Rinascita

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Camminava attraverso il lungo corridoio di pietra nera, con la polvere e la cenere che turbinavano nell'aria immobile ad ogni suo passo. Una fitta foschia ammantava ogni cosa, stemperando e come assorbendo la luce calda delle torce appese alle pareti.
Airis non sapeva come fosse arrivata lì, né cosa di preciso la spronasse a proseguire, ma stranamente non le importava, non in quel momento. In quel luogo, dove riposavano coloro che nel corso delle ere avevano compiuto la sua stessa scelta, estranei partecipi del futuro del Mondo Nato dal Nulla, nessun pensiero poteva perturbare la pace eterna.
Continuò ad avanzare nel silenzio più assoluto, sotto lo sguardo spento dei guerrieri nelle alcove, uomini e donne in armatura che sedevano su troni d'onice e ossidiana. Percepiva i loro occhi sulla pelle nuda delle spalle e, anche se una parte di lei sapeva che non volevano farle male, non riusciva a non provare timore. Airis cercò nelle loro figure la presenza di una scintilla di vita, ma nessuno di loro batté ciglio, cristallizzati, pietrificati in un limbo in cui il tempo aveva cessato di scorrere. Alcuni indossavano sontuose cappe d'ermellino, di velluto scarlatto, di morbida seta; altri portavano armature istoriate d'oro e d'argento, impreziosite con gemme ed elaborati arabeschi. I loro volti non erano noti ad Airis, ma sapeva chi erano, poteva indicare il nome di ognuno di loro, raccontarne le gesta, gli errori, gli atti eroici. Forse anche lei un giorno avrebbe seduto in mezzo a loro, su un trono uguale, in quel posto dove solo a quelli che avevano abbracciato il suo stesso destino era possibile riposare.
Dopo qualche passo percepì una specie di sussulto alla sua destra. Si fermò e girò il capo nella direzione di quel timido suono, eppure così forte da incrinare l'eterno silenzio che impregnava la pietra. Uno dei dormienti, un umano seduto su uno scranno di lame smussate e narcisi sbozzati nell'alabastro, sollevò le palpebre e incontrò il suo sguardo. Per un fugace momento la guerriera ebbe la sensazione che la vedesse, che i suoi occhi di un indaco liquido l'avessero osservata mentre avanzava a testa alta in mezzo al corridoio. Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suono si congelò nell'aria stantia prima di poter prendere forma. Provò di nuovo a parlare, ma, ancora, quello che giunse alle orecchie di Airis fu solo un mormorio inudibile. Decise di proseguire, lasciandosi alle spalle quegli occhi sempre più offuscati e la loro disperata invocazione.
Non seppe per quanto impose alle sue gambe di muoversi, forse un'ora, forse qualche minuto: lì il tempo perdeva di significato. Di tanto in tanto guardava dietro di sé cercando di penetrare l'oscurità che, come un essere vivo, inghiottiva la luce delle torce. Ormai, delle cinquanta che l'avevano accolta quando aveva cominciato a camminare, ne erano rimaste accese solo venti. Venti, come i guerrieri allineati lungo i due lati del corridoio. Un'altra sfrigolò e si spense in un fruscio quando oltrepassò il trono dove era seduto un nano, sulle ginocchia un arco d'oro tempestato di gemme preziose.
Il buio strisciò sul pavimento, allungandosi fino a sfiorarle i piedi. Airis gettò appena un'occhiata alla lunga ombra, rendendosi conto di non averne paura. Non c'era niente, in quel luogo, che le facesse paura.
Un'altra torcia si spense dietro di lei, in risposta a un altro passo, e la nebbia si sfilacciò come il tessuto di un vecchio abito, per poi avvolgersi in volute fumose attorno a un trono di ebano e acero, con venature di ferro e bronzo che si attorcigliavano sullo schienale, compenetrandosi e allontanandosi in una danza di rune e disegni intricati. Osservando quelle linee, Airis sentì l'impulso di sedersi, di abbandonarsi al sonno che le pesava sulle palpebre, ma sapeva che non era per quello che le era stato mostrato.
Spostò lo sguardo davanti a sé, sulla nebbia che le ostruiva la visuale. Ancora una volta, senza che nessuno glielo avesse detto, capì che non doveva procedere oltre, che non c'era ragione che lei vedesse quello che si nascondeva al di là di quel muro grigio. Così si avvicinò al trono, pulì il seggio dalla polvere e vi si sedette. Non c'era altro suono se non il suo lento e quasi inudibile respiro.
- Guardiana. -
Una voce rimbalzò sulle pareti di roccia. Il timbro era insieme maschile e femminile, come se un uomo e una donna avessero parlato in coro.
- Figlia mia, finalmente sei qui. -
Airis chiuse appena gli occhi. L'armatura – quando l'aveva indossata? Non aveva sentito il suo peso mentre camminava – le gravava sulle spalle, sulle braccia, sulle gambe, una gabbia aderente d'acciaio e ferro da cui non poteva scappare. Non fu facile trovare la forza di parlare, dare corpo a quella domanda che premeva prepotentemente sulla lingua.
- Chi... chi sei? -
- Sono colui che diede respiro a Vita e Morte. -
Una stretta gelata le avvolse le tempie, mentre una mano invisibile le accarezzava delicatamente la guancia. Era liscia e ruvida al tempo stesso, in qualche modo le ricordava quella di suo padre e di sua madre al medesimo tempo.
- Dove ci troviamo? -
- Nel luogo che ti appartiene, dove un giorno, se vorrai, potrai riposare. - un refolo d'aria tiepida le fece turbinare i capelli sul viso, - Ora ascolta ciò che coloro che hanno accettato il tuo stesso destino hanno da dirti. Ascoltali e poi bevi, abbandonati tra le braccia dell'oblio. -
Nel corridoio di pietra calò di nuovo il silenzio. Airis attese un momento, il tempo di un battito di ciglia, prima che una miriade di echi si riverberassero nell'oscurità, nella sua stessa mente.
"Caillean."
Sentire pronunciare il suo vero nome la riscosse dal torpore. Sbatté più volte le palpebre, mentre apriva e chiudeva i pugni ritmicamente, combattendo contro l'istinto di alzarsi dal trono.
- Chi... -
La sua voce era poco più di un bisbiglio roco, flebile persino alle sue stesse orecchie. Perché parlare era così difficile?
- Chi siete voi? Cosa volete? - formulò con più forza.
"Noi siamo te."
Le ombre si agitarono e la nebbia alla sua destra si avvolse in spirali sempre più intricate.
"Siamo i tuoi antenati. Sei qui per ricevere la Verità, per vedere i giorni che ancora non esistono e le cicatrici di quelli che ora non sono più."
Airis scosse debolmente la testa: - Non capisco... -
"La comprensione è figlia della conoscenza, Guardiana. Tu hai accettato il destino che era già stato scritto per te e noi ora ti renderemo partecipe di quello che fu e di quello che potrebbe essere. Chiudi gli occhi e ascolta, guarda, ricorda."
Le voci le martellavano nella testa, si alzavano d'intensità, senza che nessuna bocca si muovesse nell'aria immobile, senza che nessun respiro incrinasse il silenzio che regnava attorno a lei, mentre il suo cuore rallentava sempre più, così come il suo respiro.
"Questo è il nostro dono per te."
All'improvviso, davanti ai suoi occhi si spalancò una visione. Assistette a una battaglia sanguinosa tra due eserciti, uno capeggiato da un elfo dalla corona d'argento e l'altro da un uomo dagli occhi di bragia. Udì il loro grido bellico e subito dopo le prime file si schiantarono le une sulle altre, e il primo sangue venne versato. Ricordò il nome del condottiero delle terre libere, Arawan di Llanowar, e per un istante pensò di sbagliarsi, che quello fosse Ledah. Ma non era così. L'uomo che cavalcava sul possente baio aveva i lineamenti delicati dell'elfo, ma i suoi occhi erano azzurri come il ghiaccio perenne dei picchi a nord, non verde muschio.
Lo scenario cambiò repentinamente. Vide un uomo dalla pelle bronzea e gli ispidi capelli neri seduto su un trono d'oro e gemme preziose. Alle sue spalle, ricamato su un arazzo sdrucito, c'era il vessillo di un leone di fuoco. Udì il suo respiro greve diventare un gemito gorgogliante, mentre la sua vita si spegnava sotto le pugnalate di dodici uomini incappucciati, con indosso tutti delle vesti riccamente decorate, nobiliari. Quando il corpo si accasciò in una pozza di sangue, Airis ricordò il suo viso. Era lo stesso dell'uomo che aveva tentato di parlarle.
"Caillean, Figlia della Morte e Guardiana dell'Ordine, ascolta le nostre parole."
La visione mutò di nuovo. Nella penombra di una cripta, Airis distinse i lineamenti di un vecchio seduto in mezzo a un cerchio magico, i viso pieno di rughe, i capelli radi e le vene bluastre che emergevano da sotto la pelle tirata. In mano, stretta tra le unghie così nere da sembrare marce, teneva una piccola sfera blu. Risuonarono nel buio dei rumori di passi, un ticchettio seguito dal rumore strascicante di piedi, e d'un tratto un giovane elfo venne buttato ai piedi del vecchio. In quel momento, la guerriera associò gli occhi di bragia del dio delle tenebre a quelli di quell'essere.
"Venti leghe al sud dovrai andare, oltre il Grande Mare la nave dovrai condurre fino all'Oceano di fuoco e ghiaccio. La tua meta è persa oltre l'orizzonte, nel castello avvolto dalle nuvole e stretto dall'illusione di un imperituro inverno."
Sempre più rapide arrivarono le visioni, un vorticoso caos di voci, suoni, ricordi che la violentavano e la stordivano.
Una bambina con i capelli blu e gli occhi più scuri della notte correva nell'erba alta.
Un atrio tratteggiato nella calda luce del tramonto risuonava del canto delle arpe e dei flauti, accompagnando in un valzer fin troppo sensuale uomini e donne dalle ali sottili come farfalle.
Un drago con le squame lucide e gli occhi come tizzoni ardenti spiegava le ali, vomitando un inferno di fuoco su due eserciti in lotta.
Airis era lì in mezzo e combatteva senza né scudo né elmo, armata di una spada dalla lama scintillante di rune e vene rosse.
"Procedi attraverso il Ponte che unisce i due Mondi e giungi alla rocca dove giace la principessa eterna. Raccogli le lacrime dello sposo e inginocchiati al cospetto della Madre della Montagna. Prega con lei, danza con le sue figlie, odi e ignora il loro canto da sirene."
- Basta... basta! -
Provò a tapparsi le orecchie, ma le sue braccia erano incollate al trono, pietrificate come se fossero anch'esse delle sculture di legno. Gemette e un'ondata di calore le percorse la pelle, riducendo le parole a un rantolo affannoso.
Vide un lupo e un falco che percorrevano una rorida prateria, col sole dell'alba che dorava i pistilli delle neonate primule. Udì il gracchiare iroso di un corvo e un forsennato battito d'ali agitò l'aria immobile nella volta stellata. E, negli occhi verde muschio del falco accoccolato vicino alla lupa ormai morta, prima che un turbinio di piume nere lo avvolgesse, rivide lo stesso sguardo disperato di Ledah.
- Ledah! -
Il suo urlo si spense in un gemito di dolore.
"Segui il percorso che scende nel ventre della Madre, prosegui oltre le paure, oltre i fantasmi. Paga il più atroce tributo e spendi il sangue di quanto più amavi dopo che il Cigno ha deposto il suo scudo e prima che la Cerva fugga nel firmamento."
Il lezzo di sangue le penetrò nelle narici, invadendole la gola, il petto. I cadaveri giacevano a mucchi sulla radura del Rashaar, riversi in laghi di sangue che andava raggrumandosi. Molti erano mutilati, senza braccia, gambe, gli occhi cibo di vermi e corvi affamati. Airis fece spaziare lo sguardo in quella landa desolata, dove assieme al grido degli spettri senza nome echeggiava il coro dei vincitori, cavalieri dalle armature nere e i capelli bianchi come neve. Poi un ruggito rimbombò in cielo e davanti a sé gli steli arrossati divennero pipe d'oro e il sangue vino speziato in calici luccicanti. Gli invitati giacevano scomposti a un tavolo imbandito, con le mani ancora strette sulle cosce di pollo e la faccia annegata nel piatto strapieno. In fondo alla sala, seduta su un trono rialzato di spade insanguinate e teste mozzate, sedeva l'uomo dagli occhi di bragia, le labbra arcuate in un sorriso crudele. Sul capo portava una corona di rubini e teschi.
"Quando l'ultima torcia si spegnerà e il ringhio del fuoco farà tremare le alte mura del castello oltre le nuvole, lascia le lacrime dell'Eterna Sposa ivi dove si posa lo sguardo. Allora estrai la lama del Padre dal cuore di roccia e la mano che la difende dalla bocca della Madre."
Airis urlò e stavolta la sua voce rimbalzò nel corridoio di pietra col fragore di mille tuoni, eppure incapace di sovrastare il brusio assordante che gli trafiggeva il cervello, un coro di sussurri e di frasi infrante, confuse in un caos di sillabe e parole strascicate.
- Basta, basta, andate via! -
Infine tornò il silenzio, denso e schiacciante, improvviso, che le mozzò il respiro.

Fuoco nelle Tenebre  - La rinascita della FiammaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora