• II: Un piccolo aiuto

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Nessuno di noi è giunto dove è unicamente per essersi issato da solo. Siamo qui perché qualcuno... si è chinato e ci ha aiutato.
-Thurgood Marshall-


Quando riacquistò i sensi Caleb non sentì male, ma aveva la testa ovattata, come se fosse stata piena di batuffoli di stoffa.
Sapeva cosa gli era successo e sapeva che l'unica cosa che teneva il dolore sotto controllo era la stessa che gli impediva di pensare con lucidità.

«Ti senti bene?» chiese qualcuno.
Caleb aprì un occhio, l'altro rimase chiuso come se fosse incollato. Seduto davanti a lui, in ginocchio, c'era una donna.
La prima cosa che pensò fu: che occhi meravigliosi.
Erano grandi e profondi, sormontati da lunghe ciglia scure. Le pupille, invece, erano di un abbagliante color dorato, simili a monete d'oro zecchino. Era possibile avere degli occhi del genere? Era umano possederli?

La seconda cosa che pensò fu: che diavolo ha in faccia?
Il suo viso era talmente vicino a lui che Caleb riuscì ad individuare solo qualcosa attraverso il suo occhio offuscato. Sulla carnagione scura come ebano spiccava, proprio in mezzo alla fronte, una grande pietra azzurra a forma romboidale e talmente brillante da accecarlo in un breve momento.
Caleb si chiese se stesse sognando. Forse la sua faccia era stata decorata. Ne aveva viste molte di donne che portavano gioielli e cristalli attaccati alla pelle del corpo. Purtroppo quelli erano più difficili da rubare...

«Su» lo incitò muovendo le labbra, lisce e carnose. «Muoviti, forza.»
Caleb avrebbe voluto dire qualcosa, ma riuscì soltanto a gemere. Era così malconcio che gli faceva male persino respirare. La vista gli si annebbiò e chiuse gli occhi, cercando di far smettere allo spazio intorno a lui di girare. Aveva la nausea. O forse era il dolore. Caleb non distingueva più niente.
La Maschera e il Verme Nero erano spariti, appurò con sollievo. Cercò di parlare di nuovo, ma aveva la bocca intorpidita e la sua saliva aveva il sapore ferroso del sangue. La donna tirò fuori una piccola bisaccia d'acqua, inumidì un panno e glielo passò sul viso, cercando di pulirlo dalla sporcizia e dal sangue secco incrostato nella sua pelle. Abbandonò un flebile sospiro di sollievo quando il tessuto fresco lo toccò. Si sentiva in fiamme, ovunque, come se lo avessero bruciato sul rogo, come se fosse avvolto da filo spinato rovente. Non aveva mai avuto così caldo in vita sua come in quel momento.

«Sai dirmi il tuo nome?» chiese di nuovo la donna. La sua voce era insistente, piena di calda comprensione. La guardò e Caleb si chiese se quella pietra blu fosse una specie di effetto ottico, causato dalle botte appena prese. Gli vennero in mente tutti quei colori nei suoi occhi quando la Maschera lo aveva pestato. Forse non se n'erano ancora andati quei colori. Forse se li stava solo immaginando.
«C...eb...» cercò di mormorare, parlando così piano che a malapena sentì lui la propria voce. «Cal-eb.»
La donna davanti a lui annuì. Aveva solo il viso scoperto, tutto il resto era avvolto da uno scialle di un tenue color cielo. Persino la testa restava riparata sotto il tessuto chiaro, dove dei folti capelli castani screziati d'oro cadevano sulle sue spalle con onde vaporose.

«Okay, Caleb. Ce la fai ad alzarti?» delle mani gli afferrarono le braccia con gentilezza. Cercò di ritrarsi quando sentì immensi aghi conficcarglisi nella pelle, facendolo gemere di dolore. Non riusciva neanche a respirare senza sentire dolore, come poteva muoversi?
Dell'acqua ruscellò sul suo viso, trascinando con sé gli ultimi residui di sporcizia. Caleb sperò che si portasse via anche tutto quel dolore. Non fu così.
«Andiamo, forza.»

Cercò di annuire. Ogni centimetro della sua pelle urlava di dolore, ma si costrinse a tenere la bocca chiusa. Boccheggiò in cerca di aria. Il suo corpo tremò quando si rialzò sulle ginocchia, tenendosi un fianco con un braccio e con l'altro a circondare le spalle della donna. Si sentì per un momento avvolto da un'oscurità familiare. Avvertì un dolore forte al cranio, dovuto all'impatto violento contro il muro, ma il grido gli si fermò in gola.
Una volta in piedi, ansimante, rimase appoggiato al muro.
«Grazie.» mormorò con le labbra intorpidite.
Lei sorrise guardandolo. Racimolò alcune cose a terra e le infilò nella sacca che poi si appese in spalla. I suoi occhi dorati lo esaminarono, critici e attenti.
«Riesci a camminare? Vuoi che ti accompagni a casa?»

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