Palcoscenico

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Inspiro profondamente.

Lascio che l'ossigeno riempa i miei polmoni. Sento l'aria fluire nel mio corpo, i muscoli si rilassano, il cuore rallenta impercettibilmente. Le mie braccia si muovono libere. Le mani accarezzano l'atmosfera buia. Le note abbracciano il mio corpo, il contatto è sensuale.

Un brivido corre lungo la mia schiena, l'adrenalina si sparge ovunque.

Intorno a me solo il buio.

Il ritmo rallenta. Conto nella mia testa, il viso concentrato. Un sorriso abbozzato.

Sarà vero o sarà finto? Non puoi mai sapere cosa sia celato al di là del volto di una ballerina, al di là degli occhi che scrutano la platea.

Non quando è sul palco.

Conto nella mia mente. Tra pochissimo si comincia. Sono qui, come sempre, pronta a mostrare al pubblico la grazie e l'incanto di un ballo.

Quando i miei piedi sfiorano il linoleum, sento una connessione tra me ed il mondo.

Percepisco lo sguardo ammaliato del ragazzo seduto in prima fila.
Sento lo sbadiglio trattenuto dell'uomo sulla balconata.
Avverto le lacrime di commozione della ragazza nel loggione.

Io sono ovunque.

Non c'è più un palcoscenico, non c'è un sipario. Tutto si intreccia, tutto si fonde.
C'è vita. Qualcosa viene creato, qualcosa di effimero che scompare con la musica, che nasce e muore come una farfalla.
Qualcosa che mi tiene aggrappata a questo mondo.

E comincia. Sul crescendo. Un passo alla volta, mi posiziono al centro del palco. Si inizia con il mio assolo. Una parte molto molto importante, l'apertura dello spettacolo.
La gente non sa cosa aspettarsi, per cui devi essere capace di rapire tutte le loro emozioni.
Devi far dimenticar loro che esiste un mondo in cui si vive.

La musica si impone. Il mio corpo conosce ormai ogni singolo movimento, non c'è bisogno che la mente lo comandi.

Il pensiero distrae e basta. Crea mostri ovunque. Genera gli errori, confonde i muscoli.
Mi mostra volti tra il pubblico volti dagli occhi stralunati, che mi osservano come pazzi.
I loro occhi tondi e gialli che roteano. La loro bocca informe che si dimena. Ovunque.
Nel loggione, tra le prime file della platea, nella piccionaia, dietro le quinte.
Se osservo un punto per troppo tempo, ecco che la mente popola lo spazio circostante con queste creature maledette.
Ho sempre pensato fosse dovuto allo stress, prove continue, spettacoli dopo spettacoli. Continuano a farmi visita. Forse dovrei rassegnarmi al fatto che non potrò abbandonarli mai.

Dopo tutto è colpa mia, no?

Volteggio al ritmo della musica, le dita fuse con le note. Sento lo sguardo esterrefatto del pubblico sulla pelle. Il contatto genera calore, adrenalina, forza. Le pirouettes eseguite con eleganza, a seguire uno jete perfetto.

La musica si interrompe. Il corpo si ferma.

Il teatro si riempe di applausi. Il suono mi abbraccia, sento il calore che mi accarezza dolcemente. Una mano si appoggia al mio collo, si muove sulle spalle, svanendo sui miei fianchi.

Una faccia tonda spunta nel buio. Un sorriso sdentato si allarga sulla pelle molto chiara. Denti rettangolari e tozzi. Gli occhi gialli mi fissano, maliziosi. Roteano senza una direzione precisa.
La lingua passa tra i denti.

I muscoli si irrigidiscono per il disgusto. La musica riprende. Devo uscire di scena, cambiarmi e tornare dentro per il prossimo assolo.

Dietro le quinte vi è il solito caos. Ballerini che si cambiano, artisti che eseguono esercizi di stretching, coreografi che corrono come matti di qua e di là per capire se ognuno è al proprio posto.
Mi lancio sulla mia sedia, i costumi di scena già pronti.

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