Veleno

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La caverna era buia e stretta. I loro passi e quelli dei loro inseguitori rimbombavano, echeggiando a lungo prima di perdersi nel nulla. Airis correva senza guardarsi indietro, seguendo il percorso naturale scavato nella roccia col cuore in gola e i muscoli delle gambe in fiamme. La paura scorreva nelle vene e le pervadeva i sensi; era il carburante del suo corpo, della sua mente.
- Prendeteli! -
- Sono là, li vedo! -
Arghail la superò, l'afferrò per il polso e imboccò una galleria a destra. Airis slittò, si diede di nuovo la spinta coi piedi e lo seguì. Udì voci concitate, un rumore sordo, un'imprecazione, un rapido e incomprensibile scambio di battute. Lo scalpiccio si affievolì, per poi riprendere meno intenso. Uno, due, tre nemici. Qualcuno era stato lasciato indietro.
Airis si infilò in un altro cunicolo, più basso, ancora più stretto. Furono costretti ad abbassare la testa, con le spalle che strusciavano contro le pareti, uno dietro l'altra.
- Dove sono andati? - ansimò.
Arghail si mise un dito davanti alle labbra per suggerirle di fare silenzio. I passi si divisero: un paio si gettarono al loro inseguimento, gli altri due presero un'altra direzione. Arrivarono a un bivio. Airis si fermò e Arghail sbirciò oltre la galleria di sinistra. Il respiro aveva smesso di condensarsi e si mescolava all'umidità crescente, che stava pian piano impadronendosi del loro ossigeno.
- Dove? - chiese Arghail con voce rauca.
Airis girò la testa a destra e a sinistra. Non riusciva a vedere niente, era buio pesto e i Fae si facevano sempre più vicini. Avevano anche aumentato l'andatura per raggiungerli. Presto li avrebbero trovati.
- Di qua. - decise.
Lo prese per mano e lo trascinò nella galleria di sinistra. Il terreno declinava e si inoltrava nel buio a perdita d'occhio. Arghail si sbilanciò in avanti, ma Airis lo sostenne e lo strattonò. Lui emise un singulto soffocato e riprese a correre a rotta di collo. Tremava per lo sforzo di non rallentare, a volte mancava dei passi o ne strascicava un paio, ma poi riacquistava il ritmo.
Nell'aria stantia e calda si fece strada il mormorio quasi impercettibile dell'acqua. Era lontano, veniva da tutte le direzioni e da nessuna.
"Resisti, maledizione, resisti."
Airis contrasse la mascella e svoltò a sinistra, poi destra e di nuovo a sinistra. I polmoni bruciavano, la cassa toracica ne limitava l'espansione e l'aria era sempre più calda, sempre più irrespirabile, ed entrambi accusavano ormai i morsi della fatica, dell'acido lattico che induriva i muscoli e li dilaniava dall'interno. I loro inseguitori, invece, non avevano mai rallentato. Si bloccò prima di oltrepassare un'altra galleria. Il corpo si inclinò, la caviglia sbatté contro una sporgenza acuminata e per non cadere dovette aggrapparsi alla parete. Si graffiò la mano e si ruppe le unghie dell'indice e dell'anulare, ma il dolore le diede lo slancio per continuare a correre.
Superarono cinque tunnel, prima di trovarne uno abbastanza largo da non costringerli a mettersi in fila indiana, le mani sempre a contatto, mai troppo distanti. Lo scrosciare di un corso d'acqua si fece sempre più nitido. Doveva essere un fiume sotterraneo o una vena acquifera abbastanza grande e impetuosa da generare quel rumore: era lì che dovevano arrivare.
- Ferma! -
Troppo tardi. Airis si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il vento soffiò dal basso, e le scompigliò i capelli dall'infinito vuoto sotto di lei. Il tempo parve fermarsi e lei rimase sospesa, la bocca congelata in un grido muto. Il cuore sussultò quando la gravità la tirò giù.
- Airis! -
All'ultimo istante Arghail le agguantò il polso, che scricchiolò in modo inquietante. Airis strinse i denti e si morse la lingua per trattenere i gemiti di dolore, mentre il buio si riempiva di pallini bianchi e rossi.
- Ti tengo. - la rassicurò e strinse l'altra mano poco sopra il gomito.
I muscoli delle spalle e delle braccia tremavano per lo sforzo. La issò di forza, la prese da sotto l'ascella e tirò ancora. Airis tentò di aiutarlo, appoggiò i piedi alla parete e spinse, mentre l'unica mano libera rimaneva aggrappata alla sua spalla. Fece leva sulle suole, ma la parete era troppo liscia, umida. Scivolò ancora di più e il capitano perse la presa, andando giù con lei.
- Prendeteli! -
I Fae erano arrivati. Erano lì, alle spalle di Arghail, Airis poteva sentire distintamente i loro passi a poche braccia da loro. Si scambiarono uno sguardo, uno solo. Nel buio, gli occhi dell'amico erano dei riflessi a malapena visibili, o forse era solo uno scherzo della paura, non poteva esserne certa.
- Vi avevamo detto che vi avremmo mangiati. -
Un risolino agghiacciante strisciò nell'oscurità, assieme alle sagome indistinte dei Fae. Airis guardò nuovamente il vuoto sotto di sé. Lo scrocio sordo del fiume saturava il silenzio, un suono irridente che faceva sembrare le esclamazioni eccitate dei loro inseguitori ancora più spettrali e sinistre. Gli spruzzi si innalzavano fino a lei, le avevano bagnato gli stivali e inumidito i pantaloni, ma non c'erano garanzie: poteva essere a dieci braccia come a trenta, l'eco non le permetteva di stimarlo. La scelta era spaccarsi le ossa o diventare la cena dei Fae. Artigliò Arghail per le spalle e lo tirò oltre la sporgenza, rompendo l'equilibrio precario tra braccia e gambe. Il capitano fece appena in tempo ad afferrare l'ascia.
Il dolore all'impatto la trafisse come mille spilli. Chiuse gli occhi ed emise un gemito sofferente che sfociò in un gorgoglio di bolle, mentre l'acqua le aggrediva la gola e le narici, trascinandola in basso con il peso della spada e dei vestiti. La corrente era forte, incontrollabile, e per quanto tentasse di combatterla non riusciva a opporsi. L'acqua vinse la barriera del suo respiro e Airis cominciò a soffocare. Arghail non era più con lei, si erano divisi durante la caduta, non c'era nessuno che potesse aiutarla. Sgambettò per cercare un appoggio, un masso, una sporgenza, ma i suoi piedi si allungarono nel nulla: stava annegando e non poteva fare niente per impedirlo.
"Delia, Davsten, madre... "
Le sue grida divennero bolle. L'acqua si appropriò delle sue forze, le palpebre divennero pesanti, il sangue si raggelò fino a diventare piombo liquido nelle vene, pesante e vischioso come il liquido che le stava riempiendo i polmoni. La corrente la sbatté contro un masso, a cui Airis tentò di ancorarsi. Allungò le mani alla cieca e ne sfiorò appena la superficie bagnata, prima di essere nuovamente travolta.
"Ledah..."
L'acqua si infiltrò nei suoi pensieri e li strinse tra le sue dita ghiacciate fino a romperli. Esplosero tutti insieme e le schegge, gelide e taglienti, le si conficcarono nel cervello, inchiodando i lembi restanti della sua volontà alla parete della scatola cranica.
Una mano l'afferrò per il braccio e poi, improvvisamente, lo tirò finché Airis non percepì la consistenza pesante della lana. La dita affondarono nel costato, poco sotto il seno e tutti i muscoli si tesero sotto la manica.
- ...is. -
Qualcuno la stava chiamando da mille miglia, ma lei non poteva rispondere, non ci riusciva.
- Airis! -
La presa si serrò di più, abbastanza da comprimere il diaframma contro il petto, così forte da farle sputare l'acqua. Aveva un sapore acido, disgustoso, bruciava come bile sulla lingua e in gola.
- Svegliati! Svegliati, maledizione! -
Airis tossì ancora, fino a quando la gola non cominciò a farle male. Le tremavano le membra e la vista era un vortice di pallini bianchi, però ora almeno respirava.
- Non... non ce la faccio. - gemette Arghail, - Non riesco a tenermi... -
Un'onda lo investì in pieno viso e la sua mano slittò sulla roccia. Airis udì la sua mascella scricchiolare, mentre il capitano lottava per non essere trascinato via. Pareva febbricitante mentre la stringeva a sé, nient'altro che un peso morto tra le sue braccia. Un'altra onda, ancora più forte della precedente, si schiantò su di loro. Arghail venne sbalzato indietro. In un impeto, Airis distese il braccio e piantò le unghie nella roccia. Le infilò in due piccole rientranze asimmetriche, si tenne e il capitano si aggrappò a lei prima che la corrente lo inghiottisse.
- Arghail, non lasciarmi! - urlò per sovrastare il ruggito del fiume.
- È troppo fort... - l'acqua gli finì in bocca e gli ricacciò la frase in gola, - Non ce la faccio, non resisto più. -
La guerriera serrò i denti. Aveva perso sensibilità nella mano che stringeva la spada e le dita nella roccia sanguinavano, spedendole continue scariche di dolore che le facevano girare la testa. Raccolse le energie che le rimanevano e tese i muscoli. Un'onda la investì, più aggressiva e feroce delle altre. Airis perse la presa e le acque li sommersero.

La prima cosa che Airis percepì quando riprese i sensi fu la consistenza dura e fastidiosa di ciottoli sotto la schiena. Le braccia erano dolorosamente stirate. Riaprì piano gli occhi e vide sopra di lei il soffitto della caverna, adornato da stalattiti di cristallo nero. La luce filtrava attraverso piccoli e sporadici fori e rimbalzava sui lucenti blocchi cristallini, spade lisce piantate al suolo alte più di nove braccia. Armi degli antichi dei, incastrate nel suolo, uniche reduci di una battaglia.
Con la testa urtò un sasso. La vista sfarfallò e dovette chiudere più volte le palpebre per riacquisire lucidità. Il soffitto si era mosso? O erano i cristalli a seguirla? Intorpidita com'era, non riusciva a capirlo. Inspirò ed espirò.
Udì due voci che parlavano in una lingua che non conosceva, ma la riconobbe come la stessa che aveva sentito in bocca ai Fae che li inseguivano. Mosse le dita, le chiuse un paio di volte per riacquistare sensibilità e concentrò la sua attenzione sui polsi, legati con una corda. Allora era stato tutto inutile: alla fine erano stati catturati. Non era il soffitto a muoversi, erano i Fae che li stavano trascinando.
"Arghail?"
Girò la testa alla sua sinistra. Il capitano era lì, anche lui con le braccia legate da un doppio nodo. La sua testa sobbalzò quando urtò un cristallo sbeccato e le palpebre tremarono, come se si stesse per svegliare. Quando incontrò lo sguardo di Airis, questa gli fece segno di rimanere in silenzio.
I Fae continuarono discutere tra di loro in una serie di botta e risposta, intervallate da risatine e pugni sulla spalla. Quello che trascinava Arghail era una donna con le spalle larghe e muscolose, il collo taurino e i capelli tagliati corti così da scoprire la nuca. Sulle braccia luccicavano delle scaglie rosate che sparivano sotto la tunica. L'altra donna era più esile e alta, e i ciuffi che sbucavano dalla coda di cavallo erano di un bianco quasi trasparente. Portava la sua spada al fianco, legata alla spessa cintura di cuoio con un piccolo anello.
"Pensa, Airis, pensa."
Socchiuse gli occhi e guardò Arghail. Era umano, non avrebbe potuto aiutarla. Avrebbe dovuto agire da sola e in fretta. Trasse un profondo respiro e gli fece un cenno del capo in direzione della Fae. Arghail annuì e Airis raccolse le forze.
"Vediamo quanto è forte questo nuovo corpo."
La Fae la strattonò e fece passare la corda sopra la spalla. Airis andò a sbattere contro un cristallo nero. Trattenne un gemito, strinse i pugni, vi si aggrappò con le gambe e tirò con quanta più forza poteva. La donna perse la presa, si sbilanciò e cadde a terra con un tonfo sordo. Non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo che Airis le saltò addosso. Le diede una gomitata in faccia, un colpo netto e preciso che le spaccò il setto nasale. La Fae urlò e si portò le mani al viso per difendersi, mentre combatteva per liberarsi.
Airis captò un rapido movimento al limitare del suo campo visivo. Girò di scatto la testa, pronta alla lotta, quando Arghail afferrò l'altra Fae per la caviglia e la fece inciampare. Le montò sulla schiena e le passò la corda attorno alla gola, cercando di evitare i suoi calci.
La distrazione le costò un pugno al fianco sinistro. Grugnì e ne incassò un altro. La Fae aveva gli occhi bianchi iniettati di sangue, le labbra sottilissime schiuse sui denti da squalo. Airis le sferrò un colpo alla tempia. Si chiese, forse per la decima volta, per quale maledetto motivo qualsiasi essere senziente che incontrava si ostinava a metterle i bastoni tra le ruote.
- Vuoi mangiarmi, figlia di puttana? - ringhiò furiosa, - So io cosa farti assaggiare. -
Strinse la presa sul suo bacino con le cosce e la colpì alla mandibola, poi alla bocca con una forza disumana. L'osso uscì d'asse e le labbra esplosero imbrattando le sue mani di sangue. Vicino a lei la lotta tra Arghail e la seconda Fae andava avanti, ma Airis era concentrata sulla sua avversaria. Caricò di nuovo.
- Muori. -
Il pugno andò a segno, così forte da sfondare il cranio della Fae all'altezza della tempia. Airis sentì con nitidezza lo schiocco agghiacciante dello sfenoide che si conficcava nel cervello. Il sangue schizzò dal naso e dalla bocca in uno zampillo violento.
Un urlo atroce e disperato riecheggiò nell'aria a poca distanza dalla guerriera. La Fae rimasta assestò un manrovescio ad Arghail con così tanta forza da buttarlo a terra e si scagliò contro Airis, che ebbe appena il tempo di allontanarsi dal corpo sotto di lei prima di essere investita.
Indietreggiò senza perdere d'occhio la donna che era caduta in ginocchio accanto al cadavere della sua compagna. Piangeva, ogni sua parola era interrotta dai singhiozzi, il viso affondato nel petto della Fae morta.
Airis andò a scontrarsi contro una colonna di cristallo nero obliqua. Il lato era tagliente, scheggiato in più punti. Vi appoggiò la corda sui polsi e cominciò a segarla, muovendo velocemente avanti e indietro le braccia.
La Fae superstite adagiò la testa dell'altra contro il masso dove Airis si era attaccata e le sfilò la spada dal fianco. Aveva negli occhi la rabbia della disperazione e mostrava i denti come un lupo braccato dai cacciatori. Avanzò trascinando la punta dell'arma sul terreno, lo sguardo spiritato fisso su di lei. Raggiuntala, vibrò un colpo calante a due mani. Airis riuscì a liberarsi per un soffio, prese la corda e rotolò di lato, togliendosi dalla traiettoria della lama. Riuscì a malapena a rialzarsi. La Fae mulinò la spada una seconda volta, stavolta in obliquo. Airis balzò all'indietro e ripristinò la distanza di sicurezza. Tese la corda con entrambe le mani e si spostò, poi cambiò ancora direzione e tornò sui suoi passi. La nemica la seguì con lo sguardo. A volte i suoi muscoli avevano uno spasmo, come se stesse per attaccare, ma poi restava ferma.
- Vieni a prendermi! - la provocò Airis e arretrò fino al cadavere.
Non era sicura di essere capita, ma sinceramente non le importava.
- Cos'è, hai paura? -
Poggiò il tallone sulla mano della Fae morta e la schiacciò. Le ossa emisero un gemito atroce. L'altra ringhiò feroce e le corse incontro. Menò un rapido colpo al ventre, ma Airis lo schivò, strisciò di lato, si portò veloce alle sue spalle e le strinse la corda attorno alla gola per strozzarla.
- Non vi permetterò di ostacolarmi ancora. - le sibilò all'orecchio.
La Fae le tirò una testata che la prese sul naso. Caddero a terra, una sopra l'altra. La guerriera legò le gambe attorno al suo bacino e tentò di stritolarla, mentre le dita rinserravano la presa sulla corda attorno alla sua gola.
- E chiunque si metterà sul mio cammino, lo ucciderò. -
La Fae scalciò, raspò il terreno con i piedi, le dita che raschiavano la corda e gli occhi rivoltati all'indietro. I capillari scoppiarono e le labbra sbiancarono. Nella bocca spalancata, la luce si rifletté in un barbaglio rossastro sui denti da squalo.
- Adesso vai, raggiungi la tua compagna e ricordati di me. -
Il collo si ruppe con uno schiocco e, in rantolo sommesso, la Fae smise di muoversi. La corda le aveva scavato due profondi solchi rossi nel collo e, quando Airis si levò il corpo di dosso, si staccò portandosi via una parte della pelle.
- Fottiti. - mugugnò tra i denti e si portò vicino ad Arghail.
Il capitano si era messo a sedere e si teneva la faccia. Aveva un occhio nero, uno zigomo rotto e le labbra tumide, nonché il segno di un morso sul braccio.
- Riesci ad alzarti? -
Arghail annuì, ancora intontito. Quando si mise in piedi, ebbe un capogiro e Airis lo dovette sostenere finché non si tenne saldo sulle sue gambe. Anche in quel caso, le ginocchia gli tremavano per lo sforzo.
- Lasciami, ce la faccio. -
- A me non sembra. -
Era un miracolo che fosse sopravvissuto alla colluttazione con solo qualche livido e osso rotto. Come se avesse intuito i suoi pensieri, Arghail arcuò le labbra in un mezzo sorriso: i due incisivi di sopra erano spaccati e aveva perso un canino.
- Non sono una donnicciula indifesa, Generale. -
- I denti te li ha fatti saltare lo stesso, però. - sorrise anche lei di rimando, cercando di alleggerire l'atmosfera, - Consolati, le donne non resistono al fascino delle cicatrici. -
- Non serve che me lo ricordi, Torvir ne è la dimostrazione vivente. -
Ripensare al capitano della "Signora dei Mari" la fece impensierire. Era riuscito ad arrivare a destinazione nonostante la tempesta? Quando il mare si era calmato, aveva mandato qualcuno a cercare i loro corpi, o aveva proseguito come se nulla fosse accaduto?
Forse parò ad alta voce, perché Arghail rispose: - Non lo so. È stata una persona importante per me, un fratello, ma ci sono delle cose che non gli ho potuto e non gli posso dire. -
"I segreti rovinano le amicizie."
- Credi che ci abbia lasciati indietro, quindi? -
- Forse... non ne posso essere sicuro. Lui è un uomo che cambia idea molto facilmente. -
- Non sappiamo com'è il mare ora. Se il maltempo ha è durato a lungo, sarebbe già un miracolo se fosse riuscito ad arrivare vivo e vegeto alla capitale. - gli fece notare Airis, - In ogni caso, non è un problema che ci riguarda. -
Il capitano concordò con un gesto del capo.
La caverna, un vero e proprio tempio di colonne di cristallo nero, si perdeva nell'oscurità. Il sole sfolgorava luminoso attraverso i fori del soffitto, non doveva essere nemmeno metà pomeriggio. Il rumore del fiume si perdeva in lontananza.
- Tu non eri sveglio mentre ti trascinavano, vero? -
- No. Dobbiamo tornare al fiume, è l'unica soluzione possibile. -
- Senza sapere da dove siamo venuti, rischiamo di perderci e morire qui. - sospirò Airis, - Se hai una proposta, io sono tutta orecchie. -
Il capitano aggrottò le sopracciglia. Sudava e aveva il respiro affannoso, ma Airis lo attribuì all'umidità che permeava l'ambiente: era come essere in una serra.
- L'unica idea che mi viene in mente la puoi realizzare solo tu. - si umettò le labbra secche e la guardò, - Metti la mano a terra e cerca di sentire le vibrazioni dell'acqua. Non so se funzionerà, non ho mai provato. -
- Ci provo. -
Gli consegnò la spada, si inginocchiò, appoggiò la mano aperta a terra e chiuse gli occhi. Inspirò ed espirò finché il suo cuore non si allineò sul ritmo tranquillo che precede il sonno. L'aria calda le scorreva sulle braccia e sulla schiena, il sudore come collante tra la sua pelle e il tessuto della cioppa. Corrugò la fronte, rilassò i muscoli, escludendo quella sensazione di unto che si sentiva addosso, e allontanò i pensieri, tutti quelli che svolazzavano gracchiando nel suo cervello.
All'improvviso percepì un tremolio sotto il palmo. Avanzò di un passo e allungò la mano. A destra si affievoliva, più si protendeva sul terreno più sembrava perdersi. Si spostò di poco più avanti. La vibrazione persisteva, pareva accarezzarla, abbattendosi dentro di lei come onde sul bagnasciuga. Poggiò sul suolo anche l'altra mano e descrisse attorno a sé dei semicerchi, respirando sempre più piano: doveva ascoltare, ricordare come seguire senza gli occhi. Il corpo reagì prima della mente. Proseguì ancora tastando il terreno, i tendini e i nervi che vibravano con maggiore forza per ogni onda che li attraversava. Quando aprì gli occhi, stavano puntando la galleria di sinistra.
- Sei sicura? -
- Abbastanza. - lo prese sottobraccio senza troppe cerimonie, - Non fare quella faccia, hai una pessima cera. -
- Le labbra e lo zigomo non mi fanno sembrare un prode guerriero appena uscito da una sanguinosa battaglia? -
Airis abbozzò un sorriso: - Risparmia il fiato per pensare a cosa faremo una volta usciti di qui. -
La galleria era buia, solo qualche foro permetteva alla luce di illuminare il passaggio. L'umidità non accennava a diminuire e la poca aria proveniente dall'esterno non era sufficiente a rinfrescare l'ambiente o ad asciugare il sudore. Di tanto in tanto, Airis si fermava per controllare che stessero procedendo nella giusta direzione, ma faceva sempre più fatica a concentrarsi. Arghail aveva il respiro affannoso, l'incarnato cereo e le labbra si erano scurite fino a diventare livide. Più che camminare, trascinava i piedi e si appoggiava completamente a lei.
Giunti a un'altra stanza sorretta da colonne di cristallo levigate, lo adagiò a terra e gli mise la mano sulla fronte: scottava.
"Cazzo."
- Arghail! Arghail, sveglia. - lo scosse finché il capitano non schiuse le palpebre, - Ho bisogno che ti sforzi di non dormire, chiaro? -
- Stavo... stavo solo riposando gli occhi. -
- Dimmi cosa senti. -
Il capitano deglutì. I capillari emergevano sotto la pelle infiammata, tralicci avvizziti che si espandevano fino allo zigomo viola.
- La testa... mi fa male. E ho caldo. - aprì di scatto gli occhi ed ebbe uno spasmo quando tentò di tirarsi su, - Le gambe... non sento più le gambe! -
- Mantieni la calma. - lo incoraggiò, poi gli strinse il braccio e il capitano cacciò un urlo.
Airis ritirò la mano: il sangue che la macchiava era denso, grumoso, più simile a una composta di mele. La ferita era gonfia e spurgava pus. Tastò la cioppa all'altezza del cuore, lì dove sapeva esserci il sacchetto. La tirò fuori e la aprì, estraendo le erbe bagnate. Sebbene secche, in qualche modo erano ancora integre.
"Quali piante usava Delia. Salvia, tiglio, rosmarino... questa non lo so. Somiglia alla lavanda, ma non riesco a capirlo."
Un ansito sofferente la allarmò. Arghail aveva la schiena piegata in un arco tesissimo, le dita contratte, le braccia e le gambe rigide. Quando cominciarono le convulsioni, ribaltò gli occhi all'indietro e spalancò la bocca in un grido senza voce.
Airis gli bloccò le braccia, lottando per tenerlo fermo. Nell'aria soffocante, l'improvvisa puzza di urina le fece quasi lacrimare gli occhi. Non sapeva cosa fare, come aiutarlo.
- Non puoi morire ora! Sei il prossimo re di Esperya, non ti lascerò crepare in questa grotta schifosa. Hai capito? Ti proibisco di morire! -
La sua vista si annebbiò, i contorni divennero labili e i colori sfumati. Solo Arghail era tangibile e reale. A quel punto una calma innaturale scese su di lei e una coscienza estranea si risvegliò.
Lasciò andare Arghail e ispezionò le altre erbe nel sacchetto: biancospino, sambuco, echinacea, tiglio. Ne masticò alcune sotto i denti e poi sputò l'impiastro assieme a della saliva. Aveva un profumo fresco e intenso, così come si aspettava.
- Sono qui, Arghail. Non ti abbandono. -
Arghail si irrigidì e il suo corpo si rilassò. Tremava ancora, ma la stava guardando, di nuovo presente a se stesso.
- Brucerà, ma tu non devi muoverti, per nessuna ragione al mondo. - lo avvertì e gli prese il braccio.
La ferita pulsava e la pelle tutta attorno era arrossata. Il veleno dei Fae era entrato in circolo e avrebbe presto raggiunto il cuore. Le crisi epilettiche erano solo il primo sintomo di una morte molto più lenta e dolorosa. Anche lei, la Guardiana, era stata ferita, ma il veleno sulla freccia non aveva effetto sul suo nuovo corpo.
Strappò un lembo della manica e lo avvolse stretto attorno al braccio dell'uomo.
- Chi sei? - esalò Arghail.
- Non ha senso sprecare parole per un morto, principe. Risparmia il fiato, le ore che verranno saranno dure per te. - gli disse, si alzò e prese la spada che era caduta a terra.
Arghail ebbe un altro spasmo e si inarcò di nuovo, ma meno di prima. L'impacco stava già facendo effetto.
- Dov'è Airis? Sei un fantasma e ti sei... - storse le labbra in una smorfia sofferente, - ti sei impadronita del suo corpo? -
Le venne da ridere. Non ricordava che i mortali potessero essere così ingenui, era passato troppo tempo da quando era stata una di loro.
- No. Non fare altre domande, non sarò io a dar loro una risposta. - lo prevenne e gli diede le spalle.
Gettò un'occhiata alla ferita sulla spalla della Guardiana. Puzzava, ma aveva già spurgato la maggior parte del veleno. Prese delle foglie di drosera e zenzero e le masticò fino ad ottenere un impasto più grumoso che si affrettò a spalmare sul taglio.
- Vado a prendere dell'acqua, tornerò a breve. - si voltò un'ultima volta e appuntò lo sguardo su di lui, - Hai gli stessi occhi di tuo padre. -
Poi si avviò verso la galleria che l'avrebbe portata al fiume.
Airis sbatté le palpebre per rimettere a fuoco. Davanti a lei scorreva il fiume, il fragore delle sue acque era un ruggito che le invadeva le orecchie. Si tolse la cioppa, rimanendo solo in pantaloni, la immerse nella corrente e attese che si impregnasse. Si sentiva ancora frastornata e il buio ai margini della vista era ancora coperto da una patina biancastra. Durante il tempo in cui l'entità aveva preso il suo posto, Airis aveva guardato attraverso i propri occhi, relegata in un angolo, in silenzio. I pensieri fluivano dalla donna verso la sua coscienza, erano suoi e allo stesso tempo non le appartenevano, ma sentiva che, se avesse voluto, avrebbe potuto riprendere il controllo del suo corpo senza che l'entità opponesse resistenza.
Strappò la manica destra, quella che era stata tagliata dalla freccia, e infilò la galleria per tornare indietro. Procedette per un pezzo al buio, senza sapere che pensare: c'erano già troppe domande insolute, aggiungerne altre le avrebbe procurato solo un gran mal di testa.
"Urian sapeva."
I fori sul soffitto ricomparvero dopo una lunga salita e il caldo parve affievolirsi. Airis si appoggiò alla parete per riprendere fiato e l'occhio le cadde sul petto. Dalle bende strette sul seno fuoriuscivano dei segni neri, sottili capillari neri simili a quelli della cancrena che si estendevano anche sulle costole. Erano in rilievo e ruvidi al tatto, come se la pelle in quel punto non fosse che un foglio di carta stropicciata. Non era passato nemmeno un mese e il tatuaggio stava già espandendosi.
