Capitolo 1

272 15 10
                                    

21 ottobre 2016
Mi sveglio di soprassalto. Guardo l'ora, le 4:52 del mattino. Oggi non ho lezione, penso che starò a casa a studiare. Sono riuscito ad addormentarmi dopo le 3 di stanotte, e ora, dopo neanche due ore, il sonno mi è passato.
Il mio pensiero va alla notizia che mi ha sconvolto, non ho seguito più neanche una parola della lezione della professoressa Smith, penso di essere sbiancato, l'ho capito dal modo in cui mi ha guardato Sally. Alla fine della lezione le ho raccontato dell'articolo e anche lei non l'ha presa tanto bene. È stata l'unica a sapere la storia del mio primo ritardo in aula, sembrava orgogliosa di me, quando le descrivevo il fatto.
Almeno lei riesce a tirarmi su il morale, è venuta a studiare e cenare a casa mia, come fa ogni giorno, alla fine delle lezioni. Vivo in un appartamento di 50 metri quadri, una camera da letto, un bagno, e un salotto con cucina e un tavolo al centro, più un piccolo corridoio che porta all'ingresso.
Abito da solo. E per di più lontano dalla casa in cui sono nato e da quella in cui sono cresciuto. Mio padre era un ingegnere, mia madre una assistente di laboratorio, lavoravano entrambi in un'industria enorme, la T.A.F.F. (Technology and Future Facility, l'Impianto di Tecnologia e Futuro, molto ambizioso a mio parere). Un'industria di oltre 10mila metri quadri, 3mila lavoratori, quattro piani più diversi sottolivelli nel sottosuolo. Mio padre era uno dei pezzi grossi che dirigevano la baracca, una persona meravigliosa, sapeva sempre cosa dire e come dirlo e sembrava avesse il potere di predire le cose prima che accadessero, un'intelligenza straordinaria. "Peccato non abbia preso da lui" pensai. Mia madre, persona altrettanto deliziosa, sempre attenta ai miei bisogni nonostante entrambi fossero impegnati come muli sul lavoro.
Un giorno, avevo dodici anni, i miei nonni materni vennero a prendermi a scuola, adoravo stare con loro, e vederli all'uscita da scuola mi rese felice.
Purtroppo la felicità svanì quando vidi il volto rigato di lacrime di mia nonna, col braccio del nonno attorno alle spalle. Fu il giorno più brutto della mia vita, e ancora in sogno sento il mio urlo di rabbia e disperazione che riecheggiò nel cortile della scuola quel giorno. La T.A.F.F. non esisteva più, spazzata via da un'esplosione della potenza di 3 chilotoni, tutt'oggi sotto indagine e dei tremila lavoratori, oltre duemila erano al lavoro in quel momento, tra questi i miei genitori.
Sognai per mesi i loro corpi dilaniati, sognai le loro voci che urlavano disperate il mio nome. Le vittime esterne all'industria furono oltre mille. Quel giorno fu lutto nazionale.
Andai ad abitare dai miei nonni e, sul comodino accanto al mio letto, posi una foto in un quadretto, che rappresentava i miei genitori. Mi dava sollievo vederli sorridere ogni giorno, ma mi dava i brividi il pensiero che, ironia della sorte, ero stato io stesso a scattare quella foto, con la polaroid di papà, la sera prima dell'incidente in cui trovarono la morte.
Come avrei voluto, guardando i loro volti sulla pellicola, dir loro di non andare a lavoro l'indomani, di restare a casa, con una scusa qualsiasi. Ogni volta che guardavo i loro visi impressi sulla carta da foto, sembrava che i loro occhi fossero vivi e mi seguissero, facendomi sentire al sicuro, come se fossero ancora insieme a me.
Crebbi coi miei nonni, superai difficilmente il lutto, con gli anni, alle superiori conobbi Sally, che da allora divenne la mia migliore amica, fummo inseparabili. Ci diplomammo col massimo dei voti, grazie al supporto reciproco nello studio, io uno schifo totale nella matematica, materia che per lei era una passeggiata, lei uno schifo totale nell'ambito umanistico, in cui io eccellevo. Scegliemmo entrambi la facoltà di Medicina, la migliore nelle vicinanze, nonché quella che frequentiamo, è a 400 km dalla città in cui siamo cresciuti. Volevamo aiutare le persone, io avevo perso i genitori e da quel momento decisi di aiutare il prossimo, con la speranza che nessun bambino avrebbe dovuto soffrire come me per la perdita di qualcuno. Sally aveva perso il fratello George di cinque anni, investito dall'onda d'urto della deflagrazione del laboratorio alla T.A.F.F. mentre giocava col gatto nel giardino della scuola materna in cui persero la vita oltre trenta giovanissime anime.
Lo stesso destino sciagurato ci aveva unito e questo ci rafforzò, facendo crescere la coppia Eddie-Sally nonostante le difficoltà.
Ci siamo sempre sostenuti a vicenda, siamo forti solo insieme.
Sono le 6:10, sono stato a rimuginare sperando che si facessero almeno le otto. Be' ne approfitto per alzarmi dal letto, sgranchirmi e svolgere le normali funzioni fisiologiche in bagno, dopodiché apro la finestra del salotto ma ancora è buio. In lontananza, oltre i palazzi una fioca luce annuncia il volgere dell'alba.
Rimango a fissare il vuoto fuori dalla finestra, un alone di alito caldo si forma sul vetro freddo e di nuovo i miei pensieri vanno all'anziano. L'ho salvato da quello che sembrava un infarto e ad ucciderlo non è stato il suo cuore ma un estraneo, con un gesto brutale e fuori di testa.
Qualcosa fuori cattura la mia attenzione. Una farfalla, dai colori accesi sulle tonalità del viola si posa sul davanzale, sbattendo le ali come in una morbida danza. Appiccico la faccia al vetro, stupefatto dalla sua bellezza « Stai lì e non ti muovere!» dico alla farfalla, sperando assurdamente che mi capisca, ma non sembra intenzionata a muoversi. Corro nella mia camera, nel cassetto sotto la scrivania, afferro la borsa della reflex e tiro fuori la mia bella Nikon col miglior obiettivo macro. Ho sempre avuto la passione per le foto, così come Sally, è una delle tantissime cose che ci accomunano.
Torno in salotto, adesso un sottile velo giallino si intravede all'orizzonte, oltre i palazzi, e ciò dà alla farfalla posata sul davanzale una sfumatura ancora migliore. « Ferma così» le dico mentre la inquadro e regolo la messa a fuoco.
Click! Click! Click!
Le avrò fatto una ventina di foto, una più bella dell'altra, i dettagli dei disegni sulle sue ali sono fenomenali. Ed eccola che spicca il volo e va via, lontano, aggraziata. "Voleva il suo momento di celebrità" mi dico sorridendo. Metto via la reflex, passerò le foto al PC più tardi.
Un rumore mi fa sobbalzare. Viene dall'ingresso. Guardingo passo attorno al tavolo della cucina annessa al salotto, e penso ai film horror, in cui i personaggi chiedono "C'è qualcuno" al probabile killer che non risponderà mai alla domanda, non prima di averli sgozzati. Per fortuna a 21 anni penso di essere grande abbastanza da affrontare qualsiasi cosa, tranne un killer con motosega, è ovvio. Arrivato all'ingresso, scopro la fonte del rumore, niente killer, né mostri, ma il solito appendiabiti che devo riparare da almeno tre settimane. La vite di sostegno continua a svitarsi e il peso del giubbotto con all'interno chiavi e portafogli fa cadere metà porzione superiore dell'appendiabiti più o meno un giorno si e l'altro pure. Raccolgo il giubbotto, lo poggio sulla spalla e avvito alla meno peggio il supporto. "Devo ricordarmi di prendere quel maledetto giravite e stringere il più possibile" ma è ovvio che lo lascerò perdere per altre tre settimane almeno. Prendo il giubbotto dalla spalla e lo appendo, ma qualcosa cade dalla tasca.
Un fogliettino. Lo raccolgo e lo apro.
"Il tempo non è affatto ciò che sembra. Non scorre in un'unica direzione, e il futuro esiste contemporaneamente al passato".
Lo lascio cadere di scatto e faccio un passo indietro, il cuore impazzito.
Un momento, come mai ho io questo foglietto? Ripenso alla scena del treno e colgo un particolare nei miei pensieri, che avevo rimosso. Nel momento in cui l'anziano cadeva per terra privo di sensi e mi gettavo su di lui nel tentativo di sorreggerlo, avevo messo istintivamente il bigliettino nella tasca del giubbotto. Non lo avevo fatto apposta ma adesso mi sento davvero in colpa come un ladro, non so neanche perché.
Lo raccolgo e lo poggio sul tavolino dell'ingresso. Meglio non pensarci.
Torno in camera con i pensieri che frullano, penso a quell'uomo che ora sarà in una gelida camera mortuaria, i pezzi del suo corpo esaminati dal medico legale per l'autopsia.
All'ospedale Julians... eppure non è lontano da qui, saranno tre chilometri, posso andarci anche a piedi, o posso chiedere a Sally di accompagnarmici in macchina, giusto per vedere come vanno le indagini.
Mi mantengo gli studi grazie alle borse di studio, mentre la casa e il cibo più spese varie tramite i soldi messi da parte facendo lavoretti, tra cui consegna di pizze a domicilio, o venditore di prodotti per conto di un call center. In più i miei nonni mi mandano sempre bonifici esagerati, nonostante dica loro che anche venti dollari, se proprio insistono, vanno bene. Quando diventerò medico gli restituirò ogni singolo centesimo.
