Capitolo 2

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Il volto di Sally mi guarda e urla qualcosa.
E' tutto sfocato, la vedo a malapena ma so che è lei. Mi schiaffeggia ma non sento alcun dolore. In lontananza la sua voce che urla il mio nome comincia a combaciare con il labiale.
Tutto comincia a prendere forma, i suoi lineamenti diventano più nitidi, altre facce si aggiungono al mio campo visivo. Lo sfondo è verde, misto al rosso, la chioma di un albero. Comincio a sentire le persone attorno a me che parlano concitate, ma sembrano sollevate dal fatto che stia bene. Mi rendo conto di essere per terra a faccia in su. Sally mi aiuta ad alzarmi, insieme ad altre braccia, e vengo poggiato sulla panchina. Il ragazzo del chioschetto mi porge un bicchiere d'acqua ed è un sollievo per la mia bocca asciutta.
«Grazie» riesco ad articolare.
« Come ti senti? Forse è meglio che torniamo a casa ok?» Sally mi parla come se parlasse ad un bambino.
«Si, per favore» le dico. Lei rassicura le persone attorno a me che si allontanano. Mi alzo e andiamo verso l'uscita del parco, verso casa mia.
Saliamo con l'ascensore al terzo piano fino al mio appartamento, apro la porta e mi butto sul divano del salotto, ancora confuso. Non abbiamo parlato nel tragitto verso casa ma ora lei rompe il silenzio.
« Mi sa che non dovremmo più fare sport se questo è l'effetto che ti fa» mi dice, e rido, distratto da quello che era appena successo.
« Allora, vuoi spiegarmi che cosa è successo?» mi chiede mentre si allontana verso la mia stanza, ritornando con il mio manuale di Patologia Generale.
«Oh per carità leva quell'affare, è stato solo uno svenimento, più o meno!» le urlo con la mano sul volto per non guardare quel libro enorme che devo continuare a studiare. Ma lei non mi ascolta e lo sfoglia chiedendomi dettagli «Più o meno... uhm... potresti essere più preciso?» mi domanda.
«Ho... ho visto mio padre» lei si ferma e mi guarda a bocca aperta.
«Cosa... cosa vorresti dire?» mi chiede inarcando un sopracciglio.
Cerco di raccogliere le parole e le spiego la mia visione. Alla fine posa il libro e si siede accanto a me e mi abbraccia. Un abbraccio interminabile, che ricambio, lei può capirmi, ha vissuto la stessa tragedia mia, ci capiamo a vicenda a riguardo.
Quando si stacca si asciuga una lacrima, starà pensando al piccolo George, cerco di cambiare discorso. Alla fine è stato come un sogno, ho immaginato tutto di sicuro, non è la prima volta. Anche se questa volta era molto reale, sembrava di essere lì, non mi è mai capitato di vedere la scena in modo così realistico.
«Vuoi lavarti? Hai portato i vestiti per il cambio vero?» le chiedo, ormai a parte la notte, si può dire che conviviamo come una coppietta. Mi annuisce e prende lo zaino, portandolo verso il bagno. Chiude la porta e dopo un po' sento lo scroscio d'acqua della doccia. Le farà bene. Ne approfitto per passare al computer le foto che ho scattato alla farfalla. Diamine, che meravigliosa risoluzione che hanno, sullo schermo del PC, non vedo l'ora di farle vedere a Sally.
Mi sono ripreso dallo shock, è stato solo un calo di zuccheri, mi dico, e quella è stata l'ennesima visione dovuta ad un lutto ancora in fase di elaborazione. Si, è questo il motivo, mi convinco. Sento il rumore del phon di Sally che si accende, nell'attesa che finisca vado in camera mia e prendo l'album delle foto di famiglia. Rivedo le foto della mia nascita, quando ero un coso minuscolo senza pensieri per la testa. Il mio primo compleanno, le foto con mamma e papà che sorridono, vivi più che mai. Poi una foto mi colpisce più di tutti. Non ho mai fatto caso a dove quella foto fosse stata scattata, riprendeva me davanti a un qualcosa che mi sembrava familiare, ma che in tutti questi anni non avevo mai notato. Mi trovavo in una specie di enorme laboratorio, con migliaia di computer alle pareti, sembrava una stanza enorme, come... un hangar.
Dietro di me, in lontananza, quello che mi sembra un reattore e accanto una postazione come... sgrano gli occhi... come quella della visione! Quella a cui era attaccato papà nel tentativo di fermare l'esplosione! Allora ecco perché la visione sembrava così reale, avevo già visto questa foto parecchie volte, senza notare lo sfondo, ma il mio subconscio lo aveva registrato e l'aveva riportato alla luce in una situazione come quella dell'incidente alla T.A.F.F.
Deve essere per forza così, mi autoconvinco, richiamando le letture di psicologia e del come il nostro subconscio spesso faccia strani giochetti.
Guardo di nuovo attentamente la foto e mi focalizzo sui dettagli.
Un brivido mi corre lungo la schiena, una folata di vento mi scompiglia i capelli. Eppure le finestre sono chiuse! Torno a focalizzare l'immagine e riecco il vento, mi faccio sempre più vicino alla fotografia, e mi sembra di essere in una tempesta, un vento sempre più impetuoso man mano che i dettagli sembrano cominciare a prendere vita. Comincio a vedere offuscato e tento di gridare ma vedo solo grigio e la mia bocca non emette alcun suono. Mi sento trascinato da un vortice, dal grigio comincio a vedere bianco, sempre di più, sempre più intenso, dà fastidio agli occhi.
Poi riesco a parlare, ma dalla bocca mi esce una voce di almeno due ottave più alta. Non più la mia voce da ragazzo ma una voce come quella di un bambino.
Le parole le articolo senza pensarci «Mamma piano con quel flash!».
Ed ecco che il bianco scompare e torno a vedere. Ma non mi trovo più nella mia camera, a guardare l'album.
Sono in piedi, ma sono più basso di almeno un metro della mia normale statura. Mi guardo le mani, piccole, così come i piedi, a poca distanza dalla testa. Mi sono trasformato in un nano?
Poi una voce e una risata che non sentivo da anni, da secoli forse. Guardo davanti a me, due gambe che si innalzano. Alzo la testa per vedere questo gigante, quando scopro che si tratta di una persona molto familiare.
Mia madre davanti a me, abbassa la polaroid dal viso, e mi guarda dall'alto, con un sorriso smagliante. «Scusami ometto, ma guarda quanto sei venuto bello in questa foto!» si abbassa alla mia altezza porgendomi la fotografia. Con la coda dell'occhio vedo che si tratta di quella che stavo guardando poco prima sull'album. Ma i miei occhi sono fissi su di lei, così giovane e bella. Mi scende una lacrima e non riesco a trattenermi. Le abbraccio il collo, per quanto le mie piccole braccia consentano. E scoppio a piangere. Mi sento sollevare. Sono in braccio a lei. Come... come quando ero piccolo. Che strano sogno. Riesco a toccarla, a sentire il suo profumo. Le sue braccia che mi sorreggono.
«Ehi che succede? Hai insistito tanto per vedere dove lavorano papà e mamma, perché piangi?» la sua voce è gentile, mi accarezza la testa.
«Eddie, che succede campione?» la voce di mio padre.
Alzo la testa e lo vedo avvicinarsi, siamo su una passerella rialzata, sopra un complesso di macchinari, cavi e computer.
Mi toglie dalle braccia di mamma e mi prende tra le sue.
«Penso che sia stanco» gli dice mia madre.
Riesco ad abbracciare anche lui e sentire il suo profumo, e anche la barbetta ispida che mi punge il viso. Non riesco a smettere di piangere. Sono di nuovo con loro. E loro con me. Vorrei che questo momento non finisse mai.
Colpisco l'armadio della mia camera con un tonfo. Mi sembra di essere stato risucchiato via da quella realtà e adesso mi ritrovo nel corpo del ventunenne che sono oggi, seduto per terra, con la schiena sulle ante dell'armadio e l'album delle foto a terra, lontano da me.
Cosa diavolo...?
Questa non era una visione, era reale. Sono entrato nella fotografia! Ho rivissuto un momento della mia vita che è accaduto tantissimi anni fa. Ma è impossibile! Sto diventando pazzo? Si. Sto diventando pazzo. Non c'è altra spiegazione. Devo raccontarlo subito a Sally.
«Sally!» la chiamo da fuori della porta del bagno, ma ha il phon acceso e non mi sente. Prendo l'iPhone e la chiamo, porta sempre con sé il suo telefono. Lo sento squillare da dentro il bagno.
«Dica» mi risponde.
«Sally, non ci crederai mai, sono entrato nella foto, li ho visti, li ho sentiti, li ho...» la porta del bagno si apre, ha una magliettina e un paio di shorts, il phon in mano e i capelli ancora umidi, e mi guarda come se fossi pazzo.
«Va bene, va bene, niente più sport per nessuna cosa al mondo, se questo è l'effetto che fa.» esordisce.
«Non sono pazzo Sally! E' vero! E' come se... come se... Sally, ho viaggiato nel tempo! Sono tornato indietro, semplicemente guardando la foto!» dannazione, come posso spiegarle che quello che ho visto è reale?
Mi rendo conto che la chiamata tra i nostri cellulari è ancora attiva, da un crepitio che proviene da entrambi gli apparecchi. Così chiudo e la guardo negli occhi.
«Sto dicendo la verità, ho fatto qualcosa di strano! Sono tornato bambino e...»
«Eddie, la doccia è libera» mi prende e mi porta all'interno del bagno «Acqua fredda dritta fino al cervello e ti riprenderai, io mi asciugo i capelli in cucina, tranquillo, sei solo stressato, ok?» sorride e i suoi modi sono gentili. Mi convince che forse devo rinfrescarmi le idee.
«Va bene ne parliamo dopo» le dico, ed esce dandomi una pacca. Il rumore del phon proviene adesso dalla cucina. Mi spoglio ed entro in doccia, facendo scorrere l'acqua gelida dalla testa ai piedi, mi ci voleva proprio. Esco dalla doccia e mi asciugo, vado nella mia stanza con l'asciugamano alla vita. Mi vesto e dopodiché torno da lei nel salotto che mi sorride e mi mostra un post-it con su scritto: lista della spesa.
«Ora che stai meglio, andiamo a fare un po' di spesa, dato che il frigo piange, così come ogni cassetto della tua cucina» sorride in modo adorabile.
«D'accordo, ma andiamo al centro commerciale, così giriamo un po' di negozi e di pomeriggio studiamo!» ho bisogno di svago, ha ragione lei, sono stressato e immagino troppe cose, devo rallentare l'andamento delle mie fantasticherie. Sempre se di questo si tratti.
Sono le nove e mezza, il centro commerciale ha aperto da mezz'ora, decidiamo di scendere dopo aver completato la lista della spesa. Mi ricordo delle foto al PC e quando le vede, Sally rimane a bocca aperta, la meravigliosa farfalla ha colpito anche lei. Strano come spesso si facciano i complimenti ad un fotografo, piuttosto che alla bellezza della natura, i cui dettagli vengono solo copiati e incollati su una fotografia. A proposito, ripenso al mio "viaggio" dentro la fotografia, e dico a me stesso che è stata pura immaginazione, non convincendomi però del tutto.
Sally ha un'utilitaria che ha comprato a un prezzo ridicolo, è una vera carretta di ferraglia, ma sa il fatto suo. Quando siamo insieme guido in prevalenza io, perché adoro guidare e le risparmio quello che per lei è una scocciatura. Spesso le vengo incontro anche pagandole la benzina, dividendoci quindi anche le spese dell'auto.
Uscendo dal portone del palazzo la città ha preso vitalità. Cerco con gli occhi la macchina, ma a parte un furgone nero posteggiato a venti metri da noi, non vedo altre macchine.
Il sole è ormai alto nel cielo, il traffico comincia ad aumentare, così come i passanti che vagano distratti per i marciapiedi.
La macchina di Sally è posteggiata lungo il marciapiede alla nostra sinistra, mi lancia le chiavi mentre va verso lo sportello del lato passeggero. La vernice residua è sempre meno e i graffi sempre più. La guardo inarcando il sopracciglio e lei deve aver capito a cosa pensavo perché si mette a ridere. «Che sarà mai! Le auto sono fatte per viverle!» mi dice con aria di sufficienza.
«Viverle, hai ragione, questa poverina mi sembra più da sfasciacarrozze che in vita» le dico dandole una gomitata, ma appena entro e metto in moto, il motore è scattante come sempre. Ho sempre adorato le macchine "vissute", ti danno quel feedback che le sterili macchine nuove non danno.
Ingrano la marcia e parto, verso il centro commerciale. Penso che a Sally non piaccia guidare perché le piace di più concentrarsi sulla radio, cambia stazioni fin quando non trova la canzone che le piace, cominciando a cantarla a squarciagola. Per fortuna questa che ha trovato piace anche a me e la cantiamo insieme, mentre andiamo a rilento nel traffico. Time of your life dei Green Day. "E' qualcosa di imprevedibile, ma alla fine è giusto così, spero che tu abbia vissuto i bei momenti della tua vita" mai canzone fu più appropriata in questo momento.
Arriviamo al posteggio del centro commerciale e, come sempre, trovare parcheggio è impossibile. Nello specchietto retrovisore scorgo un movimento di qualcosa di nero, per un attimo mi sembra di aver visto il furgone che era fermo sotto il mio palazzo. Non gli do molta importanza. «Ferma ferma ferma ferma!» mi urla Sally e freno di colpo. Ha visto un posto libero tra le miriadi di macchine. Posteggio e scendiamo dalla macchina, entrando da un ingresso laterale al centro commerciale. Il supermercato è il più interno, perciò bisogna passare da vetrine di negozi d'abbigliamento per arrivarci. Vetrine davanti le quali Sally si ferma per ammirare i capi, ma come prevedo, tra un po' dirà la solita frase. Che infatti non tarda ad arrivare «Cavolo, paio di jeans, siete bellissimi ma costate l'ira di Dio! Non mi piacete più» e così prosegue per altre vetrine commentando sempre con lo stesso stile.
Arrivati al supermercato mi allontano da lei per prendere un carrello. Metto la moneta, e lo sgancio dal supporto, ritornando verso la mia amica. Nel tirare indietro il carrello per sganciarlo, alzo gli occhi e noto un uomo in giacca e cravatta neri, occhiali neri, senza capelli e un auricolare, sembra un bodyguard. Ma cosa avrà da controllare? Noto che mi fissa, mi mette un po' d'angoscia a dire la verità, ma gli restituisco lo sguardo con quanta più intensità possibile. Girando col carrello attorno a un pilastro perdo il contatto visivo con l'uomo, appena riemergo lui è sparito. "Saranno gli addetti alla sicurezza, è un mondo pericoloso, con tutti i folli terroristi che ci sono in giro e con i pazzi che smembrano la gente" il mio pensiero, ancora una volta, torna all'omicidio dell'anziano.
Raggiungo Sally, che riempie il carrello di sughi pronti, pasta e biscotti. Ma non la sto guardando, né sentendo, sto osservando attorno a me alla ricerca di quell'uomo. Non può essere scomparso così nel nulla!
«Terra chiama Edward!» mi risveglia dalla mia distrazione la voce di Sally.
«Ehi, si, sono qui Houston, dicevi?»
«I biscotti! Cioccolato o integrali?» mi chiede mostrandomi due scatole.
«Cioccolato, è ovvio!» le dico sorridendo.
Così mette la scatola nel carrello e la seguo, guardandomi sempre attentamente intorno. Non sono tranquillo, non capisco il perché. Attorno a me persone felici, famiglie con bambini che fanno le compere, tutto nella norma.
Al reparto frigo prendiamo yogurt, salumi e altro da mettere nel carrello e Sally mi precede, girando l'angolo per il reparto successivo. Anche io col carrello giro l'angolo e la trovo più avanti, intenta a guardare i detersivi e gli ammorbidenti. Mi fermo prima di lei per prendere i tovaglioli di carta e piatti e bicchieri di plastica, li metto nel carrello e lo sguardo va a lei, cinque metri più avanti. Indecisa tra due ammorbidenti da scegliere.
Ma mentre mi avvicino e le sono a pochi centimetri, quello che coglie di più la mia attenzione è l'uomo dieci metri dietro di lei.
Non è quello di prima, questo è più basso, con i capelli biondi, ma lo stesso abbigliamento. Completo nero e occhiali altrettanto scuri. Guarda nella nostra direzione. Come il suo compare prima di lui, mi mette soggezione, ma non volto lo sguardo e lo fisso a mia volta. Che diavolo vogliono? Non vogliamo mica rubare! Vadano a controllare i ragazzini che rompono le bottiglie di vetro e scappano!
Il suo sguardo non mi molla. Sally è ancora intenta a cercare di capire le differenze tra i due ammorbidenti, non si è accorta di lui.
«Questo è alla lavanda, quest'altro invece è al cocco, quale ti piace di più?» mi chiede. Ma non le rispondo, guardo invece l'uomo, che si porta una mano all'orecchio, per comunicare qualcosa. "Oh grandioso, adesso che vogliono? Arrestarci per due ammorbidenti?".
Ma con un movimento quasi robotico abbassa la mano che aveva portato all'auricolare, mentre con l'altra mano si fruga all'interno della tasca della giacca. Che cosa starà cercando? Sembra che la mia risposta non debba aspettare. L'uomo ritira lentamente la mano che impugna qualcosa di nero, metallico, che riconosco subito alla vista.
Sento lo sguardo interrogativo di Sally, che si aspetta una mia risposta, ma non la guardo nemmeno. Sembra che il tempo si dilati, sembra tutto come al rallentatore. La spingo di lato, la sento urlare, mentre gli ammorbidenti le volano dalle mani. L'uomo sta alzando la pistola e sta prendendo la mira. Sally cade per terra e mi spingo davanti a lei per farle da scudo. La sento sbattere sul pavimento, il cuore mi va a mille mentre guardo l'uomo togliere la sicura e tirare indietro il grilletto più volte, provocando una serie di esplosioni, i proiettili che fendono l'aria nella mia direzione.

Scorri per il Capitolo 3!

*Nota dell'autore:
Aggiungerò un capitolo ogni mercoledì della settimana 😊 stay tuned!
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