• IV: La spada

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Il ghiaccio non ha futuro. Tutto quello che ha è il passato racchiuso dentro di se. Il ghiaccio può preservare le cose in questo modo – estremamente pulite, distinte e vivide come se fossero ancora vive. Questa è l'essenza del ghiaccio.
-Haruki Murakami-




La luce era abbagliante, terribile. Caleb cercò di muoversi, ma gli sembrava di non avere più un corpo. Provò a parlare, ma era come se qualcosa lo soffocasse. Rimase lì, immobile, gli occhi serrati, ad ascoltare due voci familiari: una infantile e una più matura.
«Come sta il mio fratellone?»
«Adesso sta un po' maluccio... ma vedrai che starà bene.»
«Si ma... quando quando quando quando?»
Si sentì un sospiro.
«Quando gli Dei lo vorranno, Lantine.»
Poi di nuovo buio.


La coscienza tornò poco a poco. Ricordò il suo nome, poi ricordò sua sorella.
Si sentiva male. Gli occhi non erano abituati alla luce e solo dopo parecchio tempo riuscì a tenerli aperti abbastanza a lungo da poter distinguere qualcosa. Si trovava in una stanza. Alla sua sinistra c'era un comodino in legno, le pareti erano spoglie, da una finestra dietro di lui, la luce illuminava la stanza.


Siggy si chinò su di lui, i grandi occhi celesti carichi di apprensione.
«Caleb, mi senti? Sei sveglio?» chiese a voce bassa.
Lui rispose solamente con un gemito roco. Aveva stretto il morso così a lungo e forte che gli faceva male la mascella. Tossì, poi fece una smorfia quando tutti e dieci gli sfregi pulsarono all'unisono. Provò a muoversi, ma appena sollevò un braccio la sua schiena parve piegarsi su se stessa e sentì la pelle tirare dolorosamente.


«Non ti devi mettere sulla schiena. E devi stare attento quando ti giri sul fianco, altrimenti ti si potrebbe rompere qualche costola.» lo informò Siggy toccandogli qualche punto indefinito sulla schiena. Caleb chiuse di nuovo gli occhi.
Sul suo corpo sentiva qualcosa di caldo che premeva contro la sua pelle. Allungò lentamente il collo e vide delle pezze calde che gli scaldavano vari punti del corpo sotto le coperte. Ne aveva una anche sulla fronte che colava acqua tiepida dalle tempie e inumidiva il cuscino sotto di lui.


«Quanto tempo...» mormorò lui ancora intontito. «Quanto tempo è passato da...»
«Un giorno e mezzo, circa. Ti hanno riportato qui i due figli più grandi dei Bluocean. Eri talmente rigido e freddo che all'inizio ti avevano scambiato per un pezzo degli Artigli del Gelo
«Englantine?» chiese masticando un po' le parole.
«Sono qui, fratellone.» squittì una voce.
Girando lentamente il collo, osservò la sua piccola sorellina avanzare lentamente, con le braccia tese e gli occhi lattiginosi vacui per la stanza. All'inizio sbatté goffamente contro la figura di Siggy ma dopo riuscì a raggiungerlo.
Sua sorella gli diede un tenero e piccolo bacio sulla guancia.
«Come stai, fratellone?» sussurrò.
«Ora che sei qui, molto meglio.»
Caleb si voltò verso Siggy, che gli sorrise.
«É stato veramente terribile... Ti hanno lasciato affogare durante una tempesta! Ho temuto il peggio, davvero. È stato un miracolo averti trovato a riva.»


E mentre Siggy parlava, lui si tirò su a sedere gemendo per il dolore. Englantine gli tolse un po' di pezze bagnate ormai fredde e le buttò per terra, mancando il catino di qualche centimetro. Caleb osservò la sua sorellina.
Tutto di lei era in miniatura, dai piedini infilati nelle babbucce di pelo alle dita minuscole delle mani. Tutto, tranne le guance paffute e gli enormi occhi pallidi e coperti dal velo della cecità, che scintillavano sempre di lacrime che però non versava mai. Era normale per una piccina di dieci anni essere già così matura?
Englantine si sedette accanto a lui, abbracciando il suo braccio forte. Girò la testolina per cercare di fissarlo con quei suoi occhioni.

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