Passano i giorni.
Sono davanti alla casa di Tommy. Le mie notti sono sempre più agitate. Le mie giornate sono vuote. Passo gran parte del tempo sul letto. Guardando il soffitto. Anna non la vedo da una settimana. Dal giorno del funerale. Cazzo che giorno orrendo è stato. I genitori di Tommy erano distrutti. Avevamo il mio stesso sguardo. Ma il loro era più vuoto. Tommy era figlio unico. Era il loro unico figlio. Come è ingiusta la vita. Quel giorno pensai molto a lui. Anche se per tutta la cerimonia avevo nella testa le sue ultime parole. Oddio. Ricordo ancora come era vestito. Era molto elegante. L'abito nero. La faccia sorridente. Quando eravamo più piccoli fantasticavamo sul fatto che quando ci saremmo sposati ognuno di noi avrebbe fatto da testimone all'altro. E ora. Io porto la sua bara a fianco del padre. Entrambi con gli occhi gonfi di lacrime. Entrambi con lo sguardo vuoto.
Stamani prima ancora di alzarmi ho trovato un messaggio nel cellulare, da parte della mamma di Tommy. «CIAO, POTRESTI VENIRE A CASA MIA? DOVREI LASCIARTI DELLE COSE.»
Che cosa mi dovrà mai consegnare? Busso. Dopo pochi secondi sento una voce provenire dal citofono «Chi è?» era la mamma di Tommy. «Michela sono Federico. Ho ricevuto il tuo messaggio». «Ah si certo. Accomodati».
Sento la porta aprirsi. Entro. La casa era stracolma di scatoloni. Cosa stavano facendo? Da un angolo vedo sbucare la testa di Michela, la mamma di Tommy. «oh eccoti qui!» Esclama. «ti volevo dare delle cose. Aspetta che la vado a prendere». L'aria indaffarata non riesce a coprire gli occhi gonfi di una madre che piange ogni giorno. Esce dalla stanza. «se vuoi fare un giro. Fai pure!» urla da una stanza più distante. Quanto vorrei fare un giro. Ogni passo che faccio mi riporta alla mente innumerevoli ricordi. E forse capisco ciò che sta facendo la mamma di Tommaso. Prepara i cartoni per traslocare. Ogni angolo di questa casa mi ricorda Tommaso e mi logora il cuore. Non voglio immaginare cosa si provi a essere i genitori di un figlio che ormai non c'è più. Se perdi un marito o una moglie sei vedovo. Se perdi una madre o un padre sei orfano. Ma se perdi un figlio cosa sei? Sei vuoto.
Ecco che ritorna Michela. Ha uno scatolone. «Ecco qua!» Esclama passandomelo tra le mani. «Queste sono cose che Tommaso avrebbe voluto tenessi tu, ne sono certa.». «Ok...» rimango stupito per il peso dello scatolone. Guardo Michela negli occhi. Sono stanchi. Si vede. «Come stai?» chiedo. Domanda più stupida non la potevo fare. È ovvio che sta di merda. È ovvio che una parte di lei se ne è appena andata. Adesso le risposte possibili sono due. «Male.» Dicendomi la pura e semplice verità. E come si affronta la verità? Rimarrei fermo a guardarla. Sperando in un'altra domanda o «Bene» facendo finta di nulla. Mentendo. E pensando che quello che sta passando lei io non lo stia passando. E io in modo egoistico me ne andrei sorridendo. Pensando che quel piccolo sorriso gli allievi quel poco di dolore che vuole nascondere. Quasi mi vergogno di quella domanda. Talmente stupida. Talmente inutile. Michela mi guarda. Fa un respiro profondo. «Passerà». Passerà? Che risposta è? Cosa passerà? Il dolore? La mancanza di un figlio? Cosa? La guardo. Appoggio lo scatolone a terra. L'abbraccio. Ricordo che mia madre mi ha insegnato che quando una donna dice «passerà» è il suo modo segreto per chiederti un abbraccio perché sa che non sarà così. E ora capisco che Michela nonostante voglia mostrarsi forte ha il cuore in frantumi. Che adesso ha solo bisogno di qualcuno che l'abbracci. Siamo stati legati in quel nodo per qualche minuto. A stento ho tenuto le lacrime. Michela no. Ha pianto. Era strano. Sembrava che il suo dolore uscisse fuori ad ogni lacrima. Si liberasse. Invece io le mie lacrime le trattenevo. E insieme a loro anche il mio di dolore. Cazzo se mi logorava dentro. Ci sciogliamo dall'abbraccio. Michela si sistema un po' i capelli, si asciuga le lacrime e mi sistema la maglietta un po' inumidita. «Grazie» mi sussurra. «Di niente.» Esclamo sorridendo. Che sorriso falso. Volevo urlare mille parole. Volevo urlare che il suo figlio mi mancava da morire. Che penso costantemente a lui. Che volevo parlarci ancora. Ma non l'ho fatto. Ho preferito mostrarmi forte davanti a una persona che naturalmente stava condividendo il mio stesso dolore, solo un po' più amplificato. Perché? Perché non riesco a mostrarmi debole davanti a qualcuno mentre quel qualcuno si apre davanti a me? La mia finta maschera tende a mostrare ciò che non sono. Io sono solo una merda.

STAI LEGGENDO
TOMMY
Chick-LitLa vita di Federico viene stravolta dalla morte del suo migliore amico Tommaso "Tommy" dopo una tremenda litigata che lo porterà a conoscere una giovane ragazza di nome Martina... molto mistero, molti colpi di scena, molta frustrazione e molto diver...