La suoneria dell'iPhone mi riporta alla realtà. Guardo l'ora: le 7:05, adesso le strade cominciano ad illuminarsi, ma chi sarà mai a quest'ora? Ho un presentimento.
Prendo il telefono dal comodino e, come previsto, indovino. «Pronto?»
«Sveglia dormiglione! Sei ancora a letto vero? La pizza di ieri sera ti ha appesantito così tanto da farti crollare in un coma eterno?»
« Sally, per tua informazione, ho dormito un'oretta e qualche minuto soltanto, sono in giro per casa da un bel pezzo, e comunque se vieni ti offro la colazione: la fetta di pizza che ieri sera hai lasciato, un po' freddina ma il microonde fa miracoli lo sai?» la sua risata mi riempie il cuore, è bello avere una amica come lei, sembra di conoscerla da sempre, molti ci hanno sempre chiesto perché non ci sposiamo, visto quanto siamo affiatati. Ma siamo solo buoni amici, abbiamo avuto le nostre cotte, e ci siamo sempre confidati a riguardo, ad entrambi va bene così.
« Ah ah ah. Ieri sera ero davvero piena! Saranno state le miliardi di patatine mangiate prima della pizza!» mi risponde.
« E come spieghi la scomparsa del budino al cioccolato dopo la pizza? Se non ricordo male è scomparso proprio nel tuo stomaco!» le dico io scherzando. Un'altra risata interrotta da un "Ok, Ok, Ok!". So cosa significa, proposte strane in arrivo.
«OK che ne dici se...» esita « andassimo a correre? Adesso, al parco!».
Scoppiamo entrambi a ridere. Abbiamo litigato da tempo con l'attività fisica, preferiamo di gran lunga mangiare quante più schifezze possibile.
« Sto arrivando, fammi vestire, prendo la macchina e arrivo» mi dice. Passa più tempo a casa mia che nel suo appartamento vicino alle aule universitarie. La ragione è semplice, lo condivide con due coinquiline che non le fanno proprio simpatia. Preferiscono "truccarsi come pagliacci" e "uscire ogni sera a ubriacarsi e trovare un nuovo tipo con cui passare la serata" a detta di Sally. Lei ha l'animo da maschiaccio, nonostante sia stupenda e molto femminile nel portamento, ma tutto sommato molto acqua e sapone e poco incline alla mondanità.
«D'accordo, ti aspetto, vediamo quanto sarai lumaca. A dopo» la saluto e riaggancio. Correre. E' una vita che non lo faccio, penso che avrò il fiatone per tre giorni di seguito, ma almeno un po' di attività mi farà bene. Studierò nel pomeriggio.
Dopo un quarto d'ora Sally suona al citofono e scendo. I suoi capelli ricci sono raccolti in una coda e ha una tutina che mi fa scoppiare a ridere solo a guardarla. Non per l'aspetto, perché quello rende giustizia al suo corpo e come, ma per l'accoppiata dell'idea "sport + Sally". Come me ha sempre odiato l'attività fisica. Ma, come prima, penso che ci farà soltanto bene.
Corriamo a passo lento lungo i viali del parco, calpestiamo le foglie con sonori crack, diventate rosse a causa della stagione autunnale, e percorriamo il laghetti dove papere e oche fanno il bagno. Tantissimi altri runners svolgono la loro attività a quell'ora e li invidio per la tenacia che sicuramente li caratterizza ogni giorno per quell'ora, se non di più, di corsa.
Arriviamo al chioschetto al centro del parco e ci fermiamo, sudati e col fiatone, su una panchina. Recuperiamo le forze e poi vedo che il chioschetto ha appena aperto.
« Andiamo, un bel caffè ci tirerà su» le dico prendendola per mano per farla alzare dalla panchina.
Ed è vero, l'aroma del caffè mi fa risvegliare tutti i sensi e mi fa riprendere dalla stanchezza della corsa appena fatta.
«E davi della lumaca a me! Ma ti sei visto? Sembravi un pollo che corre sulla brace! E dimmi, ti è risalita la pizza di ieri vero? Io ho quasi rigurgitato per due volte consecutive!» mi stuzzica Sally, la sua schiettezza è ciò che più adoro di lei e sorrido alzandole un dito medio che la fa scoppiare in una fragorosa risata.
L'iPhone, messo in una custodia al braccio, mi vibra, qualcuno sta chiamando. Rispondo al numero sconosciuto e dall'altro lato una voce maschile profonda mi chiama per nome «Buongiorno, il signor Edward Collins?»
« Sono io, con chi parlo?» rispondo sospettoso.
« Salve, sono il detective Hammond, della scientifica, la chiamo per il caso dell'anziano assassinato qua al Julians, l'ospedale, ha presente?»
«Si! Assolutamente!» urlo a gran voce «Ci sono novità? Si è trovato un colpevole?» mi sento come in un film giallo.
« Vede, signor Collins, il suo nominativo e numero di telefono sono stati ritrovati su un blocco note del dottor James Sound, un paramedico che, insieme ad un collega, ha portato in ospedale il signore che lei ha salvato sulla metropolitana, a quanto i racconti dei passeggeri e le telecamere dimostrano. So che voleva essere avvisato riguardo lo stato di salute dell'anziano, per questo ha lasciato il suo numero.»
« Be' si, è così... ma... come mai non mi ha chiamato il dottor Sound stesso?»
« Il fatto è, signor Collins, che il dottor Sound è stato ritrovato nella sua abitazione, morto, da almeno due giorni. Più o meno, dopo la fine del turno della notte tra il 19 e il 20, proprio la stessa in cui è morto l'anziano. Non dico che sospettiamo del dottor Sound, era una persona deliziosa, non avrebbe mai fatto una follia del genere, ma stiamo indagando anche a riguardo.»
E' come un pugno nello stomaco. Penso che qualcuno mi stia prendendo in giro, o che sia tutto un incubo. Ma ahimè lo sguardo preoccupato di Sally e la sua mano che stringe il mio braccio mi fanno capire che è tutto reale.
«Signor Collins?» la voce del detective Hammond mi rimbomba nell'orecchio.
«Si, mi scusi, sono ancora qua... come... come è morto?»
« Si è tolto la vita, iniettandosi aria nella giugulare tramite una siringa. Viveva da solo quindi nessuno ha potuto avvisare, ma dopo essersi assentato ieri dal lavoro, non rispondendo alle chiamate, una pattuglia è andata a casa sua, ritrovandoselo cadavere»
«Capisco...» maledizione. Che diavolo succede?
« Adesso, signor Collins, voleva sapere se ci sono sviluppi sul caso. Bene, abbiamo trovato l'arma del delitto, una sega per le ossa, roba da sala operatoria insomma. Ma non ancora un colpevole.»
«Una...sega per le ossa? Ci saranno delle impronte no? Volevo proprio passare al Julians per avere novità ma la ringrazio per avermi avvisato in anticipo. La prego di richiamarmi se ci sono altre notizie.»
« Se ci saranno ulteriori sviluppi lo saprà prima da quei dannati giornalisti che non fanno altro che parlare della vicenda in tivù e sui giornali e ficcanasare sul lavoro mio e della polizia. Bene, volevo solo informarla a riguardo, mi sembrava il minimo»
«Grazie detective, le auguro un buon lavoro» lo congedo.
« Grazie, anche a lei, una buona giornata» mi saluta.
Sento la testa vorticare, mi sembra tutto così irreale, strano, confuso. Sally mi sorregge e mi guarda con aria preoccupata.
« Non spiegare, il volume della chiamata era così alto che ho sentito tutto. Stai bene?» mi chiede.
« Si, credo di si, anche se mi sento... strano...» non faccio in tempo a finire la frase che intorno a me tutto si fa buio, una brutta sensazione, come se stessi cadendo nel vuoto, mi percorre il corpo. Sto cadendo verso un abisso infinito, attorno a me vedo strane luci che vorticano nell'oscurità, voci in lontananza, che urlano il mio nome.
Poi ho una visione, come se fosse un film, vedo la T.A.F.F. come se vi stessi entrando a rallentatore, mi trovo in una specie di hangar sotterraneo in cui si trova un'apparecchiatura enorme con dei reattori altrettanto grandi, che emette fulmini e scariche elettriche dai computer che la regolano. Esplosioni varie fanno scappare gli ingegneri che lavoravano al progetto e poi vedo lui.
Mio padre è in piedi davanti ad una postazione che batte tasti a velocità inaudita mentre urla ai suoi collaboratori «Chiudete tutto! Chiudete tutto! Sigillate l'area, protocollo quarantena 15!» è disperato, sta cercando di fermare i reattori che girano vorticosamente emanando scariche e scoppi.
Lo vedo più da vicino, come se fossi lì accanto a lui, ha le lacrime agli occhi e lo sento sussurrare il mio nome «Oh Eddie, non riesco a fermarlo, mi dispiace così tanto».
Una luce bianca improvvisa dal reattore principale dell'apparecchiatura, poi tutto si spegne e cado di nuovo nell'oscurità.

Scorri per il Capitolo 2!

*Nota dell'autore:
Aggiungerò un capitolo ogni mercoledì della settimana 😊 stay tuned!
Il libro completo è disponibile in formato cartaceo ed eBook su Amazon e su Lulu.com

Una vita imprevedibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora