Capitolo 6

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"Some people put an evil eye on me"

«Lester, sono giorni che non mi racconti più niente. A breve dovremo andare al tribunale. Devi continuare a raccontarmi o non saprò come aiutarti.»
Crede sul serio di potermi aiutare. Di potermi fare assolvere per infermità mentale.
Tentar non nuoce alla fine.
«Non credo che lei possa riuscire nel suo intento.»
«Dobbiamo provarci, Lester. Di sicuro non riusciremo se tu non mi vieni incontro.»
In quel momento ci ho riflettuto.
È vero.

«Va bene. Dove ero rimasto?»
Amy prese il suo taccuino, e controllò.
«Dovevate... trovare il tuo occhio?»
«Ok. Perfetto. Dopo quel momento tutto si sfoca. Non ricordo bene che sia successo. Siamo finiti in una grotta, poi ero da solo, non c'erano nemmeno Buc o Egg.
Vedevo delle figure. Come ho detto è tutto molto sfocato, quindi non saprei come definirle. Mi ricordo dolore. Tanto dolore, e urla, le mie.
Per un attimo non ho visto niente. Poi ho visto tutto diverso.
Da lì in poi mi ricordo benissimo, come se fossero registrazioni. Tutto aveva colori diversi.
Sono uscito dalla grotta cercando gli altri, ma non ho trovato niente.
Erano scomparsi. Non sapevo dove sarebbero potuti andare, e non credevo che Buc ed Egg se ne sarebbero potuti andare.
Davanti a me c'era un torrente, molto particolare. Pullulava di pesci, ma non era questa la cosa particolare.
Era come se i miei occhi avessero evidenziato quei pesci. Li vedevo molto nitidamente, anche se erano in continuo movimento, e l'acqua del fiume scorreva, deformando ogni figura.
Era strano.
Mi specchiai nell'acqua, e mi accorsi che il mio occhio non era più azzurro. Era totalmente nero, come se fosse una grande pupilla.
Mi incamminai verso il fumo dei camini cittadini, che intravedevo tra le foglie degli alberi che mi circondavano.
Arrivai in città. Mi sentivo a casa. Era un bel paese, caldo e accogliente. Non gli mancava nulla.
Avevo paura che gli altri fossero preoccupati per me, d'altronde, nemmeno io sapevo che era successo, ma ero tranquillissimo.
Andai alla taverna, avevo sete.
Non mi ricordo cosa chiesi, ma mi ricordo il colore. La bevanda che mi dette il barista era quasi fluorescente, un fucsia brillante.
Era buona.
Sapeva di succo di mela, ma era mille volte più denso e prelibato, avrebbe dovuto costare una fortuna, invece lo davano come se fosse semplice acqua.
La bobina è tagliata.
Ricordo che sono in piazza, vedo da lontano un cespuglio di capelli rossi e lo seguo.
È Jennifer.
La chiamo, e lei corre da me, mi abbraccia, si aggrappa al mio collo e piega le gambe, fino a non toccare terra.
Per poco non cado per il peso, ma non me ne rendo conto sul momento.
Non penso a niente. Era quello che volevo, e mi bastava così.
—Dove cazzo sei stato?— mi chiede con la voce spezzata, attutita dalla mia spalla.
—Non lo so— rispondo, immergendomi nei suoi riccioli profumati.
—Ti odio. Odio te e la tua fottuta memoria. Odio te e le tue scomparse, gli spaventi che mi provochi. Odio tutto di te.—
Mi urla in faccia, con le lacrime agli occhi. Sorridendo, poco prima di baciarmi.
Le nostre labbra si incontrano, le lingue si uniscono in una danza paradisiaca e... Per quanto ne so, per quando ricordo, quello è stato il mio primo bacio.
Aspetta, troppo smielato, vero?»
«Io ho scritto solo "si sono baciati".»
«Meglio.
Dopo il bacio le guardai il volto, ed era bellissimo. Riuscivo a coglierne la vera bellezza, finalmente.
Era a fuoco più di ogni altra cosa, tutto passava in secondo piano. Era come se tutta la sua essenza si concentrasse sul suo viso.
Sul suo naso all'insù, i suoi occhi verdi, le labbra carnose, il mento rotondo, le sopracciglia perfette, le sue leggere lentiggini. Era tutto perfetto.
E lei me lo stava donando.
Mi stava donando l'opportunità di svegliarmi e vedere quel magnifico volto, quei capelli infuocati, con cui lei amava tanto giocare.
E non desideravo altro.»

«Lester, noto che ti stai aprendo molto con me, ed è un gran progresso considerato che non mi raccontavi nulla da molto. Devi continuare così. Ci incontreremo di nuovo domani. Ma tu devi continuare a parlarmi come hai fatto oggi.»
Amy chiuse il collegamento.
Le guardie mi intimarono di allontanarmi dalla sedia, di mettermi nell'angolo. Mi spostai seguendo gli ordini e sentii il meccanismo della porta aprirsi. Lentamente si spalancò, e da lì uscirono due guardie. Altre due, armate più pesantemente rispetto a quelle nella stanza, erano ai lati della porta.
Mi chiedo quanto guadagnassero, per stare giornate a non fare nulla, solamente dando sfoggio degli armamenti che gli erano stati consegnati.
Portarono via il computer e le sedie in men che non si dica.
Non ricordo di aver dormito.
Tutto nella mia memoria sembra essere avvenuto di seguito, ma sono sicuro che ci sia una notte in mezzo.
Amy entrò e si sedette.
Era strano rivederla di persona, era da tempo che la vedevo solo attraverso uno schermo. Sapendo di cosa ero capace, mi ha stupito vederla entrare nonostante i pericoli.
«Gerard, avevo bisogno di vederti dal vivo. Stai iniziando ad aprirti e sento la necessità di vedere meglio le tue emozioni.»
Mi bloccai.

«Gerard...» mormorai.
Amy arrossì.
«Oh, scusami... Mi deve essere sfuggito.»
Mi sembrò strano essere chiamato Gerard dopo tutto quel tempo. Ma provai a passarci sù.
«Tranquilla... Fà niente. Continuiamo a raccontare.»
«Comincia.»
«Allora... Dopo aver rincontrato Jen, lei mi ha portato da Buc ed Egg, non successe nulla di importante, semplicemente scoprii di avere una casa in quel paese.
Un normalissimo appartamento.
Ad un tratto, però, venni risucchiato dal pavimento, e mi ritrovai nel luogo da dove partono i miei ricordi.
Questa volta ero solo, controllai bene intorno a me, visto che la volta prima sbucarono Buc ed Egg all'improvviso, ma questa volta non c'erano.
Satana mi si parò di fronte.
—Gerard.— Mi fece. Era in controluce e sembrava più muscoloso.
—Gerard, Gerard, Gerard.— Continuò sghignazzando. Ad ogni respiro il suo corpo si faceva più grande e questo mi terrorizzava. Sembrava infastidito da qualcosa.
—Allora. Proverò a spiegartelo con le buone, visto che hai perso la memoria e non ti ricordi l'ultima volta che abbiamo fatto questo discorso.— Si tratteneva dall'esplodere mentre parlava, avvicinandosi lentamente a me. Io indietreggiai seguendo la sua velocità, ma trovai un muro.
Mi girai di scatto per guardarlo, e sembrava solo una piega del pavimento, come se fosse un foglio piegato che forma un angolo retto.
Il vero problema fu quando rigirandomi mi accorsi che ero chiuso da tutti i lati, ad ogni punta della stella per terra che toccava il cerchio di sangue, c'era un muro che si era alzato, non si vedevano più fiamme, e ciò rendeva l'atmosfera sempre più cupa.
—Tu. Tu e...— il suo respiro tremava. —Tu e Jennifer.— Era sempre più agitato, diventava sempre più alto e robusto, si muoveva velocemente solo per tic nervosi, fermandosi di scatto subito dopo.
—Voi due. Non potete stare insieme!— Disse con un ghigno di fastidio in volto.
Mi si avvicinò di scatto fino a che non fummo faccia a faccia, e mi disse con una serietà tale da farmi rabbrividire e immobilizzare allo stesso tempo —È la regola.—
Dette un pugno al muro di fianco alla mia testa, e tutto quella prigione rossa e pentagonale vibrò.
Si girò e se ne andò, aprendo il muro in due come se fosse del cartone poco resistente.
Vidi la sua ombra sparire pian piano nell'oscurità, non so se era semplicemente la prospettiva che me lo faceva credere o calmandosi, andò man mano tornando a delle proporzioni più umane.
Mi svegliai nel mio letto, a casa mia.
Sapevo che quello che era successo non era un semplice sogno, ma era un avvertimento da parte di Satana.
Era notte fonda e il silenzio era così pesante da poterlo toccare con mano. Lo sentivo spingermi la cassa toracica, la gambe erano bloccate da quella sensazione di pesantezza.
E tutto si appesantì ancora di più quando trovai Jennifer al mio fianco.»

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