Prologo

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Mi ritrovai nell'ufficio della polizia, con un cartello in mano con su scritto "Los Angeles, Holmes Alaska" e una serie di numeri.

Dopo essermi messa questa tuta arancione per niente alla moda, ed essere stata accusata di un omicidio che non ho commesso, due poliziotti mi conducono nella cella, che sarà la mia casa per un bel po' di tempo.

Domani ci sarà il processo, e secondo quante accuse o testimoni avrò contro, si deciderà quanto tempo dovrò stare qui.

Quando mi sono venuti a prendere a casa, mia madre urlava, diceva che non era possibile, che c'era stato un malinteso, che la sua amata figliola non avrebbe mai fatto male ad una mosca. Non sono stata in grado di oppormi, di dichiararmi innocente, ero semplicemente scioccata, non avevo fatto niente, ma era come se qualcosa nel cervello mi dicesse di non proferire parola perché in parte ero colpevole. "Ogni parola che dirai potrà essere usata contro di te" mi disse il poliziotto mentre mi stava mettendo le manette. E non dissi niente.

Della notte del'omicidio (del quale non c'entro nulla) ricordo poco e niente, e questo mi preoccupa.

Ho un'ansia colossale, e non perché dovrò passare chissà quanto tempo qui dentro, ma perché se ci sono delle prove, se mi ricordassi qualcosa di quella notte, e potrei aver ucciso una persona morirei dentro.

Odiavo in modo incondizionato Serena Chip, ma non così tanto da toglierle la vita, non avrei mai potuto. Alaska Holmes non uccide.

I'm not a killerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora