Tutto cominciò con i primi blackout, ma è un particolare di cui si rese conto tempo dopo.
Il primo fu in primavera, una sera dopo cena. Forse se lo ricordava perché aveva appena finito di guardare il telegiornale. A quel tempo lavorava ancora in un giornale locale e viveva nell'appartamento al quarto piano di uno dei tanti palazzi di un quartiere periferico qualunque. La zona non era male a quei tempi: servita dai mezzi pubblici, comoda per raggiungere il centro della città, ma abbastanza lontana per arrivare nei paesi limitrofi, molto più piccoli, e respirare un po' di campagna.
Era seduto sul letto a guardare la televisione mentre la luce saltava in tutta la città. Non che di per sé fosse una cosa particolarmente strana, ma così in contemporanea tutti i palazzi, le vie, le piazze... Non era mai successo, almeno a memoria d'uomo.
L'atmosfera era strana, e l'aria era ferma. Per strada non c'era nessuno, nessuna auto, nessun passante. E da lontano si sentiva solo la sirena di qualche camion dei pompieri che si dirigeva verso le montagne, probabilmente in direzione della centrale elettrica: un guasto, forse. Ma non vedendo nessuna nube tossica, né tantomeno funghi atomici, la cosa non aveva destato particolari sospetti. Poi, dopo qualche minuto, passò tutto. La luce era tornata, la televisione aveva ricominciato a funzionare e lo status quo era stato ristabilito. Anche per quello non gli aveva dato particolarmente peso.Fuori è buio, ma sento dei rumori, sono inconfondibili. È quasi fine estate, il caldo umido mi fa impazzire di giorno, chiuso in casa con le tapparelle abbassate, ma appena arriva il crepuscolo sto dietro le tende del balcone abbastanza a lungo perché i miei occhi si abituino all'oscurità, fino a che riesco anche a vedere dei movimenti scrutando nelle fessure tra le tende e la ringhiera.
Poi i blackout cominciarono a farsi più frequenti. Uno ogni due settimane, uno ogni settimana, e poi quasi ogni giorno.
Le notizie dai telegiornali non facevano riferimento all'assenza di luce: tutto sembrava andare bene, quando a un certo punto fu introdotta la legge marziale. Internet fu bloccato, niente televisione, si poteva solo andare a lavorare, ma unicamente nelle aziende "produttive": il terziario era stato convertito in gestione della logistica, la regola era "la mano destra non sa quello che fa la sinistra".
Tutti i telefoni erano stati messi sotto controllo, e anche per chiamare casa dal cellulare bisognava farsi riconoscere dalla signorina che con voce metallica rispondeva all'altro capo del filo.Mi appresto a uscire di casa. Ho fame, e i viveri sono quasi finiti. Per fortuna sono abbastanza protetto, e dopo il gran casino la scala del mio palazzo è rimasta disabitata. Ci sono solo io al quarto, tutti gli altri appartamenti sono vuoti. Chi è riuscito, se ci è riuscito, è scappato lontano da qui. Non so per quale fortunata coincidenza, nel mio palazzo era stata montata una sorta di generatore fotovoltaico che collega lepompe dell'acqua, e almeno dal rubinetto riesco a tirare fuori qualcosa. Il gas non è ancora saltato, e spero che tenga ancora per un po'. Sicuro non posso andare avanti così per molto.
Infine il blackout divenne totale. E per le strade si scatenò l'inferno. Gente che urlava e che correva, c'era chi saliva in macchina e preso quello che poteva sgommava a tutta velocità per le strade secondarie, cercando di evitare quelli a piedi, non sempre con successo. Ma il peggio fu la mattina dopo. Per strada era rimasto di tutto. Corpi, per lo più maciullati dalle gomme o da chissà che cosa, automobili ancora fumanti che col cofano abbracciavano impassibili alberi, detriti e resti di ogni genere a coprire i marciapiedi e parte dell'asfalto. Ma il peggio erano le urla. Urla di dolore, strazianti e straziate, che riempivano quel sabato di giugno.
Tremo. Ho fame. Sono due giorni che ho finito le scorte. Il caldo è pazzesco, non ce la faccio quasi a resistere, vorrei urlare, andare in strada e lavarmi con il getto di una fontana, ma non ci sono più fontane, e non posso farmi sentire. Ora dovrò uscire, col rischio che mi vedano; ma è sera, ed è l'unico modo per non correre troppi pericoli. In fondo, di notte, le cose sembrano più facili.
Quello che era rimasto delle forze armate, esercito compreso, aveva cercato di contenere la situazione già da quel sabato mattina. Ma forse anche dalla notte stessa. Nel caos generale, tra scontri, urla e violenza, c'erano stati anche spari, raffiche di mitra. Veloci, velocissime, poi sempre più rade, fino quasi a scomparire con la luce del giorno.
E la mattina dopo, corpi speciali interforze cominciarono a pattugliare i palazzi, alla ricerca di quelli come lui, i sopravvissuti alla notte. Bussando, ma senza molta convinzione, alle porte di tutti, a proprio rischio e pericolo. E infatti, quella jeep scoperta che aveva pattugliato la strada sotto casa sua non fece una bella fine. Si potevano ancora vedere i resti dei corpi, dilaniati, pendere dagli sportelli; dello sventurato che aveva il compito di bussare e suonare ai campanelli non rimaneva che qualche brandello di mimetica, cosparso di sangue e interiora.
Era grazie a quella jeep che era riuscito a difendersi in quei giorni, grazie al sacrificio di quei soldati che avevano lasciato armi e munizioni a due passi dal portone di casa sua.Sto per uscire. Chiuderò la porta blindata del mio appartamento, lascerò che il richiamo a molla riporti legate alla cintura le chiavi, e scenderò le scale. Di fronte a casa mia, dall'altra parte del giardino a una cinquantina di metri in linea d'aria, c'è un minimarket che sembra ancora intatto. Proverò a trovare qualcosa per poi tornare di corsa a casa. Queste sono le mie ultime righe del block-notes che ho trovato nel cassetto della cucina. Ho deciso di lasciare solo queste poche parole, come testamento, nel caso qualcuno un giorno passi da qui. In questa casa viveva un uomo che ha lottato, ha provato a resistere, che aveva sogni, desideri, ambizioni; che aveva una famiglia, una donna, una vita. Quando leggerete queste righe forse saprete cos'è successo realmente. Io vado. Ho fame. Ed è già notte.
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Apocalisse Ora
HorrorUn racconto in divenire diviso in parti; un sopravvissuto all'apocalisse, in pericolo di morte in un mondo diverso e stravolto fin nelle sue radici, cercherà di non arrendersi alla fame e alla fine del mondo.