• III: Lasciarsi guidare

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E al di là nella notte
mi aspetterà
spero
il sapore di un nuovo azzurro.
-Nazim Hikmet-



All'alba, i pallidi raggi del sole filtrarono dalla finestra, riscaldando il volto di Caleb. Il ragazzo si strofinò gli occhi e si alzò a sedere sulla sponda del letto, rantolando di dolore. Il pavimento di legno era freddo sotto i piedi. Stiracchiò le gambe intorpidite e si massaggiò la nuca color cremisi, sbadigliando.
Sbottonò la camicia e si osservò il petto nudo, coperto di lividi. Per un secondo i colori lo ipnotizzarono: verde acceso, blu scuro e viola. Si cambiò il più velocemente possibile, cercando di non urlare per il male che pervadeva il suo corpo.
Quando si guardò nel piccolo specchio alle sue spalle, vide un estraneo.
Era rosso di capelli come lui, aveva il viso scavato come il suo, ma le somiglianze finivano lì.
Lui non aveva un occhio nero, il labbro spaccato e un livido violaceo sul mento. Lui non era pallido come un lenzuolo. Quello non poteva essere lui, anche se si muoveva quando si muoveva lui. Anche se si lamentava quando lo faceva lui.


Lanciò uno sguardo alla lunga sciarpa di lana blu, con un piccolo ricamo azzurro che simboleggiava una goccia d'acqua divisa a metà in obliquo, simbolo della famiglia Bywater. Quella sciarpa era appartenuta a suo padre, e a suo padre prima di lui, indietreggiando con le generazioni della sua famiglia.
Caleb la indossava sempre quando doveva uscire, annusando il secco odore della lana e chiudendo gli occhi per la nostalgia. Era l'unica cosa che confermava, in piccolo, ancora la presenza di suo padre. Se la sfilava dal collo quando gli arruffava la zazzera rossa ogni volta che tornava a casa, quando abbracciava e baciava sua madre e quando gli insegnava a pescare, nuotare, insegnandogli anche a rimanere in equilibrio con in testa le casse di legno.
Distolse lo sguardo, mentre nel suo petto si creava una voragine di tristezza.
Si vestì, indossando una camicia pesante e un caldo maglione di lana grezza rivestita di pelo. Raccolse anche da terra il borsone pesante.
«Ehilà, sono tornato!» esordì a nessuno in particolare, cercando di stare allegro mentre entrava in cucina.


I fiori freschi sul tavolo, la pulizia impeccabile: Caleb riconobbe la cura e piccole attenzioni che riservava la sua amica Siggy.
Englantine, che mangiava pane e beveva latte caldo appena lo sentì arrivare, scivolò in fretta dalla sedia, correndogli incontro a piedi scalzi con le braccia tese per non sbattere contro qualche mobile.
Lui la prese al volo, sollevandola e facendola girare, mentre soffiava sul suo pancino magro e la faceva ridere.
Englantine, ciocche di capelli color rame sempre davanti agli occhi. Corpicino magro, pelle più pallida del normale e, purtroppo, cieca quasi dalla nascita.
«Fratellooooone! Com'è andato il viaggio? Quando sei tornato? Giochiamo? Mangi dopo, ora giochiamo! Non hai fame vero? Perché io no, ho già mangiato.»
Fece una lunga pausa, interrompendo il fiume che si stava riversando sul fratello.
I suoi grandi occhi opachi e lattiginosi erano incollati ai suoi e appoggiò il piccolo nasino lentigginoso al quello del fratello, sorridendo radiosa.
Lui ridacchiò, strofinando il naso contro quello microscopico di lei e la fece risedere, mentre alle sue spalle un rumore di stoviglie lo fece voltare.
Gli apparì una donna minuta e lentigginosa. Portava un semplice vestito blu scuro di lana, da povera gente che rammenda all'infinito l'unico abito che possiede e con cucito il simbolo dei Frost, un fiocco di neve bianco.



Anche lei aveva i capelli rossi ed erano raccolti in due morbide trecce. I suoi occhi, di un azzurro allegro e vivo, si accesero di preoccupazione appena videro Caleb.
«Cosa diavolo hai fatto alla faccia?» esclamò, inorridita.
«Buongiorno anche a te, Sig.» borbottò mentre faceva cadere lo zaino sul tavolo, pieno di oggetti rubati, in modo che il tintinnio delle monete si sentisse il più possibile.
«Penso di aver racimolato un bel gruzzolo, così da comprare qualcosa di buono al Mercato della Brina. Potremmo comprare anche qualche gallina in più, con quello che resta.» cercò di cambiare argomento ma Sig non glielo permise.

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