Pista

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Anche la mia mamma, un tempo, era stata una ragazza normale. Alla stregua dei miei compagni di classe, se non meglio, sostenevo.
Me ne stavo su quelle piastrelle tanto rovinate della pista abbandonata e pensavo a lei.
Quante volte avrà percorso questa traiettoria. Il rettilineo, le curve, tanto alte quanto emozionanti.
Quante corse, quanti allenamenti. E, chissà, quante cadute.
Prima della mia nascita, la mamma era stata una pattinatrice. Avevano acquistato questa casa, lei e mio padre, proprio per via della vicinanza alla pista. Un tempo doveva essere stata curata e pulita, e questo luogo, a detta di mia madre, doveva aver pullulato di bimbi e ragazzi.
Poi, le cose erano cambiate. La mia nascita aveva decretato la fine della già precaria carriera della mia mamma.
Aveva smesso di dedicarsi allo sport e si era chiusa nella grigia casa per badare alla neonata Cosima.
Non potevo non sentirmi in colpa, quando pensavo che la mia nascita era stata la causa della fine della sua carriera.
Perché aveva deciso di mettermi al mondo, se teneva così tanto alla sua carriera? Ero stata un errore? Non ero prevista? Neanche dopo la mia nascita aveva ripreso la sua amata attività sui rollerblade, che ora giacevano abbandonati nell'impolverata soffitta dove, ovviamente, mi era proibito addentrarmi.
Spesso le avevo chiesto il permesso di poter calzare i suoi pattini, di imparare a praticare questo sport che tanto mi affascinava, tuttavia i suoi compulsivi lamenti, accompagnati da un secchissimo NO, mi avevano sempre portato a desistere.
Quando, nei lunghi pomeriggi primaverili, arrivavo su questa pista per stendermi e guardare il cielo ed il sole, che piano piano scendeva verso ponente, fino a scomparire del tutto per far spazio all'amica luna e alle piccole stelle, spesso immaginavo la vita di mamma da ragazza normale quale doveva essere stata.
La vedevo come una giovane bionda e sorridente, dal fisico magro ma muscoloso, allenato. Completamente l'opposto di ciò che era diventata ora. La vedevo sfidare le sue stesse capacità per raggiungere nuovi obiettivi, minimizzare sempre più i tempi di percorrenza di un singolo giro di pista.
Poi, quando i tempi cominciavano a farsi sempre più competitivi, una caduta aveva messo fine alla sua carriera, ed il suo sogno di approdare alle gare nazionali era scemato.
Tuttavia, non si era persa d'animo ed aveva adibito la pista a struttura dilettantistica.
Molte erano state le iscrizioni: bambini e adulti di ogni età avevano versato l'esigua quota mensile ed avevano preso lezioni di pattinaggio dalla giovane Marta-quasi-campionessa-nazionale.
Intanto, Marta, ossia mia madre, insieme a mio padre, erano la coppia più benvoluta della comunità.
Per me era tanto difficile immaginare che quell'ombra scheletrica dagli occhi spenti che si aggirava per casa e non faceva altro che lamentarsi, fosse stata una ragazza così piena di vitalità, una pattinatrice agonista che, nonostante la sua carriera fosse andata in frantumi per colpa di una banalissima caduta, non si era persa d'animo ed aveva deciso di rialzarsi e diventare allenatrice.
Me ne stavo lì, tra piastrelle rotte e manti di foglie, a sognare il magnifico passato di quella curiosa struttura in cemento.

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