Con una manata rabbiosa scaraventai la sveglia dall'altra parte della stanza. Rimasi immobile e supino, a fissare le macchie di umidità che disegnavano una geografia decadente sull'intonaco del soffitto. Conoscevo a memoria quelle isole, arcipelaghi e insenature verdastre, le avevo fissate per ore durante le lunghe giornate trascorse nella progettazione di un piano d'azione.
Esitai ancora qualche istante, la mente –più che il corpo- si ribellava all'ordine di abbandonare la serenità del sonno, il solo rifugio dal rimorso feroce che mi tormentava per aver perso l'unica persona che mi avesse mai amato. Certo, c'era anche Aurora, ma quando ero dovuto scappare era così piccola... non mi avrebbe stupito sapere che aveva completamente perso memoria di me, due anni sono un tempo infinito durante l'infanzia.
Cercai di visualizzare il visetto di mia figlia, sempre serio e guardingo, esattamente come quello di sua madre, Sara.
La prima morsa della giornata mi attanagliò le budella, sentii la rabbia riprendere il solito posto. Da due anni ormai era la mia sola compagna, la mia sola forza motrice.
"Marco Wilhelm, alzati e riprenditi ciò che ti è stato tolto!" mi imposi e, come ogni giorno da quando avevo trovato rifugio in quell'appartamento miserevole, mi alzai.
Mi vestii velocemente e preparai un caffè forte che sorbii in piedi, appoggiato alla finestra della cucina.
Infine indossai il cappotto nero, quella cappa miracolosa che mi permetteva, all'occorrenza, di non esistere, e uscii. Una volta all'aperto, alzai il bavero per proteggermi dal freddo umido e implacabile di quella città di merda. Quanto mi mancava l' aria tiepida della mia Roma.
Il sole non era ancora sorto e le strade erano appannaggio di ombre notturne che col tempo avevo imparato a conoscere. Percorsi spedito il solito tragitto, immerso nell'oscurità e nel gelo, finché non svoltai l'angolo e scorsi la mia prima destinazione: l'irriducibile e malconcio chiosco di Aziz, unica fonte di luce nell'incrocio deserto. La vetrina polverosa e il marciapiede circostante erano disseminati di centinaia di piantine e mazzi di fiori. Sapevo bene che l'attività fungeva da copertura a ben altro genere di affari, tuttavia credo che quella minuscola oasi verde fosse l'unico virgulto di bellezza che il quartiere avesse mai sperimentato.
Aziz, un ometto basso e scuro, vedendomi arrivare, mi salutò con un cenno.
- 'Giorno capo.
Disse porgendomi, senza bisogno di indicazioni, il consueto mazzo di gelsomini.
Ritirai i fiori, pagai il dovuto e mi allontanai senza dire una parola.Salii sull'autobus che mi avrebbe condotto da lei. Mentre il mezzo attraversava la città, spostandosi dalla periferia al centro, mi concentrai sul profumo delle piantine che stringevo al petto, odore di giorni migliori.
Un'ora dopo scesi davanti a un imponente edificio: il Politecnico, che la notte aveva il potere di trasformare da austero a sinistro. Sorpassai la facciata e mi insinuai fra gli edifici universitari, fino a raggiungere il rettorato. Lì mi infilai silenzioso in un piccolo ascensore e, invece di scegliere un piano dalla pulsantiera, girai una chiave nella minuscola serrature che io stesso avevo manomesso. Mio padre e il suo disgustoso zerbino si erano illusi di potermi tener lontano con dei sotterfugi patetici. Avevano sottovalutato il fatto che ero stato io a concepire tutti i sistemi di sicurezza a tutela del loro maledetto laboratorio ed ero quindi in grado di eluderli a piacimento.
Arrivai a quindici metri sotto terra, nello spazio che cinquant'anni fa, il rettore aveva voluto donare a un brillante scienziato per le sue ricerche. Lo stesso brillante scienziato che proprio lì si sarebbe trasformato in un assassino...
Una volta entrato staccai le telecamere di sorveglianza e penetrai nella sala circolare, il cuore del laboratorio. Lei era lì, sepolta da mille tubicini ed elettrodi. Un polmone artificiale simulava la vita nel suo petto, ma non era sufficiente a garantire l'illusione. I capelli corvini si erano diradati e lasciavano intraveder il cranio nudo, l'incarnato una volta luminoso e florido ora era di un colorito grigiastro intervallato da qualche vena azzurrina, le labbra erano screpolare e dischiuse, abbandonate in una straziante assenza di volontà. Mi si serrò la gola dal dolore, come ogni giorno.
Sostituii il mazzo di fiori con quello del giorno precedente e avviai la macchina che odiavo con tutto me stesso, ma che, per un perverso gioco del destino, era anche l'unica speranza di riportare Sara da me. Mi posizionai davanti all'occhio elettronico e lasciai che lo scanner 3d memorizzasse la mia persona. Poi accesi il microfono, collegato all'hardware centrale e cominciai a scandire il messaggio.
-Aurora, sei anni, t...
No, poteva essere troppo, quel 'tua figlia' avrebbe potuto sorpassare il limite e spingerla verso il baratro.
-...torna da me.
Completai infine con la voce rotta, mio malgrado.
Spensi il terminale e mi accasciai sulla sedia disperato, il viso fra le mani.
Ecco, pure febbricitante, penso a voi 😂
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Ombra viva
Mystery / ThrillerUna gelida serata invernale, una strada deserta, un'ombra misteriosa. Sentii battere sulla spalla. Mi girai. Fu così che tutto ebbe inizio. Un racconto corale, un gioco letterario a cui siete tutti invitati. Fatevi coinvolgere dalla trama dalle svol...