Un verso inarticolato di Arghail la riscosse. Strinse la mano attorno all'elsa della spada, scattò e corse a perdifiato attraverso la galleria, più veloce che poteva, lasciando che fossero le sue gambe a condurla. La poca luce che filtrava dal soffitto delineò, al suo arrivo, sei figure ingobbite con vestiti laceri, più stracci che altro, e poche e sporadiche ciocche di capelli su una testa altresì innaturalmente glabra. Occhi senza iride o pupilla la fissarono, la bocca senza labbra irta di denti adamantini aperta e piena di saliva. Erano vicini ad Arghail, non avrebbero dovuto nemmeno distendere del tutto il braccio per afferrarlo. Non lo fecero, però. Un ghigno famelico precedette la loro carica contro di lei.
Airis schivò un'artigliata, si portò alle spalle del mostro e menò un fendente in diagonale, che gli aprì la schiena da parte a parte. Il sangue le schizzò sul viso. Gli altri interruppero il loro assalto e indietreggiarono nelle ombre. Respiravano piano, anzi sembravano non respirare affatto. Persino per il suo udito sviluppato era difficile sentirli.
Chiuse gli occhi e si rimise in guardia. Inspirò piano e strinse la spada, tenendola davanti al viso. Dei sassolini rotolarono, un acciottolio che produceva una bassa vibrazione nella terra: si stavano muovendo sul perimetro della stanza, simili a una massa di spettatori durante le lotte tra cani.
Balzò indietro e la bocca di un mostro si chiuse sul vuoto. La lama schizzò in avanti, aprì un taglio nella carne e si ritrasse, per poi affondare con maggiore forza. Il mostro digrignò i denti, li sbatté come se avesse avuto freddo e rinnovò l'attacco.
Airis si girò, affondò e falciò in diagonale, dal basso verso l'alto. La spada incontrò la resistenza degli artigli, ci strisciò sopra in un gemito metallico. Si abbassò sulle ginocchia, descrisse un semicerchio all'altezza dei suoi occhi e stavolta udì la punta farsi strada nella carne ancor prima che l'essere urlasse. Airis scattò e si infilò tra i due che le erano arrivati alle spalle. Colpì il primo al volo, dove sapeva esserci la carotide. Nessun affondo, un unico mezzo movimento dell'avambraccio, rapido e letale. Si sottrasse all'ennesimo attacco con movimenti agili, elegante come un gatto. Il sudore le colava sulle braccia, le inumidiva le labbra e le imperlava le ciglia. Il sangue, quello che era schizzato dal collo del mostro, tamburellò sulla punta degli stivali. Compì tre passi e caricò frontalmente il suo avversario, che però se lo aspettava e arretrò prima che la spada gli aprisse il cranio. Emise un ruggito che risuonò in tutta la stanza come un incitazione di sfida.
Airis allargò le gambe per abbassare il baricentro.
Il secondo mostro la sorprese alle spalle. La guerriera schivò, si girò e calò un fendente a due mani. Il sibilo della lama non si interruppe quando squarciò la carne. Udì un tonfo e un basso rantolio, seguito dal rumore tenue di sassi mossi.
Una mano tentò di afferrarle il collo. Airis danzò lontano, si voltò e colpì il mostro al viso col pomo della spada. Le ossa del naso e della mascella si ruppero con uno schiocco. Lo atterrò con un calcio, lo schiacciò a terra che ancora si teneva uggiolando il viso e lo trafisse al collo. La lama aprì il pomo d'Adamo, trapassò l'esofago, divise la collonna vertebrale e si piantò a terra. Airis gli mise un ginocchio sul petto e appoggiò la fronte contro l'impugnatura della spada. Il sudore le colava sulla schiena in gocce grosse e calde. Inspirò finché non le parve di aver incamerato abbastanza ossigeno e aprì gli occhi. Il mostro la fissava dal basso, con il sangue, il muco e la saliva che gli colavano sulla faccia grottesca. Guardandolo da vicino, Airis vide un'iride e una pupilla azzurrine, così chiare da sparire nel fondo bianco della sclera. Vide anche le orecchie, grandi come quelle di un uomo e affusolate come quelle di un elfo.
"Un Fae."
Sfilò la spada e se la rinfoderò. Strappò gli abiti del mostro, o qualsiasi cosa fosse, e prese gli stracci che avevano addosso gli altri cadaveri per legarli assieme, in modo da fare una corda. Non sapeva quanto avrebbe retto. Raccolse anche la sua tunica e accorse da Arghail. Era più sudato di lei e respirava a fatica. Airis sperava che l'impiastro avesse arrestato il veleno.
"In ogni caso, non ho le competenze per saperlo."
Gli tirò su la testa, gliela deterse e poi gli diede un paio di schiaffetti per svegliarlo. Il capitano schiuse le palpebre e la fissò senza vederla davvero, lo sguardo febbricitante e allucinato.
- Apri la bocca. - gli ordinò.
Non si aspettava che avrebbe recepito subito, invece Arghail obbedì. Quando Airis gli strizzò l'acqua sulle labbra, mugolò e strinse la tunica bagnata a sua volta, attaccandosi come un bambino al seno della madre.
- Ora ti lego e ti porto sulle spalle. - mentre lo diceva, fece passare la corda attorno alle gambe e al bacino, - Cerca di non muoverti troppo, sei malato e il veleno ti ha debilitato molto. -
- ... lasciami. - tossì e ripeté, - Lasciami qui... -
- Scordatelo. -
- Se non lo fai, moriremo entrambi. -
- Non morirà nessuno. - rispose convinta.
Gli assicurò anche la braccia e se lo issò sulle spalle: era più leggero di quello che si aspettasse.
- Riesci a tirare su le gambe? -
I muscoli ebbero uno spasmo, ma le gambe rimasero lì, inermi a penzoloni. Un gemito proruppe dalle labbra di Arghail.
- Non... non ci riesco. -
- Va bene, va bene. - gliele prese lei e strinse la presa sui polpacci, - Ti tengo io. -
- Sono un peso, lasciami. -
- Stai zitto, sei fastidioso. - ringhiò e si incamminò.
Passi svelti, falcate ampie. Se avesse potuto, avrebbe corso fino al fiume per lasciarsi alle spalle quella tana di... gli dei soli sapevano cosa. Il battito del cuore sovrastava su qualunque altro suono, le riempiva le orecchie in modo inversamente proporzionale al poco ossigeno nell'aria.
Giunse al fiume in circa un'ora e cominciò a seguirne il corso. Sperava con tutta se stessa che i nemici fossero finiti, non aveva la forza di combatterne altri, e con Arghail ridotto in quello stato sarebbe stata sola. Nella peggiore delle ipotesi avrebbe dovuto abbandonarlo, ma così facendo avrebbe fallito in parte la sua missione di Guardiana.
Sospirò e si tenne alla parete per non scivolare. No, non l'avrebbe abbandonato: Arghail sarebbe diventato il nuovo re, anche se per farlo sedere sul trono avrebbe dovuto abbracciare la morte.

Era una giornata uggiosa e tirava un piacevole venticello. Fareun osservava il suo gregge pascolare, uno stelo d'erba in bocca e il mento appoggiato al bastone. Era piacevole, molto più che a valle, dove una primavera inattesa aveva già fatto sbocciare i crochi e le genzianelle primaticcie. Lì, al sud, l'inverno non era mai durato molto, ma quell'anno era fuggito via fin troppo in fretta, come un cervo spaventato da un cane da caccia. Un evento inusuale, aveva pensato, ma poi aveva accantonato la questione quando aveva condotto le pecore sul sentiero, fino a quel prato.
"Stavolta la fortuna ci assiste."
L'abbaiare di Cucciolo richiamò la sua attenzione. Non fece in tempo ad alzarsi che il cane era già scattato su per il sentiero ed era sparito oltre la prima curva.
- Maledetto. - grugnì innervosito, - Mai vista una bestia così ribelle. Mio padre non ti ha bastonato a dovere quando eri piccolo! -
E dire che era stato proprio lui a insistere per comprarlo. Gli aveva fatto una gran pena quando lo aveva visto in quella gabbia sudicia, attaccato alle sbarre e atterrito da qualsiasi mano tentasse anche solo di accarezzarlo. A distanza di quasi dieci anni, non si era pentito di averlo preso, ma non poteva non imprecare quando, al posto di sorvegliare il gregge, si allontanava per inseguire l'odore di una femmina o di una possibile preda. Comunque, a parte prendersela con lo spirito del padre per non averlo picchiato abbastanza, non aveva mai alzato il bastone contro il suo cane.
- Stavolta però mi sente. - borbottò, poi inspirò ed esclamò, - Mi hai sentito, bestiaccia? Stavolta vedrai se non ti faccio uggiolare. Altro che bastone! Starai a digiuno finché non impari un po' di disciplina! -
Cucciolo gli rispose con un latrato. Fareun accelerò il passo, svoltò la curva e il bastone gli cadde di mano.
- Per tutti gli dei... -
Il cane stava leccando la mano a un uomo con la barba folta e il viso sudato, pallido come un morto. Sotto di lui, giaceva una donna con i capelli rossi come le fiamme.  

Fuoco nelle Tenebre  - La rinascita della FiammaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora