Capitolo 1.

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È incredibile come le persone siano brave a definire le altre. Insomma non vi è mai capitato di dire "la mia migliore amica mi conosce meglio di me stessa" oppure di fare quei test stupidi e per rispondere alla domanda "quale di queste caratteristiche ti appartiene?" dover chiedere a qualcuno perché non sapresti se scegliere A o B? Ormai a questa società piace incasellarci tutti. Ognuno di noi ha una bellissima targhetta attaccata al petto con scritto chi è. Bello no? Volete sapere chi sono io? Io sono Adele, quella adottata. È scribacchiato qui non lo vedete, eppure l'hanno voluto scrivere a lettere cubitali, cosi che nessuno mi scambiasse per chi non sono. Adottata per gli altri vuol dire tante cose, significa non voluta, abbandonata, magari con problemi psicologici. In sintesi pensano tutti che io sia strana. Non sanno bene cosa significhi esserlo. Ad esempio io ho appena incontrato un signore singolare, si singolare a dir poco. È qua, dall'altra parte del corridoietto rispetto a me, e ha questo naso particolare. Ecco, quella protuberanza si che è strana. Affusolato, ma a patata, grosso, eppure non troppo ingombrante... Non riesco a trovare altra definizione se non questa: è strano. Io non credo di essere come quella proboscidina. Quell'uomo ha subito attirato la mia attenzione, è forse la cosa più interessante di questo treno. Cosa c'è di più noioso di tornare alla solita vita? Non fraintendetemi questa ultima vacanza non è che sia stata un gran che, ma sempre meglio che la quotidianità a Celdi. Piccola cittadella che mi è sempre stata stretta, avrà 150 abitanti in totale. Gente odiosa. Eppure, beh, quella è casa. L'uomo-elefante si è alzato, chissà cosa vorrà fare. È davvero tanto che il suo nasino non ricompare dietro alla porta scorrevole dello scomparto. "Sarà sceso" penso. Mi mancherà, era il mio tacito compagno in questo viaggio, che sembra eterno. Sono passate le ore e sono rimasta sola in questo scomparto, ancora molto lontana da casa. Quanto mi piace questa solitudine, me ne impossesso quasi fosse una cosa tutta mia, cosi, alzo la musica a tutto volume e canto, scaricando ogni frustrazione. Sono talmente presa dalle parole del testo che salto in piedi sul sedile. Sono un tutt'uno con la musica e ormai il vagone è diventato troppo piccolo per contenere la mia voce. Poi come un fulmine che arriva inaspettato e subito termina, tutto zittisce. D'improvviso delle mani applaudono. Il rumore mi rimbomba nelle orecchie, percepisco un peso sul cuore e un calore sulle guance, con la voce strozzata trovo il coraggio di dire "mi scusi, pensavo di essere sola." Le mani si fermano e io mi rintano nella felpa, coprendomi il viso. Ed ecco che una nuova parola viene scribacchiata accanto a "adottata". Me ne ero quasi dimenticata è "imbarazzante". È una dote che ho sempre avuto, riesco a rendermi ridicola in qualsiasi occasione. Non sarei mai uscita dalla mia piccola tana sicura se non fosse stato perché finalmente dovevo scendere. Presi tutte le mie cose di fretta, sperando che l'altra persona non mi vedesse né sentisse. Con tutte le mie forze pregai di essere invisibile.

Il profumo della carta bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora