non è colpa sua se è successo quello che è successo… e poi sento che sarò un’ottima mamma!» Io la guardo contento. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?» «Sinceramente?» Sospira. «È stata Sofia.» Sofia? «mia sorella?!» «Esatto!» «Perché?» «Perché la scorsa mattina quando è venuta da noi mentre si faceva colazione mi ha fatto pensare ad alcune cose…» Guarda un po’ intorno. «mi ha fatto pensare a quanto desiderassi un figlio, al perché ne volessi uno, mi ha fatto pensare a come fosse stata la mia vita con un figlio accanto.» «E tutto questo grazie a Sofia» Esclamo.  «Si! A proposito… ti devo chiedere una cosa…» «Dimmi pure…» «io e te ci conosciamo da una vita ormai… e te sei la persona di cui mi fido di più al mondo…» «Mi stai facendo preoccupare» metto le mani in avanti. «Fede non te lo chiederei se non mi fidassi di te.» «Cosa?» «Vuoi fare da padrino a mio figlio?» da padrino? Io? Che cosa? Non so nemmeno cosa sia un padrino?! «Va bene» Esclamo con voce insicura. «Grazie mille!» sorrido.«Voglio sapere che se mi succedesse qualcosa lui, o lei, possa vivere con qualcuno col quale fidarsi» è felice. Si vede. Mi piace. Quando sorride. È troppo bella. Si vede la forza di una donna matura.«Fermati!» Si sente un urlo provenire dal balcone. Un barista fa un salto sul bancone. E si mette a correre fuori dal locale. «Che è successo?» Chiedo. «Non lo so... » Dopo qualche minuto il barista rientra nel locale. Ha il fiatone «E' scappato!» Il cameriere si avvicina e gli porge un bicchiere d'acqua. «Ma che aveva fatto?» «Quel ragazzo ha rubato dalla slot!» « E' riuscito a scassinarla! Sapevo che dovevamo mettere le telecamere! Questa è la terza volta che ci frega!» Sembra affranto. Anna mi guarda. «ehi!» urla battendo i palmi sul tavolo. «Ma oggi è il grande giorno!» «Il grande giorno?» «Martina...Tre giorni… ricordi?» Cazzo! Martina! La stronza che mi ha fatto perdere il cervello, ma mi ha dato il numero sbagliato. «L’ho chiamata» Rispondo deluso. «E come è andata?» chiede curiosa lei. «mi ha dato il numero sbagliato.» Anna rimane immobile. A fissarmi.  «Come sarebbe a dire che ti ha dato il numero sbagliato?». «Stanotte ho provato a chiamarla. Non mi ha risposto lei.» Abbasso lo sguardo. «Cavolo fede… mi dispiace» «anche a me»«Va bhe... Ci ha perso lei, fidati.» Sorrido. In effetti… non mi è rimasto altro che sorridere. Sono stanco. Di tutto. In due settimane la mia vita è stata stravolta. Si è ribaltata. E ogni piccolo problema adesso torna alla luce. Sembra che la morte di Tommaso sia stata la scintilla che ha dato il via a tutto. Anna che rimane incinta. Sofia che viene bullizzata a scuola. Le ragazze che mi prendono per il culo.  Sto provando a superare ogni difficoltà. Ma come ne supero una ecco che se ne presentano altre dieci. E io non ce la sto facendo più. 
Mi suona il telefono. Non è un numero che conosco. Rispondo.
 Pronto…
 Fratellone…. - È Sofia. Ma non è a scuola? Sta piangendo. - Potresti passarmi a prendere?
 Che è successo? - chiedo preoccupato.
 Non voglio più stare in questa scuola!
 Eccomi arrivo subito insieme a Anna - mi alzo di scatto.
 Va bene! - Esclama Singhiozzando.
Riattacca.
«Che è successo?» chiede Anna alzandosi dal tavolo. «È successo qualcosa a Sofia a scuola.» «E perché ha chiamato te e non i tuoi genitori?» «Perché deve essere successo qualcosa che mamma non dovrà sapere»
Montiamo in macchina. Nel tragitto spiego cosa è successo ieri al compleanno, cosa facevano i compagni di classe  Sofia, e come reagiva lei. «Ma sei impazzito?» Risponde incazzata lei. «Che ho fatto?» «Che hai fatto? Sei entrato in casa di una, hai maltrattato un ragazzino, e lo sicuramente lo avrai traumatizzato a vita!» «Sei un po' esagerata, non credi?» «Fede, ci sono modi differenti per risolvere le cose, e te sicuramente hai scelto il modo sbagliato!» «Ma alla fine il risutato è lo stesso.» «Ma no! I bambini sono... come dire... Bambini! Ogni cosa contro di loro per loro è una minaccia. E se questo ragazzino prima si comportava male... adesso si comporterà di conseguenza.» «Anna, sinceramente ora non mi interessa come stia quel bambino, l'unica cosa che mi interessa adesso è vedere come sta Sofia.»« Va bene... ma, qualsiasi cosa sia successa... evita le scenate davanti a lei... per favore.»« Va bene. Te lo prometto.» Arriviamo alla scuola di Sofia. Entriamo nell’ingresso e davanti a noi troviamo il bidello. «Tu sei il fratello di Sofia?» chiede. Io lo guardo. Gli faccio un si con la testa. Lui alza il dito indice verso una porta in legno con una piccola finestra in vetro con su scritto «5 D». La classe di Sofia. Busso. Mi apre la porta una signora con una quarantina d’anni. Era la maestra di Sofia. «Buongiorno, lei è il fratello di Sofia?» «Si sono io. Dove è Sofia?» Esclamo preoccupato. «È in infermeria con la mia collega.» In infermeria? Che diamine è successo? «Che cosa ha combinato?» chiedo più preoccupato. La maestra mi fa uscire dalla classe. Esce pure lei. Accosta la porta. «La sua sorella soffre di qualche problema?» chiede sottovoce in modo schietto. Io la guardo allibito. «Qualche problema?» «Si… schizofrenia, autolesionismo, sbalzi d'umore?» Io la guardo. Ma che si è fumata questa? «Ma che sta dicendo?» Esclamo sconvolto «Voglio solo vedere mia sorella.» Anna rimane a bocca aperta.  «Io... io... vado in infermeria a vedere come sta So...Sofia...» Esclama balbettando. «...te rimani a parlare con... con la maestra». La maestra mi guarda con la pena negli occhi. «Il fatto è…»Continua «…che tutta la classe ha visto ciò che ha fatto. E non posso non passarci sopra.»  «Ma cosa ha fatto?» «Tutta la classe ha ammesso di aver visto Sofia mentre si tagliava con il taglierino una gamba» Si tagliava una gamba? Ma siamo impazziti? Ma stiamo parlando della solita Sofia?
«Fratellone!» emette una voce dietro di me. Mi giro. C’è Sofia mano per la mano con Anna. Ha una fasciatura alla gamba al livello della coscia. Mi avvicino a lei. «Che cosa è successo?» chiedo a Sofia inginocchiandomi. Lei mi guarda. «Ero in classe…» Singhiozza «la maestra era uscita per andare a fare... a fare le fotocopie... A un certo... a un certo punto arriva Matteo con un taglierino. Diceva che lui era grande, che lui era il migliore, e poi mi ha tagliato. Io mi sono messa... a piangere e allora la maestra è rientrata e nessuno mi dava ragione... Mi prendevano in giro tutti.» Si mette a piangere. «Pazza!» sento urlare da dietro. Mi giro. C’era Matteo che guardava da fuori della porta della classe. La maestra lo fa rientrare. Io mi giro verso Anna. «Anna puoi portare fuori Sofia?» Anna mi guarda preoccupata. «Fede non fare cazzate!» «Porta fuori Sofia.» Anna prende Sofia e la porta fuori dalla scuola. Guardo la maestra. «Signora…» le dico «lei ha definito schizofrenica e autolesionista mia sorella perchè lei è così idiota da non sapere fare il suo lavoro?!» lei mi guarda. «Ma come si permette?!» «Come mi permetto? Sta scherzando vero? Mia sorella non vuole più venire a questa scuola di merda perché voi maestre non sapete fare una sega!» «Lei non ha il permesso di parlarmi così!» «Ha ragione… non ho il permesso!»Sbatto la porta della classe. «Cosa fa?» urla la maestra. Cerco Matteo. È seduto al primo tavolo. Prendo il banco lo scaraventa contro la scrivania. Lui rimane seduto sulla sua sedia. Terrorizzato. Tutta la classe si allontana in fondo all'aula. «Che c’è? Ora non sei più grande?!» gli dico. La maestra cerca di fermarmi tirando per una mano. «Lei è pazzo!» «Io sono pazzo? Qui siete voi che siete pazzi!» Matteo rimane seduto. Continua a guardarmi terrorizzato. Si fa la pipì addosso. Entra Anna nella classe. «Fede fermati!» urla. Mi fermo. Esco dalla classe sbattendo la porta. Esco dalla scuola. C’è Sofia seduta sulle scale dell’ingresso. «Andiamo!» Esclamo.  Anna mi sta rincorrendo. «Che cosa credevi di fare?!» Esclama.  «Che cosa credevo di fare?! In questa scuola non c’è una persona sana di mente. Mi hanno detto che la mia sorella è schizofrenica solo perché un bambino si crede di avere vent’anni. Ma dove si credono di essere?» «E spaventare a morte un bambino è il sistema migliore per risolvere la situazione?» «Forse! Non so più cosa fare!». Sofia si spaventa. Si nasconde dietro ad Anna. «Fede… calmati!». Faccio un respiro.  E poi ne faccio un'altro. E un'altro ancora. Non ce la faccio più a mantenere la calma. Prima o poi esploderò. Sento che la rabbia mi sta logorando. Non riesco più a sistemare le cose. Come diavolo risolvo la situazione? Faccio un sorriso a Sofia. La guardo. «Sofia...» Esclamo con un filo di voce.  «....Andiamo, ti porto a casa». Lei mi guarda. Scuote la testa e continua a stare nascosta dietro a Anna. Rimango stupito. Non si fida di me. Certo. Non lo farei nemmeno io. Nemmeno io mi fido di me in questo momento… mi immagino gli altri. Anna si gira verso Sofia. Si inginocchia. «Andiamo dai…» gli sussurra. «Oggi ci sono anche io a pranzo da voi. E se fai la brava ti svelo un piccolo segreto che solo io e tuo fratello conosciamo.» «Davvero?» chiede Sofia. «Certo, promesso!» Esclama lei. «Va bene».
Torniamo a casa. Chiamo mamma e gli spiego cosa è successo a scuola.
 Non puoi venire qui a pranzo?
 Fede lo sai che il lavoro mi occupa troppo tempo. E non posso muovermi. - Sempre così. Quando ho bisogno di qualcuno, non c’è mai nessuno, nemmeno i miei stessi genitori.
 Va bene. Verso che ore torni?
 Torno verso le 8. Prima è meglio se passo da scuola a chiarire la situazione con gli insegnanti.
 Va bene!
Riattacco.
Anna e Sofia preparano il pranzo insieme. Io mi sdraio un po’ nel letto. Sono troppo stanco. E è solo mattina. Mi metto a guardare il solito soffitto. Mi piace. È rilassante.  Mi sdraio sul letto, guardo il soffitto, e penso. Come è cambiata la mia vita nel giro di due settimane? Come potrà andare avanti? Quali cambiamenti mi aspettano? Ho veramente paura di esplodere da un momento all'altro. Devo riuscire a rilassarmi. A far sfogare la mia rabbia. Devo calmarmi.
Mi alzo. Vado in cucina. C’è Anna abbracciata a Sofia. Anna mi guarda e con  le labbra mi mima un “Gli ho detto del bambino”. Faccio un sorriso. «Cosa ne pensi Sofy?» chiedo. Sofia guarda Anna. «Penso che sarà una mamma fantastica.» Si staccano dall’abbraccio. Anna ringrazia Sofia. E ci si prepara per il pranzo.

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