La legge del contrappasso

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Lysandra sospirò stancamente alla vista dell'ambasciatore che entrava nella sala delle udienze. Lancelith Cal'doran, secondogenito di Greleda e Reynridan Cal'doran, era un ragazzo alto, allampanato e dalla mascella squadrata, al quale la natura non aveva concesso né la bellezza né una mente brillante. Tuttavia, per compensare tali mancanze, possedeva un ego smisurato e assai poco buon senso. Come tutti gli uomini che credevano di avere il mondo ai propri piedi, Lancelith aveva dimostrato in ben più di un'occasione di essere il figlio che nessun genitore avrebbe voluto avere, ma, nonostante tutto quello che aveva combinato, sua madre non gli aveva mai rimproverato nulla e si ostinava a mandarlo come emissario a corte, forse nella vana speranza che la regina gli procurasse una moglie che avesse la pazienza di sopportarlo per tutto il resto della sua vita. In un certo qual modo, a Lysandra faceva pena la pochezza mentale di quell'umano che amava fregiarsi del titolo di "Magister", come se quella parola avesse il potere di renderlo la persona intelligente che avrebbe dovuto essere. Non riusciva a sopportarlo, il suo modo di portare avanti la conversazione era irritante a causa dell'obbligo quasi morale di parlare usando l'ampolloso linguaggio accademico, intervallato qua e là da espressioni bizzarre e pompose comprensibili solo per gli eruditi – e spesso, a dire il vero, incontravano qualche difficoltà pure loro.
- Benvenuto, Lancelith. - lo salutò con una smorfia che voleva essere un sorriso di circostanza.
- Maestà. - il ragazzo s'inchinò ossequioso, - Spero di non avervi disturbata. Posso solo provare a immaginare quanto siate ancora addolorata per la perdita del vostro amato marito e nostro re. -
Prontamente, un sorriso triste emerse sulle labbra di Lysandra. Non che le venisse difficile fingere di essere afflitta, aveva il più totale controllo sulle sue emozioni, però quando era in presenza di Lancelith doveva sforzarsi soprattutto di nascondere il fastidio. Per questo quando il paggio le aveva annunciato che sarebbe venuto a farle visita, aveva optato di accompagnare l'abito in sciamito di seta rossa con un velo di merletto nero in segno di lutto. Trasse un profondo respiro e si asciugò una lacrima invisibile dagli occhi, aspettando che Lancelith continuasse.
- Mio padre rinnova le condoglianze e si rammarica per non essere potuto venire al funerale del re. Purtroppo, una banda di infidi contadini riottosi ha tentato di attaccare i soldati che erano andati a riscuotere le tasse e lui ha dovuto precipitarsi immediatamente nella nostra tenuta fuori città. Mi ha scongiurato di venire qui il prima possibile per porgervi le sue più sincere scuse. -
- Dite a vostro padre che non si deve preoccupare. Il mio caro marito è morto, ma il mondo va avanti nonostante la sua assenza. - scosse la testa e si portò una mano al petto, sfiorando la piccola sfera blu.
- Il mondo all'improvviso appare più povero, maestà. Anche il compito che il re vi ha lasciato è molto gravoso. Io e la mia famiglia ci teniamo a farvi sapere che avrete sempre il nostro appoggio, finché governerete con giustizia e magnanimità. - Lancelith sorrise, mostrando i denti storti e sporgenti.
"Fino a quando farò i vostri interessi, vorrai direi."
- Oh, lo so. Siete una famiglia di grandi cavalieri, sono fin troppo consapevole di quanto siano importanti per voi le tradizioni. Nonostante ciò, non penso tu sia venuto al mio cospetto solo per ricordarmi quanto sia fortunata ad aver avuto il vostro appoggio. -
Lancelith intrecciò le dita dietro la schiena, sfoggiando il suo sorriso migliore, a metà tra il misterioso e il galante.
- Mia madre vi chiede quando mi presenterete l'adorabile fanciulla che diventerà la mia sposa. Ammetto di trattenere a stento la curiosità. Se ha anche solo un frammento della bellezza di vostra altezza, potrò considerarmi l'uomo più fortunato di Esperya, anzi, di tutte le terre conosciute e non. -
- Dovrete attendere ancora, Lancelith, la dama a voi promessa è difficile da trovare. I titoli dei quali vi fregiate sono tanti e non vorrei mai fare un torto alla vostra famiglia legando un giovane bello e intelligente come te a una donna la cui unica qualità è il dono caduco della bellezza. -
- Mi lusingate. -
- Dico solo il vero, come il mio amato marito. -
Lysandra sventolò la mano e alzò gli occhi al soffitto con un sospiro profondo, di quelli che faceva spesso da quando Voren era morto.
- Come ho sempre detto, il nostro re era un modello per tutti noi. - Lancelith si inchinò e abbassò la testa con aria grave, - Ora perdonatemi, mi congedo. Non voglio disturbare ulteriormente vostra grazia. -
Lysandra non disse nulla. Attese che il ragazzo uscisse dalla sala delle udienze prima di far cenno al capitano delle guardie di avvicinarsi. Era un uomo alto e possente, che Lysandra sapeva esserle fedelissimo, soprattutto da quando aveva scoperto che aveva picchiato fino a uccidere una prostituta nei bassifondi della città. Quando incontrò il suo sguardo, nascosta sotto il nero pece delle iridi e della minuscola pupilla, la Lich ravvide la stessa paura e timore reverenziale che aveva quando lo aveva convocato per mostrargli il cadavere della ragazza.
- A chi tocca? -
- Ci sono due ambasciatori della famiglia Erdarwell e Zagaloth che attendono d'incontrarvi. -
- Darò loro udienza nel pomeriggio. - decise, alzandosi dal trono.
Il capitano annuì e si congedò con un lieve cenno del capo, uscendo dal salone a grandi falcate, mentre Lysandra si avviava dalla parte opposta, verso la porta che conduceva alle sue stanze. Le due guardie si spostarono per permetterle di passare, senza che lei dovesse dire o fare nulla. Allo stesso modo, non appena varcò la soglia, richiusero la porta in totale silenzio. Se ne compiacque: Voren si era dimostrato inutile, un re incapace di governare e guadagnare il rispetto dei propri sudditi, ma la sua paranoia aveva contribuito a portare a corte soldati ciecamente obbedienti, uomini e donne provenienti dalla Dracea nord-occidentale, cresciuti per diventare guerrieri o assassini. Farsi tagliare la lingua costituiva il loro battesimo del fuoco quando uccidevano per la prima volta.
Camminò lungo il corridoio, passando davanti agli arazzi di lana e cotone colorati e ai quadri di tutti i precedenti re e regine, soffermandosi di tanto in tanto a osservare i loro volti. I Varaldien erano tutti uguali, a parte per qualche dettaglio non c'erano molte differenze nella fisionomia. Gli uomini avevano dei tratti molto femminili, le labbra a cuore, le ciglia lunghe e i capelli biondi leggermente mossi come quelle delle donne. Ognuno di loro riportava i tratti di Rhegar Varaldien e Sigil Alchiria, compresa la forza d'animo e un temperamento indomito che era valsa loro la nomea di "Draghi d'Esperya". L'unico che si discostava da quella stirpe era Sejrel.
Si fermò a contemplare il quadro del precedente re di Esperya. Il pittore lo aveva voluto catturare mentre cavalcava il suo cavallo bardato di tutto punto, con la spada puntata verso il cielo e i capelli rossi trattenuti a stento dalla tiara dorata. Se lo ricordava quel ritratto: era stata la sua promessa sposa, la figlia di Kitiara Azlan, a insistere affinché si facesse ritrarre in groppa al nuovo stallone che suo padre gli aveva regalato. Lysandra ricordava anche di aver pensato di farlo sostituire con uno in cui il giovane sovrano era stato rappresentato a mezzobusto con la chiave di Sershet tra le mani come i suoi predecessori, ma poi aveva cambiato idea. Un sorriso beffardo si dipinse sulle sue labbra quando la memoria le ripropose il viso congestionato di quella ragazzina al funerale, il suo sguardo rabbioso e carico di rimpianto quando si erano incontrate al ballo il giorno in cui Voren era stato incoronato re.
Il nome Sejrel nell'antica lingua umana significava "speranza" e, per molto tempo, quel giovane aveva rappresentato un faro nella notte per Sershet e tutta Esperya. Era stato difficile farlo capitolare, e non solo perché era sempre attorniato da uomini come il consigliere Xerxas Ascrocell: Sejrel credeva davvero nella parità razziale e nella possibilità di ricreare una pace duratura come quella dopo la guerra del Centesimo Solstizio. Aveva persino creduto di rendere i Drow un popolo libero, spingendosi a fare una visita alla saline, le miniere in mezzo al deserto del Selyr, dove gli elfi oscuri erano costretti a lavorare per estrarre le gemme preziose tanto care a nani e gnomi.
- Saresti stato un grande re e una grande spina nel fianco. Te ne devo dare atto. Per questo è stato necessario eliminarti. - mormorò Lysandra, osservando assorta la tela.
- Mia signora, non è sicuro parlare qui. -
- E perché mai, Kvothe? - domandò divertita, girandosi per incrociare gli occhi di ghiaccio del Cavaliere dell'Aquila, nonché capo delle spie e del corpo di guardia della regina, che la fissava impassibile appoggiato al muro.
La scimitarra di argento alchemico brillava al suo fianco e il fodero di legno di frassino decorato con arabeschi dorati gli accarezzava la gamba, sfiorando appena gli alti schinieri. Il mantello, di un blu così scuro da sembrare nero, nascondeva tutta la sua figura, lasciando scoperta solo la maschera di gesso, una colombina azzurra traslucida impreziosita con intarsiature e rami verdi. Gli unici dettagli che Lysandra riusciva a vedere erano la bocca e gli occhi, due biglie ambrate incastonate in un viso che sapeva essere pallido, cadaverico.
- Non si può mai sapere chi si può aggirare in questi corridoi. - rispose il Cavaliere.
- Oh, mio caro, io so tutto di ciò che accade nel castello e anche fuori, anche se la mia vista è limitata. Per questo ci siete tu e i tuoi uomini, Kvothe. - fece un passo verso la porta delle sue stanze e gli intimò di seguirla.
L'uomo chinò il capo e, silenzioso come un'ombra, entrò subito dietro di lei. Ad accoglierli fu la fiamma scoppiettante del caminetto e il calore avvolgente che scaturiva dall'ipocausto vicino alla finestra sul lato ovest. Un grande letto a baldacchino decorato con tralicci d'edera e rose rampicanti era addossato contro il muro sud, rivolto verso la finestra ogivale che si apriva sul balcone di marmo bianco. Sul tavolino nero dalle tozze gambe leonine laccate in oro, posizionato vicino al caminetto, c'era una scacchiera, e lì accanto due carrelli pieni di dolcetti alle mandorle, pistacchi e frutta secca appena sfornati.
- Prego, accomodati pure, abbiamo molto di cui discutere. - lo invitò Lysandra, prendendo posto sulla sedia e facendogli cenno di fare altrettanto, - Sei anche fortunato, è l'ora del tè e Sarge ha appena sfornato i pasticcini. Vuoi favorire? -
- No, vi ringrazio, non ce n'è alcun bisogno. - sorrise appena e con la grazia di un gatto si lasciò cadere sulla sedia davanti a lei, lo sguardo già fisso sulla scacchiera di onice e alabastro.
Tutti i pezzi erano stati bagnati nell'oro e nell'argento, secondo un metodo antichissimo che si tramandava di generazione in generazione, a detta dell'artigiano che l'aveva venduta al defunto re. Per quanto Lysandra la trovasse di pessimo gusto, non poteva non apprezzare la cura dei particolari che adornavano i due schieramenti e i quattro lupi decorativi posti agli angoli della base, che sembravano incisi direttamente nell'apatite.
- Ti piace? - domandò con noncuranza Lysandra, portando alle labbra un dolcetto.
- Molto. È... davvero meravigliosa. - il Cavaliere prese l'alfiere e se lo rigirò tra le dita, per poi portarlo al viso con un'espressione strabiliata, - È un pezzo raro. Vostro marito ha fatto un ottimo affare a comprarla. -
- Concordo. - mentì la regina, versandogli un goccio di tè fumante nella propria tazza, - Veniamo al punto: cosa hai scoperto? -
- Niente che non sapete già. La maggior parte delle famiglie dei Consiglieri vi appoggia e il popolo, da quando avete promulgato l'editto per la regolamentazione degli incontri nell'arena e della distribuzione di cibo nei quartieri più poveri, vi adora. Le casse reali non sono mai vuote e Shilazard continua a dire che era dai tempi di Oesteron Varaldien che l'economia non era così prospera. Oserei dire che se non fosse stato per la morte di Voren, del Cavaliere del Lupo e del Cavaliere del Leone, avremmo assistito a festeggiamenti infiniti. - disse e tolse il cappuccio, rivelando la testa castana con i capelli tagliati corti fin sopra le orecchie.
- E i fatti di Luthien? -
- La rabbia e l'indignazione serpeggiano e fomentano sia i soldati che la popolazione. Tutti vogliono che gli elfi paghino per quello che hanno fatto. Non vedevo tutto questo fervore e questa voglia di combattere dalla caduta di Edon e Mera. -
Lysandra annuì, compiaciuta di sentire quelle parole. La settimana precedente, Felther era tornato con il corpo di Airis Lullabyon e lo spadone di Ignus Adelon. Prima che cominciasse la cerimonia funebre, la Lich si era occupata personalmente di verificare che il corpo della guerriera fosse quello originale e che fosse davvero morto. Quando aveva visto il sangue annerito attorno alla ferita vicino al cuore, non era riuscita a trattenere un ghigno soddisfatto.
- Tuttavia, ci sono delle complicazioni. In primo luogo, non tutte le famiglie sono felici del fatto che voi siate la nuova sovrana. Alcuni nomi penso non vi siano nuovi, altri invece... sono rimasto stupito persino io. -
- Davvero? -
- Sì, soprattutto se pensiamo che la famiglia in questione non annovera tra i suoi antenati Cavalieri di grande valore. -
- Ti riferisci forse ai Lancers? -
Un sorriso da gatto si stirò sulle labbra di Kvothe. Lysandra sospirò e spezzò una pasta all'amaretto condito con frutta glassata e pinoli caramellati. Sapeva che non tutte le famiglie nobili provavano simpatia nei suoi confronti e averne la certezza non l'angustiava. Stava andando tutto secondo i piani.
- Hai delle prove concrete di quello che dici? -
- Per ora si tratta di voci, chiacchiere sussurrate dalla servitù, ma il tempo mi ha insegnato che i pettegolezzi delle sguattere sono una fonte d'informazione più attendibile di molte altre. -
- Il problema, mio caro Kvothe, è che non bastano le chiacchiere di una serva inacidita e invidiosa per procedere con l'esproprio e la condanna a morte per alto tradimento. - si tamponò le labbra con il tovagliolo di raso, in modo da non rovinare il rossetto, - Quello che mi stai dicendo, lo sospettavo già da tempo, non è una novità. Mi serve qualcosa di più di un'antipatia. -
- E lo avrete, maestà. Io e miei uomini stiamo indagando, ho già attivato la mia rete di spie per tenerli tutti sotto controllo. Per ora sospetto stiano cercando un modo per detronizzarvi. Non so ancora come o quando, ma sono più che certo che il loro obiettivo finale sia questo e non una semplice e sterile polemica contro di voi. Sanno fin troppo bene che il popolo vi ama e che i Cal'doran, i Valakas, i Fellmoor e gli Erdarwel sono dalla vostra parte. Per il momento presumo si limiteranno a una tenace opposizione durante le sedute del Consiglio, almeno finché non capiranno quali sono le forze in campo. -
- Se il loro capo è Kitiara Azlan è probabile che attenderanno prima di agire. - convenne Lysandra con un tono quasi annoiato, - È astuta quella donna. Se potessi, la eliminerei subito. Ma la sua morte creerebbe scompiglio e i suoi alleati mi additerebbero subito come colpevole. Meglio aspettare, osservare e ponderare come muoverci. I giochi di potere sono mortali, o vinci o perdi. E io voglio vincere. -
- Vincerete, mia regina, e sapete perché? -
- Illuminami. -
Kvothe sogghignò, mettendo in mostra una dentatura perfetta, bianca, che contrastava con la lingua nera che gli umettava le labbra cianotiche.
- Voi avete me. Con il sottoscritto al vostro fianco, nessuno riuscirà a ostacolare la vostra avanzata. - si alzò, si genuflesse ai suoi piedi e con fare teatrale le baciò la mano, - Il giorno in cui mi avete riportato in vita, ho giurato di servirvi e che la mia rete avrebbe strangolato chiunque si sarebbe messo sulla vostra strada. Rinnovo il mio giuramento qui, ora, davanti a voi, affinché vi ricordiate che il vostro umile servitore vi coprirà le spalle. -
- Sei sempre molto modesto, Kvothe. -
- Dovevo avere pur qualche difetto. - ridacchiò, tornando a prendere posto sulla sedia, - Ci tenevo comunque a comunicarvi che anche Delia non costituisce più un problema per la corona. -
- Sono curiosa di sapere come ti sei occupato di lei. -
- Io? Nemmeno nella mia precedente vita ho mai alzato un dito su una donna. Beh, non direttamente. È che la povera Delia dovrebbe saperlo che non è una buona idea girare per le strade dei bassifondi dopo una certa ora. Quelle stradine possono costituire una rapida scorciatoia oppure una trappola mortale, soprattutto se si fanno gli incontri sbagliati. - illustrò con aria vaga.
Lysandra ammiccò, si versò l'ultima tazza di tè e vi buttò tre zollette, girando il cucchiaino finché non le parve che lo zucchero si fosse sciolto totalmente.
- Se mi concedete un commento, mia signora, il defunto re aveva dei pessimi gusti in fatto di donne. Anche le altre, tutte quelle che facevano parte del suo harem personale, non erano nemmeno lontanamente belle come voi. Mi chiedo sinceramente per quale assurdo motivo, avendo già voi al suo fianco, abbia dovuto rivolgere lo sguardo verso delle amanti così imbarazzanti. -
- Le solite fisse della maggior parte degli uomini. E poi c'era la questione dell'erede, sempre così importante per gli umani. Per una donna di quasi quarant'anni come Wecilia Mallus è difficile rimanere incinta. -
Lysandra tacque a lungo, fingendo di cercare di ricordare cosa dovesse domandargli, quando sentì qualcuno bussare. Il Cavaliere dell'Aquila portò la mano alla scimitarra e andò ad aprire. Non appena vide Felther, sul viso di Kvothe apparve un sorrisetto affettato, che venne ricambiato da un'occhiata di sussiego.
- Maestà. - esordì il nuovo arrivato, inchinandosi.
- Puntuale come sempre, Cavaliere. - Lysandra finì di sorseggiare il tè e si appoggiò comodamente allo schienale, - C'è altro, Kvothe? -
- No, niente che non possa aspettare. -
- Bene, va' pure. Avverti Sarge che è finito il tè. -
Il Cavaliere annuì e uscì dopo aver eseguito alcuni inchini complicati e cerimoniosi.
Lysandra tornò subito a rivolgersi a Felther, che aspettava immobile in posizione marziale di lato alla porta. Non le era sfuggita l'occhiata di fuoco che aveva scoccato in direzione del Cavaliere dell'Aquila, la rabbia celata dietro la sua solita espressione imperscrutabile.
Il rumore di passi, già flebile di per sé, si perse in lontananza, così Lysandra mise da parte gli indugi e gli fece cenno di avvicinarsi. Felther obbedì, portandosi al suo fianco. Indossava un'armatura semplice, spartana, con il simbolo della casata reale inciso sul pettorale e quello del suo ordine, un drago rosso con le ali spiegate, cucito sul mantello verde agganciato al collo con una spilla d'ottone. Non portava l'elmo, come invece l'etichetta imponeva durante le udienze ufficiali e non, lasciando scoperto il viso pallido e le occhiaie scure che gli infossavano gli occhi, di un grigio pastello che sfumava all'azzurro nell'intorno della pupilla.
La Lich storse la bocca in una lieve smorfia.
"Dovrebbe nutrirsi di più."
- Vostra altezza, vengo a fare rapporto dal fronte. -
- Spero buone nuove, Felther. Siediti. - gli ordinò Lysandra.
Rhanagar, il suo cameriere personale, entrò nella stanza portando su un vassoio due tazzine di ceramica e una teiera fumante. Come tutti i Drow, indossava il collare da schiavo, abbellito da rune che rilucevano di un tenue bagliore verdastro. O almeno questo era ciò che gli altri vedevano, perché in realtà Lysandra aveva annullato la magia del collare da ancor prima che Voren morisse.
La regina lo guardò appena mentre sparecchiava, molto più interessata al viso del Cavaliere del Drago, che teneva sotto controllo qualsiasi movimento del Drow. Da quando si era svolta la parata in onore dei suoi compagni d'arme caduti, lo aveva mandato al nord per verificare a che punto fossero i preparativi e, eccetto quando lo contattava tramite la magia, non aveva avuto modo di osservarlo meglio. A differenza di molti altri Risvegliati, quando aveva ricucito l'anima al corpo le era parso che la trasformazione fosse andata a buon fine. Però, guardandolo ora, aveva un'aria "umanamente" stanca.
- Ti piacciono gli scacchi, Felther? -
- Abbastanza. Perché, mia signora? -
- Avevo voglia di una partita, ma Kvothe non è molto bravo. -
Lysandra attese che Rhanagar servisse a entrambi il tè, prima di muovere il primo pedone.
- Dunque, parla. -
- Procede tutto secondo i piani. Abbiamo impedito ai Whorm di uscire da Llanowar e Saradreza è riuscita ad addomesticarne altri cinque. Ho fatto spostare le truppe nel cuore della foresta di Noumenasse e ho stanziato un buon numero di soldati anche alle pendici dei monti Eresse. Attendiamo solo ordini da voi. -
- Ottimo. Direi che quell'esplosione è stata un imprevisto molto più utile di quello che pensassi.-
Felther assentì e mosse l'ultimo pedone sulla sinistra.
- Fenrir chiede se avete qualche preferenza sulla prova che vi deve portare. - aggiunse in tono neutro, come se stesse parlando del tempo atmosferico.
- Riferiscigli che mi basta anche il braccio, l'importante è che quella bambina muoia. Il come lo lascio decidere a lui. - accavallò le gambe e appoggiò il viso sul pugno chiuso, muovendo l'alfiere per un contrattacco al centro, - Mi sembri abbattuto negli ultimi giorni, Cavaliere. Qualcosa ti turba? -
Il labbro di Felther tremò in modo quasi impercettibile e abbassò lo sguardo, arroccando lungo l'ottava linea. Una mossa inutile, considerò Lysandra, le rendeva la cose fin troppo semplici. Con la mano ornata di anelli, spostò il suo alfiere, minacciando il re avversario e aprendo di forza la colonna centrale per la propria torre.
- Tenendo conto del fatto che non hai bisogno né di dormire né di mangiare e che sei un Generale esperto e temuto, mi stupisco di vederti ridotto così. Lo sei diventato da quando hai incontrato il Generale Lullabyon a casa sua. Non essere sorpreso, sai che tengo sotto controllo chiunque in questa città. E poi mi preoccupo per i miei sudditi. Sia mai che un turbamento interiore possa compromettere la tua capacità di giudizio. -
Al silenzio che seguì, Lysandra si domandò se avesse dovuto penetrare nella sua mente con la magia. Quasi Felther avesse captato quel pensiero, si irrigidì e negli occhi grigi guizzò improvvisa la consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto se non avesse risposto.
- Non credevo che il Generale avrebbe reagito come ha fatto. - ammise dopo una breve esitazione, - L'ho visto andare in pezzi. Non si è arreso solo perché doveva sostenere sua moglie. È stato scioccante. -
Lysandra ridacchiò, una risata melodiosa che si diffuse nell'aria calda nella stanza come il trillo di un campanellino. Era al corrente anche di questo, la sorveglianza del vecchio Generale era stato uno dei primi incarichi che aveva assegnato a Kvothe. Il Cavaliere dell'Aquila le aveva riferito che l'uomo e sua moglie erano distrutti dal dolore, ma non sembravano un pericolo.
- Tu, invece, come hai preso la morte della tua compagna? - buttò lì suadente, gli occhi rossi che cercavano quelli del suo nervoso interlocutore, - Non ci mentiamo, Felther, so cosa provavi per lei e so cosa ha significato per te il suo rifiuto, l'ho visto quando ho riunito la tua anima al corpo. E ho scorto nei tuoi occhi il senso di colpa quando hai rimboccato la bandiera sulla sua bara. -
Felther strinse i pugni sui bordi del tavolino, sostenendo lo sguardo serio della regina. Se ci avesse messo più forza, avrebbe potuto romperlo.
- Quello che provo è ininfluente. Airis Lullabyon si è macchiata di alto tradimento e insubordinazione, questo è un fatto che niente potrà cambiare. Essere un Cavaliere significa anche compiere scelte di cui non si va fieri, ma che sono necessarie per mantenere l'ordine. Se temete che la mia fedeltà nei vostri confronti sia mal riposta, datemi la possibilità di dimostrarvi il contrario. - scandì deciso, la voce atona, tagliente come la lama del suo spadone.
- Oh, ma io sono più che certa che tu non sia quel genere d'uomo, Felther. Mi fido. -
Lysandra puntò il suo sguardo ardente su di lui, lo inchiodò sul posto, lasciandolo col braccio a mezz'aria proteso verso la torre. Voleva che avesse l'impressione che tutta la sua attenzione fosse concentrata su di lui, che nulla in quel momento fosse importante come Eigor Felther. Penetrò nella sua mente con estrema facilità, ne sfiorò i ricordi e ne scandagliò i pensieri, frammenti di vetro che si componevano in mosaici complessi di immagini e suoni, per poi rompersi nuovamente e sparire, sgretolandosi in pezzi sempre più piccoli. Ne contemplò uno in particolare, soffermandosi ad osservare i colori che si riflettevano sulla sua superficie fino a quando non svanì.
Lysandra sbatté un paio di volte le palpebre e dopo un momento si ritrovò nel suo corpo, di fronte a un Felther intontito e sgomento al tempo stesso.
- So che non mi tradirai, sei troppo attaccato all'onore. Volevo solo assicurarmi che il senso di colpa non ti stesse condizionando. -
- Non mi sento in colpa. - replicò gelido, spostando la torre lontano dal suo cavallo.
- Tutti gli uomini si sentono in colpa per qualcosa, è sufficiente trovare il motivo scatenante e applicare la giusta pressione per farla scoppiare. È un problema di tutti i sentimenti, basta il peso di una piuma perché la diga della ragione ceda. Adesso sei un Risvegliato, un essere sovrumano che non sente il bisogno di nutrirsi, di dormire, di riprodursi, ma non dimenticare che quella parte illogica e irrazionale che alimenta le emozioni è rimasta intoccata. Sono proprio le emozioni a renderti capace di intendere e di volere, ma allo stesso tempo, se non le tieni a bada, potrebbero portarti alla rovina. Per conseguire il potere e la vittoria c'è bisogno di pazienza, delicatezza, intelligenza, equilibrio, tenacia, nonché una notevole forza nel sopportare i fallimenti. Finora sei stato un soldato obbediente e un Generale esemplare, ma mi preme ricordarti di non sottovalutare la tua parte umana, che potrebbe confonderti e farti perdere di vista la strada. -
Lysandra mosse la regina e imprigionò il re avversario con un sorriso vittorioso, per poi colpirlo per farlo cadere.
- Scacco matto. -
Felther fissò la scacchiera e dopo un momento chinò il capo in segno di rispetto e sconfitta.
Lysandra si alzò con gesti eleganti, avvicinandosi alla finestra che aggettava sulla piazza principale. Da lì poteva vedere tutta la città e, tratteggiata nella luce debole eppure abbacinante del sole, scorse il profilo della statua del quarto Guardiano, quella del Cavaliere del Lupo, con la spada lunga alzata verso il cielo e l'elmo con le orecchie lupine allungate all'indietro.
- Non vi deluderò, mia regina. -
- Ne sono sicura, Cavaliere. Ora va', è il momento di spegnere l'ultima speranza del nord. -
Quando la porta si chiuse, l'attenzione di Lysandra venne di nuovo calamitata dalla scacchiera. La pedina del re sembrava scrutarla con i suoi occhi metallici.
"È stato fin troppo facile."

Fuoco nelle Tenebre  - La rinascita della FiammaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora