La vittoria sulla paura

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Dicembre, col suo freddo pungente, giunse con vigore, e presto un soffice manto nevoso ricoprì le strade e le abitazioni, impedendoci di uscire di casa per raggiungere la scuola.
Io e Corinne ci telefonavamo molto spesso, ora, e perfino Jaqueline talvolta, con delle scuse, lo aveva fatto. Era come se volesse assicurarsi che il nostro patto fosse ancora valido, o volesse rafforzarlo ulteriormente. La sua aurea sarebbe stata salva, non avevo alcuna intenzione di smontare i suoi giochi. E mi faceva perfino piacere averla come debitrice nei miei confronti. Sapevo che non mi avrebbe dato filo da torcere, e questo andava bene. Nel frattempo, Sasha e Franchina avevano smesso di tallonarmi e ridacchiare sul mio conto, e presto Guglielmo mi aveva invitato ad uscire.
Tuttavia, avevo sempre declinato il suo invito, poiché sapevo quanto Sofia ci tenesse a lui, e mai le avrei fatto un torto simile.
Ero un'adolescente comune, e dalla mia calda camera, guardavo il panorama bianco, il paese coi tetti innevati, il bosco poco visibile per la nebbia, e pensavo.
I tempi degli allenamenti coi pattini insieme a Lino erano terminati ormai da mesi, ma i ricordi erano vividi più che mai. Non ero mai più tornata alla pista, quasi avessi paura di scoprire qualcosa o, ancora peggio, rompere l'incantesimo che mi permetteva di ricordare il periodo della pista e dell'amicizia con Lino come la mia più grande rinascita.
Anche quella mattina nevosa di metà dicembre, mia madre si era recata dal medico, che via via sembrava ridurle le cure. C'erano dei netti ma inspiegabili miglioramenti, sosteneva.
Aveva preferito lasciarmi dormire, e si era avventurata da sola tra la neve. Un tempo, questo non sarebbe mai accaduto.
Comunque, quella mattina, avevo deciso di tirare nuovamente fuori i pattini.
Non avrei potuto usarli subito, date le condizioni climatiche avverse, tuttavia li avrei tenuti in camera, lucidati e pronti per essere utilizzati non appena la neve si fosse sciolta.
Decisi, allora, di recarmi in soffitta, luogo proibito per eccellenza dalla mamma.
Era come se una forza superiore mi impedisse di aprire quella misteriosa porta, ma dopo pochi secondi di vacillazione, sentii risuonare nella mia testa le parole di mia madre che, fin da quando ero piccola, mi aveva severamente negato l'accesso in quella stanza.
Cosima, non permetterti ad entrare lì. È meglio che tu non lo faccia, Cosima, ubbidisci! Torna giù, nella tua camera, in punizione, Cosima, ho altro da fare, non posso badare perfino le tue scorrerie in soffitta!
Ebbi le vertigini. La paura che provavo in quel momento era dettata dai categorici NO imposti negli anni da mia madre. Ma ora ero determinata ad entrarci, e l'avrei fatto.
Vinsi le mie ansie e aprii quella porta. All'interno, solo buio e tanta, troppa polvere.
Tossii, poi tastai il muro tentando, invano, di trovare l'interruttore della luce. Decisi allora di prendere una torcia, e lo spettacolo che trovai dinanzi ai miei occhi non appena puntai il fascio di luce in quel buio, mi lasciò senza parole.
Non riuscivo a crederci. Ogni parola, a quel punto, fu vana.

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