TRADUZIONE MIGLIORE DEL CAPITOLO, E' PIU' CHIARA, ALMENO SPERO.
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Se la polizia avesse trovato Harry sulla scena, l’avrebbero arrestato. Nonostante la sua incredibile capacità nell’evitare l’argomento del suo passato da criminale, rimasi consapevole del rapporto che c’era tra lui e le autorità. Bastava un loro sguardo per etichettarlo come colpevole.
Decisi che probabilmente la cosa migliore era affrontare quelle luci lampeggianti, così lasciai l’uomo accartocciato sul pavimento del garage e mi girai a guardare l’auto della polizia con uno sguardo sconvolto. Non era mai stato tutto così difficile. Le mie lacrime erano fresche, ma non una conseguenza di ciò che era capitato; i rigoli delle lacrime sulle mie guance erano la prova di quanto fossi distrutta.
“Qui!” Urlai.
Ero lontana dalla commozione, appoggiata alla parete, ma non dimenticavo. Un’anziana poliziotta continuava a chiedermi se stavo bene, se avevo bisogno di sedermi. Il mio silenzio fu tradotto come uno stato di shock. Non sapevano nulla.
Poco dopo osservai il padre di Harry, che era su una barella nel retro di un’ambulanza, in attesa. Fui felice di sentire il rumore delle rotelle sul marciapiede. Una parte di me era ansiosa di stare ancora in quel posto con lui, piangendo gli angeli di quell’uomo, incolpandoli. Ringraziai i farmaci che scorrevano nelle sue vene, fonte del suo silenzio.
L’ambulanza fu scortata da due moto della polizia. L’accensione dei motori mi fece trasalire, facendomi sfiorare un poliziotto accanto a me, che portava una cintura con vari oggetti per far valere la sua presenza.
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Non mi ero mai seduta in una macchina della polizia prima. Mi ha tranquillizzata il fatto che scorrevamo in mezzo ad altre macchine, rispettando ognuno il limite di velocità, senza sorpassare. Ero più che certa, che non appena fossimo scesi dall’auto, tutto sarebbe tornato normale e la polizia sarebbe tornata a fare i suoi giri di perlustrazione.
Il mio nome venne preso di nuovo alla stazione della polizia. Mi sentivo sola e fuori luogo. Avevo cercato conforto nella stretta delle dita di Harry tra le mie; lo faceva sempre con un sorriso in volto. Ma ora non c’era nessuno a tenermi la mano.
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“Miss?”
I miei occhi si soffermarono dietro il giovane ufficiale seduto di fronte a me. Mi aveva dato un bicchiere di carta pieno di tè al latte, che usai per scaldarmi le mani fino a quando non fu tiepida e ormai imbevibile. Saremmo stati seduti lì per molto tempo; le pareti erano color magnolia, un colore tranquillizzante. Avevo immaginato che mi trascinassero in una stanza buia per l’interrogatorio, una lampada puntata nei miei occhi come quando sui film chiedono la verità. Invece no. Ero seduta su una sedia imbottita con i braccioli, foto di velieri appesi al muro accanto alla porta, un tavolino con sopra delle riviste.
Sembrava una discussione “informale”.
Mi tremava il ginocchio, così una volta resa conto del movimento ci misi una mano sopra per bloccarlo e calmarmi. “Non sei colpevole”, ripetevo a me stessa. Con poco aiuto.
“Sono in arresto?”
La mia voce era piena di nervi, sotto gli occhi attenti del poliziotto. Non mi importa come avevano decorato la stanza, i miei occhi non guardavano nulla, ma guardavano la telecamera in alto a destra.
“No, signorina” rispose con un piccolo sorriso.
Stava seduto sul bordo della sedia, di fronte a me. Il suo corpo era sporto in avanti, come se non volesse perdersi nessuna parola da me pronunciata, come se ogni mia sillaba fosse un indizio per ciò che era successo.
“Quindi posso andarmene quando voglio?”
Si mosse per prendere il suo secondo bicchiere di tè, la tazza era identica alla mia.
“Prima vorrei farle delle domande” rispose, soffiò dolcemente sul vapore che usciva dalla tazza.
“Che tipo di domande?”
I suoi occhi di pietra incontrarono i miei.
“Qualcuna importante.”
Spostai debolmente il mio sguardo. Non era intimidatorio, ma mi dava fastidio. Mi avevano preso la borsa, “protocollo standard”, a quanto pare, ma non era difficile vedere che mi osservavano con curiosità. Potevo immaginare cosa stessero pensando, perché mi avevano trovato dentro quella situazione. Nonostante la rassicurazione di molti agenti nel dirmi che non ero sospetta, avevo ancora un po’ di paura.
“Signorina, avete visto niente? Sapete chi è stato?”
L’idea che fossi stata io a causare quelle lesioni all’uomo fu scartata dall’inizio. Nella maggior parte della mia vita mi hanno vista sempre in quel modo, tranquilla, timida, la ragazza che si fa da parte. In qualche modo volevo essere presa in considerazione, volevo essere considerata da loro; lei (l’autrice parla in terza persona di Bo) avrebbe potuto farcela. Avrebbe potuto rompere un braccio o le costole. Tutta la sua preoccupazione e timidezza potrebbero essere una facciata. Potrei essere pericolosa.
“No.”
Aveva le occhiaie sotto gli occhi, e mi domandai se avesse perso il sonno.
“C’è qualcosa? Tutto quello che può dirmi?”
Un caso, un caso irrisolto. Cercava di capire qualsiasi cosa, si stava arrampicando sugli specchi.
“Che cosa ha fatto?”
Il mio tono non era più preoccupato. Forse era il suo momento di preoccuparsi. La sua attenzione si gettò nell’uragano con cui era stata travolta la mia vita. Non sembrava avere più importanza.
“Hmm?” aggrottò le sopracciglia.
“L’uomo che ho trovato, che cosa ha fatto?”
Il giovane rimase in silenzio, sorseggiando di nuovo dal suo bicchiere di carta. Non ero sicura potesse divulgare certe informazioni, ma ne valse tutte le domande prima.
“Sicuramente l’avere una scorta di polizia significa che non è sconosciuto alle autorità. Ma si era appena mosso quando l’ho trovato. Cosa lo rende così importante?”
La piega sulla sua fronte mi fece incuriosire ancora di più. Probabilmente la mia espressione iniziale mi aveva fatta etichettare come “donzella in difficoltà”, ma non sono mai stata una per gli abiti rosa frilly. Fu indeciso, poi si riprese professionalmente. Era come se stesse per confessarmi un segreto fondamentale. La sua voce bassa, la postura attenta.
“E’ finita, signorina” si avvicinò. “E’ un uomo ricercato.”
“Ricercato? Che cosa ha fatto?”
“Mandò in ospedale una donna e suo figlio di tredici anni” rispose senza giri di parole.
Mi si seccò la bocca, posai il tè sul tavolino, prima che le mie mani tremanti lo facessero rovesciare. Quella frase mi aveva bloccato il respiro nei polmoni.
“Ti ha picchiati?” deglutii il groppo in gola. “Era già successo prima?”
“Ci sono stati altri episodi, un ragazzo dal suo primo matrimonio è stato portato in A&E per una ferita al fianco, pensano sia stato causato da vetri rotti.”
Harry.
“E’ stato un paio di anni fa, però. Ci è voluto un bel po’ di tempo per rimettere tutto insieme, ma possiamo metterlo dentro finalmente. L’abbiamo cercato per molto tempo. A mio parere è qualcosa di ripugnante, e non è nostro interesse capire perché l’abbiamo trovato in quello stato lì dentro. Ma se avete qualunque informazione, come ufficiale, vorrei incoraggiarvi a dircelo.”
“Io non lo faccio.”
***
Il vento muoveva i miei capelli, facendoli svolazzare sul mio viso. Lottavo per vedere attraverso, tirando su il cappuccio per fermare gli ultimi ciuffi ribelli. Stava per piovere.
Il mio cuore batteva contro il petto, martellando senza sosta fino a quando non lo vidi seduto. Harry alzò la testa, tenendo la giacca aperta senza sentire freddo. Mi avvicinai, senza cautela, ma il nervosismo nei suoi occhi mi fece immobilizzare.
“Mi dispiace, Bo”, disse con voce torturata.
Corsi da lui, determinata, tirando giù il cappuccio. Una volta raggiunto, posai le mani sul suo volto, le sue dita circondarono i miei polsi.
“Non c’è bisogno di dirlo” dissi disperatamente.
“Mi dispiace” ripeté Harry, cercando di nascondere il suo viso nella mia spalla.
Gli cullai dolcemente la testa, consapevole del mio respiro traballante, lui si riprese. Lo coccolai accarezzandogli i capelli, morbidi contro il mio tocco, fino a quando non ci calmammo entrambi, nelle nostre strette. Sentii le lacrime quando Harry riemerse nella realtà, sul gradino più alto del suo appartamento. Solo allora notai il borsone alla sua destra.
“Stai andando via?”
“Solo per poco” disse facendomi tacere.
“Da solo?” senza di me.
Il suo cenno del capo fu sufficiente per far sgorgare le lacrime lungo le mie guance. Cercò di posare una mano sul mio ginocchio, ma la spostai per vedere il rimorso nei suoi occhi. Il dolore sul suo volto confermò.
“Se si tratta di tuo padre, allora non mi interessa. So che non sei come lui. Non mi ha fatto cambiare idea su di te” colpii le mie scarpe per non guardarlo. Temevo il peggio.
“Vedendolo di nuovo..non posso farlo.” Disse Harry affannoso. “Non posso rischiare, non con te.”
Mi ero accoccolata inconsciamente al suo fianco, nel tentativo di proteggermi dalle sue parole. Mi allontanai non appena il suo pollice sfiorò la mia guancia, perdendo la guerra contro le lacrime.
“Smettila di confrontarti con lui. Combatti per me, ed io mi batterò per te” strinsi i denti a quelle parole.
“Sono stanco di combattere” sospirò Harry.
“Quindi te ne vai?”
Fece un debole sorriso, triste, e si appoggiò con la fronte alla mia. Le mie mani erano intrecciate alle sue.
“No” scosse leggermente la testa “devo solo lasciarti andare.”
Era come avere un coltello sospeso con uno spago sopra la testa, sperando che nessuno tagli il filo. Harry l’aveva fatto.
Tutto quello che avevamo vissuto insieme, tutta la merda che avevamo passato non era più niente. La mia mente ricordò tutte le volte che avevo visto Harry sorridere, un vero e proprio sorriso, quello con le fossette e le risate contagiose. Conservavo quei ricordi nel profondo, li tenevo al sicuro così Harry non me li avrebbe strappati una volta allontanato.
“Posso baciarti?”
“No, se si tratta di un addio” risposi tranquillamente.
Le labbra di Harry non incontrarono le mie.
Invece, mi fece sedere sulle sue ginocchia, le mie braccia strette al suo collo, stretta in tutto ciò che mi rimaneva. Mi tenne così vicina che sembrava di stare insieme sull’orlo, impossibile trovare la cucitura che avrebbe lacerato tutto. La mia bocca premette nell’incavo del suo collo, convincendomi che era reale nello stesso momento in cui mi aveva lasciata.
“Non avere paura. Ti ho detto che ti avrei tenuta al sicuro, non ho intenzione di rompere la promessa.”
I singhiozzi uscirono come una boccata d’aria, mi accarezzò i capelli mentre rimanevamo seduti. Non mi interessava nessun altro. Erano passate varie persone, che dietro i loro sguardi nascondevano la curiosità. Erano solo una macchia, l’unica cosa chiara per me era il ragazzo che mi teneva come se la sua vita dipendesse da questo. Ma lui stava scivolando via.
“Sto andando via per te, Bo” Harry fece una pausa. “Non posso restare con te.”
Ebbi il riflesso automatico di aggrapparmi alla sua giacca, dietro la nuca. Un istinto umano, la lotta per la sopravvivenza è una sorgente importante. Delle ciocche di capelli si attaccavano alle mie guance umide.
“Non hai idea di quanto ti voglia.”
Nonostante il tono calmo, la disperazione non poteva essere mascherata. Ancora una volta, accanto a lui la mia mano aveva cercato la sua.
“Allora prendimi.” Pregai.
“Vorrei poterlo fare.”
Il verde brillante dei suoi occhi venne offuscato dal chiudersi di essi, prima di strofinare il suo naso contro il mio. Volevo dirgli quanto lui significasse per me, che non pensavo sarei stata in grado di mettere insieme i pezzi che aveva lasciato di me dopo che lui se ne fosse andato, che aveva preso la mia vita, che mi aveva cambiata.
Harry non aveva intenzione di lasciarmi con un cuore a pezzi da portare avanti.
Ci scambiammo delle parole d’amore, prima che Harry si alzò recuperando la sua borsa. Premette un ultimo bacio sulla mia guancia.
“Addio, bellissima.”
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Dark (storia di H28, traduzione)
FanfictionLa storia NON è mia, ma di H28 come tutti ben saprete. Le traduzioni NON sono mie, le ho prese dalle tante pagine di Fb dedicate alla storia. Ecco il link di quella che uso io: https://www.facebook.com/fanfictiondark?fref=ts Il profilo twitter della...