Capitolo VII: Take me to church.

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Until the end of my days

Capitolo VII:

TAKE ME TO CHURCH

"My lover's got humor, he's the giggle at the funeral, knows everybody disapproval, I should've worship him sooner. If the Heavens ever did speak, he's the last true mouthpiece, every Sunday is getting more bleak, a fresh poison each week."

Mickey non aveva ancora compreso come si ritrovassero già al diciassette marzo, il giorno in cui si sarebbero tenuti i funerali di Ian. Gli sembrava che fossero passati solo dieci minuti da quando gli era morto tra le braccia.
Era più o meno l'ora di pranzo e il cielo era grigio come il suo animo, nel salotto di casa Gallagher c'era un terribile via vai di persone, accolte dai membri della famiglia per porgere un ultimo saluto ad Ian, già vestito bene e steso dentro una bara che ingombrava la stanza.
Mickey detestava quelle persone, entravano in casa del suo amato per ammirarlo come un tesoro per un'ultima volta e piangere su di lui.
Alcuni avevano chiesto di lui, Fiona aveva dato loro sempre la stessa risposta: «Mickey non ce la fa.»
Sembrava quasi una barzelletta, perché tutti lo conoscevano come quello forte, quello che andava a picchiare la gente, che rubava le auto, che creava risse, quello che non era altro che uno sporco avanzo di galera. Ed ora si era ridotto ad un involucro vuoto che piangeva tra le coperte del letto di Ian, quello che aveva condiviso per mesi, che era stato testimone di scopate mozzafiato, baci rubati, carezze e tante, tante lacrime.
Odorando il lenzuolo riusciva a sentire ancora il suo profumo.
Si era raccolto in posizione fetale, stringendo qualcosa che aveva l'odore di Ian al petto e piangendo lacrime amare dai suoi occhi cristallini, che la sua Testa rossa amava tanto guardare e spesso lui glielo impediva, evitando il contatto visivo.
Che coglione che era stato.
Non aveva dormito neanche un secondo, non aveva mangiato e aveva dei terribili crampi allo stomaco che peggioravano con ogni secondo che passava. Aveva trascorso tutta la notte accanto al cadavere di Ian, bianco come non mai, e con l'unico briciolo di coraggio che aveva continuava ripetutamente a lasciare carezze nei suoi capelli rossi, l'unica cosa al mondo che lo faceva stare un minimo meglio.
La sua mano era gelida, come il resto del corpo, come le sue labbra, che aveva provato a baciare. Solo dopo realizzò di aver baciato un cadavere, e nonostante quello fosse il suo Ian, era dovuto correre in bagno a vomitare, perché non poteva mai al mondo accettare che quel bacio lui non l'avrebbe mai sentito, non l'avrebbe mai ricambiato.
E faceva un freddo cane a casa Gallagher, perché qualcuno aveva scordato di accendere i riscaldamenti. Ma non gli importava.
Nessuno chiuse occhio quella notte e quando le persone avevano cominciato ad arrivare lui si era rintanato nella stanza dei fratelli Gallagher, nel letto di Ian, con cui l'aveva condiviso fino alla notte prima.
Erano più o meno le due del pomeriggio, quando Lip e Carl Gallagher erano entrati timorosamente nella stanza portandosi dietro dei completi neri ed eleganti, simili a quelli che avevano messo ad Ian la sera prima. Era stato lui, con le mani tremanti, ad aggiustargli il colletto della camicia, sostenendo il peso della bambola che era diventato tra le braccia. Sembrava che dormisse.
Ma quando vide i suoi fratelli si decise che avrebbe dovuto iniziare a prepararsi anche lui per il funerale, con il vecchio vestito del suo matrimonio con Svetlana che gli aveva portato la Russa stessa quella mattina.
Perché sì, sarebbe andato al funerale e avrebbe affrontato le persone. Glielo doveva, ad Ian. Tutti, nel South Side, avrebbero scoperto cos'era Mickey Milkovich per Ian Gallagher.
E stranamente Mickey non se ne vergognava, non più.
Con tutte le forze che aveva in corpo andò in bagno e vi si chiuse, intento a sciacquarsi il volto e a sistemarsi i capelli , ma fu solo quando si guardò allo specchio che se ne accorse: un leggero filo di barba scura era spuntata sul suo volto, ruvida al tatto.
Ad Ian non piaceva quella barba.
Ian adorava guardarlo ogni mattina mentre si radeva il volto, diceva di trovarlo incredibilmente sexy quando lo faceva e si divertiva a strusciarsi contro di lui, prendendolo in giro.
Sorrise triste, toccandosi quell'accenno di barba.
Guardandosi nello specchio con attenzione immaginò di vedere Ian riflesso accanto a lui, così decise di spalmarsi il volto di schiuma e levarla via con una lametta. E gli sembrava di sentire Ian chiacchierare con lui di prima mattina, in quel bagno, mentre si faceva la doccia e cantava l'inno nazionale. Eppure nessuna lacrima scese al ricordo di quella voce angelica e dello scroscio della doccia, quando una volta finito di radersi entrava nella doccia con lui e facevano sesso, quasi sempre con qualche fratello Gallagher dietro la porta che reclamava il bagno.
Il ricordo di Ian si era fatto più dolce, meno disperato, come se non se ne fosse mai andato via veramente. Ma Mickey sapeva che il peggio doveva ancora arrivare.
Finì di toglier via la barba e si sciacquò il viso, asciugandosi con un asciugamano pulito e concedendosi di guardare il suo riflesso nello specchio un po' sporco: le occhiaie erano profonde, i capelli sfatti, gli occhi arrossati. Pensò solo che forse Ian non avrebbe voluto vederlo in quel modo, ma non gli importò.
Si diresse verso la camera dei fratelli Gallagher e prese il suo vestito, si infilò i pantaloni, sperando di vedere Ian entrare e chiedergli come cazzo si stesse vestendo. Non accadde.
Mickey si rifiutò di indossare la camicia bianca che Svetlana gli aveva portato, aprì il cassetto dei vestiti di Ian e vi prese una camicia ben piegata, la accarezzò con una goffa dolcezza e ne odorò il profumo, lo stesso che era abituato a sentire da tre anni, ogni volta che si avvicinava. Capitava a volte che Mickey indossasse i suoi vestiti, e Ian lo prendeva in giro perché le maniche delle magliette erano troppo lunghe ed anche i pantaloni, a cui doveva fare sempre i risvolti.
Anche quella camicia, quando se la infilò, era troppo grande per lui: i polsini gli arrivavano quasi fino alle nocche e questo lo fece sorridere, tristemente, pensando a quanto stava bene ad Ian quella camicia, anche se non glielo aveva mai detto.
Con quell'indumento indosso si sentiva un po' più sicuro, quasi protetto, circondato da quell'odore gli sembrava di avere Ian al suo fianco, vivo.
Quando finì di vestirsi, dopo essersi accertato che in casa vi fossero solo i fratelli Gallagher, Kevin, Veronica e Mandy, scese al piano di sotto, timoroso e per le scale incrociò sua sorella, più alta di lui, con un vestito nero e i tacchi, i capelli un po' arruffati, senza trucco.
«Stavo venendo a chiamarti.» mormorò, prendendo improvvisamente la sua mano «Stiamo per andare.»
Lui annuì, venendo condotto dalla sorella fino in salotto, si sentiva più forte con lei accanto, si sentiva come se non fosse il solo a cui il mondo era crollato addosso.
Effimera consolazione.
Fiona gli andò in contro, domandandogli come stesse e lui fece spallucce, non sapendo cosa rispondere.
Come stava?
Sicuramente non bene. Male, sì, ma un male così profondo che non riusciva a dargli un nome, una definizione precisa. Vi era solo un grande vuoto a perdere dentro il suo animo.
«Questa è sua, vero?» sussurrò tra le lacrime, accarezzando il colletto della camicia che indossava.
Per qualche ragione assurda Mickey s'aspettava che i fratelli di Ian si arrabbiassero vedendogli indosso quella camicia.
«S-Sì.» abbassò lo sguardo, guardandosi le maniche delle camicia troppo lunghe e passandovi sopra le dita «Sai, sentire il suo odore e tutte quelle altre stronzate là ...»
Fiona annuì distrattamente, stringendo Debbie che si era avvicinata a lei con le lacrime che le solcavano le guance e i vestiti sobri e scuri, terribili da vedere su una bambina.
Il campanello suonò, segno che era arrivata l'agenzia funebre e Mickey si voltò a guardare la bara di Ian, ancora aperta: Lip era in piedi davanti ad essa e carezzava piano il volto del fratello, come se le sue spoglie fossero fatte di vetro e temesse di romperlo.
I funzionari si stavano dirigendo verso la bara, intenti a chiuderla, ma Mickey li bloccò, colpito da una strana fitta al cuore: aveva una dannata paura di vederlo andare via così, senza guardarlo un'ultima volta, senza accarezzare i suoi capelli ancora per un po', perché non si accontentava mai e adesso avrebbe dovuto farne a meno per l'eternità.
Ian Gallagher aveva accettato la morte e adesso toccava a lui farlo, trovando il coraggio di ammettere a se stesso che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe potuto poggiare le mani sul suo viso.
«Aspettate!» esclamò, dirigendosi verso quella maledetta bara con passo triste e sicuro, sicuro come mai era stato.
Perché in cuor suo sapeva di essere forte, distrutto, spezzato, disintegrato, ma forte.
Quando si trovò davanti a lui volle immaginare che stesse solo dormendo, così gli posò una mano sulla guancia fredda, accarezzandola piano; l'altra mano la posò sui capelli, vi passò le dita fra di essi, cercando di non disfarli troppo.
Volle credere che fossero ancora sulle spiagge delle Hawaii, che le sue guance erano ancora scottate dal sole, le sue labbra calde e piegate in un timido sorriso.
Gli serviva immaginarlo, altrimenti non ce l'avrebbe fatta.
«Ci rincontreremo prima o poi.» sussurrò, con la voce spezzata, tremante, carica di un dolore inimmaginabile. Un silenzio tombale era piombato nella stanza, sapeva di avere tutti gli occhi puntati addosso. Non gli importava. «Dovunque cazzo andremo a finire io ti troverò» tirò su con il naso, mentre altre lacrime bagnavano sulle sue guance. Un tempo le avrebbe asciugate il prima possibile, se ne sarebbe vergognato. «e Dio, il Destino, il Fato o quello che cazzo è si potranno mettere l'anima in pace perché non permetterò più a niente di portarti via, avremo l'eternità per stare insieme e saremo bellissimi e cazzoni, come lo siamo stati in questa vita di merda.» pianse ancora, avvicinandosi al suo volto e continuando a posare carezze sulle sue guance e sui suoi capelli. Era finita. «Ci vedremo presto, okay?» un singhiozzo uscì dalla sua gola, una lacrima cadde sul volto di Ian e lui l'asciugò, con le mani che tremavano come foglie in autunno «Okay, Ian? Sì? Okay. Ti amo.» e l'ultimo bacio che gli dette non fu altro che uno sfiorarsi di labbra, poteva sentire un leggero alone di calore stringerlo da dietro e sorrise tra le lacrime, perché era Lui.
Non aveva mai creduto veramente a quelle stronzate, ma sentiva che al suo fianco vi era il suo amato Ian, che il suo spirito gli avvolgeva il corpo, stringendolo nel suo amore per l'ultima volta.

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