Prologo

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"Il tempo fluisce in modo uguale per tutti gli uomini.
E ogni uomo galleggia nel tempo in maniera diversa."
-Manuel Neila-

20 ottobre 2016
In ritardo. Di nuovo.
Sarò fulminato con lo sguardo al mio arrivo. Mi umilierà, come ogni volta che interrompo le sue lezioni a causa del mio ritardo. E pensare che ero la persona più puntuale al mondo! Da quando ho cominciato a essere un ritardatario cronico?
Questa storia va avanti da tre giorni, da quando ho salvato quell'uomo sulla metropolitana.

18 ottobre 2016
Un anziano, tutto imbacuccato in vecchi vestiti, la barba lunga fino alla pancia, i capelli che non vedevano uno shampoo da mesi. Sembrava il solito barbone ubriaco che dorme sui sedili dei treni, senza una meta, se non fosse stato per il fatto che quell'uomo fosse seduto a leggere un libro, tranquillo, pacato, la schiena ritta come una scolaretta delle elementari alle prese coi compiti. Ero seduto sul sedile di fronte a lui, sul treno sotterraneo che mi stava portando all'università. Mi accorsi subito della compostezza che si celava dietro l'aspetto malandato. "Mai giudicare un libro dalla copertina" mi dissi. E a proposito di libro, il suo aveva subito colto la mia attenzione, "La teoria del tutto" di Stephen Hawking.
"Però, lettura leggera, e sembra anche che lo capisca più di Hawking stesso" i miei pensieri erano stati formulati alla vista di post-it con annotazioni matematiche complesse, che uscivano dal libro. Sembrava che stesse quasi correggendo le teorie del più famoso scienziato della modernità. Un foglietto gli cadde sul pavimento del treno sul quale sfrecciavamo lungo le gallerie sotterranee.
Mi chinai a raccoglierlo. Mentre lo facevo, una scossa mi pervase correndo lungo la schiena. Sul foglietto c'era scritto, con una bella calligrafia, "Il tempo non è affatto ciò che sembra. Non scorre in un'unica direzione, e il futuro esiste contemporaneamente al passato.". Avevo già letto quella frase, mi era piaciuta un sacco, quando la lessi sul libro di fisica, nel capitolo della relatività. Einstein era famoso forse più per le sue citazioni, come questa frase sul foglietto, che per il suo vero lavoro dal punto di vista fisicomatematico. Diedi il foglietto all'anziano e non potei fare a meno di scorgere un barlume nei suoi occhi, addirittura un sorriso.
Non prese il foglietto, si limitò a sorridere guardandomi di sottecchi. All'improvviso urlò.
Un urlo così forte che si propagò lungo il vagone, facendo girare di scatto le teste dei passeggeri. Qualcuno si alzò per lo spavento, e in quel momento non riflettei sul da farsi, lo feci e basta. Fu come se il tempo si fosse congelato, l'anziano, preso dal suo urlo, cadeva sul pavimento del vagone, aveva smesso di urlare ma aveva gli occhi sbarrati, guardava in alto, penso che il mio volto sia stato l'ultima cosa che vide prima di perdere i sensi.
Lo scossi, ma non rispondeva, era svenuto. Controllai il polso, niente. "Perfetto, cominciamo.". Posi le mani sul suo sterno, mentre urlavo ai passeggeri di chiamare soccorsi, cominciando a comprimere. Ero a metà del corso di studi di medicina, ma in quel momento ero l'unica speranza tra quell'uomo e la morte. Le compressioni non le sentivo nemmeno, non sentivo niente in realtà, attorno a me era tutto ovattato e quasi immobile. Arrivai a trenta compressioni e chiusi il naso all'uomo, fornendogli aria tramite la respirazione bocca-a-bocca. Ricominciai le compressioni e in quel momento, finalmente, l'uomo tossì e apri gli occhi.
Ce l'avevo fatta, l'avevo salvato. Il braccialetto al mio polso segnava 150 bpm, il mio cuore martellava come impazzito, penso all'unisono con quello appena ripartito dell'anziano signore. Un sorriso mi apparve in volto. L'uomo stava bene, l'avevo salvato. Era vivo, dannazione, se era vivo.
Il treno era arrivato alla mia fermata, l'uomo si mise lentamente in piedi, nonostante gli avessi detto di restare dov'era, prese il libro e lo aiutai a scendere: anche lui doveva aver raggiunto la sua meta. Altre persone, insieme al macchinista, mi aiutarono a sorreggerlo, e mentre scendevamo sulla banchina, arrivarono due paramedici con barella, ossigeno e defibrillatore, qualcuno dei passeggeri era riuscito ad avvisarli. Lo aiutarono a sedersi su una panchina sotto la luce artificiale della galleria, mentre la metropolitana ricominciava il suo viaggio.
Non parlò, non disse nulla, guardava il vuoto e mi stringeva il braccio mentre raccontavo l'accaduto ai paramedici. Loro si congratularono con me, ma avevo soltanto fatto ciò che andava fatto, salvare la vita a quell'uomo sconosciuto. Guardai l'orologio, le 8:03. La lezione era alle 8:10, ma ero più interessato alle condizioni dell'anziano, più di ogni altra cosa. Il suo sorriso diceva tutto, sembrava orgoglioso nei miei confronti, sembrava dire 'grazie'.
«Ce ne prendiamo cura noi adesso, lo porteremo all'ospedale più vicino, grazie di nuovo, lasciaci il tuo numero, ti comunicheremo novità» disse uno dei paramedici, un uomo pelato, col pizzetto, alto e fisicamente ben impostato.
«Grazie mille, e a lei, signore» dissi all'uomo sorridendo «adesso è in ottime mani, si riprenderà presto, se vuole avvisare la famiglia, posso prestarle il mio telefono». Ma lui scosse il capo e mi restituì il sorriso facendomi segno di andare, aveva capito della mia fretta, come se mi avesse letto nella mente, anche se pensai anche a quanto mi facesse pena, sembrava solo, con nessuno a prendersi cura di lui. Gli strinsi la mano e lo salutai, e così feci con i due uomini, dopo avergli dettato il mio numero di telefono, che lo prendevano sulla barella portandolo verso l'ambulanza posteggiata all'esterno della stazione, con i lampeggianti accesi.

20 ottobre 2016
Ritornando alla realtà mi rendo conto di aver fatto la stessa cosa da quando ho salvato quell'uomo, così come il giorno dopo, e così come adesso. Corro a perdifiato fuori dalla metropolitana, abbandonando l'odore di ferraglia del sottosuolo e facendomi invadere i polmoni dall'aria fresca della città, mista allo smog.
Mi ucciderà, è già la terza volta che sono in ritardo.
Attraverso la strada verso il policlinico universitario, corro attraverso il cancello, percorrendo il vialetto che porta alla mia aula.
Mi fiondo sulla porta e si ripete la stessa scena, come un deja vu, per la terza volta. La professoressa Smith stava spiegando una nuova lezione sul cuore e il sistema delle coronarie, ma si interrompe per guardarmi con occhi di fuoco. Odia essere interrotta, e sembra che voglia farlo apposta negli ultimi giorni, ma, stranamente, non è colpa mia, i treni avevano subito dei ritardi il giorno dopo del 18, così come adesso e arrivai in aula per tre giorni allo stesso orario del primo giorno, quello in cui salvai la vita all'anziano: alle 8:26.
Relativamente parlando, sono stato puntuale.
«Bene, il signor Edward Collins ha deciso di farmi arrabbiare, come ieri e anche l'altro ieri. La prima volta l'avevo solo guardata male, la seconda l'ho richiamata, ma non c'è due senza tre! Allora, questa volta sono sempre i treni in ritardo o altro?» la voce odiosamente stridula.
«Sempre... i... treni...» dico col fiatone «mi dispiace... non... accadrà... più»
«Lo spero bene» sentenzia.
Gli occhi di cento colleghi nell'aula ad anfiteatro sono fissi su di me, divento rosso, le orecchie calde. Piano piano vado a cercare il posto mentre lo sguardo della professoressa Smith mi segue, gli occhi socchiusi a due fessure.
Trovo il posto, che mi è stato tenuto da Sally, la mia migliore amica, nonché collega universitaria. «Eddie, che diavolo ti succede? È la terza volta! » sussurra.
«Non è colpa mia, Sally, i treni... non hanno mai avuto ritardi, eppure da quella volta, non so che sia successo! » sussurro a mia volta.
«Va bene, adesso segui, prima che la strega rompa di nuovo con la scusa che siamo distratti» mi suggerisce. Così prendo il quaderno, e prendo appunti, per quello che posso, col pensiero un po' alle valvole cardiache e un po' all'anziano signore, di cui non so neanche il nome e di cui non avevo avuto nessuna notizia in questi giorni, da quando ci eravamo separati.
Eppure il numero che avevo dato ai paramedici era corretto, che fine hanno fatto?
Come se avessi avuto un presentimento, prendo di tasca l'iPhone e controllo le notizie. Rabbrividisco alla vista della foto dell'anziano che avevo salvato, in prima pagina, gli occhi fissi su di me, con un titolo grande quanto una casa "ANZIANO BARBARAMENTE UCCISO E SMEMBRATO, CADAVERE TROVATO SUL LETTO D'OSPEDALE IN CUI ERA RICOVERATO".
Il mondo mi crolla addosso come un macigno mentre scorro il dito sullo schermo, per leggere il resto dell'articolo.
"È stato ritrovato questa mattina, dall'infermiera di turno, nella stanza in cui era ricoverato, presso l'ospedale 'Julians' , con le gambe e le braccia staccate dal corpo e sparse per la stanza, il sangue sulle pareti, come se una mano invisibile avesse deciso di fare a pezzi il pover'uomo, di cui non si sanno le generalità, nonostante la polizia abbia controllato tutti i database disponibili. Gli stessi agenti, arrivati sulla scena del crimine, non hanno creduto ai loro occhi. Indagini in corso e interrogatori a tutti gli operatori sanitari che erano di turno nelle ultime ventiquattr'ore."
Non ci posso credere.
Morto, smembrato. Chi mai al mondo sarebbe così pazzo da fare una cosa del genere?
Ancora una volta il tempo sembra come congelato attorno a me, e rimango con il silenzio nelle orecchie, con la voglia di urlare dalla rabbia.
È solo un sogno, un brutto incubo, mi sveglierò presto vero?

Scorri per il Capitolo 1!

*Nota dell'autore:
Aggiungerò un capitolo ogni mercoledì della settimana! 😊 stay tuned!
Il libro completo è disponibile (cartaceo e eBook) su Amazon e su Lulu.com

Una vita imprevedibileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora