Capitolo Due

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Mi svegliai di soprassalto, gli occhi sbarrati e i battiti del mio cuore erano così forti da pulsarmi in gola.
L'aria mi mancava, così mi tirai a sedere e strofinandomi gli occhi mi resi conto di essere in un bagno di sudore.
Il coniglietto era caduto per terra, a faccia in giù. Sporgendomi lo raccolsi per posarlo sul letto.
Il respiro tornò regolare nel mio petto, ma l'immagine di quegli aghi sporchi di sangue e di quelle bambole raccapriccianti restò incastrata nella mia mente.
Non avevo mai fatto un sogno così orrendo.
Le sensazioni erano state orribilmente reali, sentivo ancora quegli artigli bucarmi la carne, ma era stato comunque un sollievo risvegliarsi.
La porta cigolò.
Era mia madre che entrava in camera.
Non appena vide il mio volto esausto le svanì il sorriso dalle labbra.

«Tesoro, ti senti bene?».

«Sì, ho solo fatto un brutto sogno. Va tutto bene adesso».

«Ti è venuta a trovare Daisy, le ho detto di aspettarti in salotto».

Scesi di soprassalto dal letto.
Ero conciata come una pazza e non volevo che la mia migliore amica mi vedesse in quello stato. Mentre mia madre chiudeva la porta, io corsi verso l'armadio e tirai fuori un abito qualunque. Nel giro di pochi minuti uscii dalla mia stanza pronta e ordinata, senza riuscire però a nascondere il fiatone.

«Finalmente!». Esclamò Daisy sorridendo.

Daisy l'avevo conosciuta alle medie e non c'eravamo più separate.
Era una persona buona e generosa, ed era sempre la benvenuta nella nostra famiglia.
I miei genitori apprezzavano la sua educazione, ma io le volevo bene soprattutto perché non mi aveva mai chiesto niente del mio passato.
Era l'unica cui ero riuscita a confidarmi sull'amnesia.
C'era una bella giornata di sole così ci sdraiammo in giardino, ai piedi di un vecchio tupelo. Parlammo riparandoci sotto l'ombra dell'albero. Avevo portato dei fogli con un paio di matite e c'eravamo messe a disegnare.
Daisy si stancò subito.
Prese a raccogliere margherite e a infilarle nella sua treccia bionda, spettegolando su Luisa, una ragazza il cui scopo nella vita era di attirare l'attenzione di tutti.
Mentre la mia amica parlava, io ascoltavo continuando a disegnare e senza mai distogliere lo sguardo dal foglio.

«Chi è quello?». Mi domandò all'improvviso, notando il disegno.

Come se fino a quel momento fossi stata addormentata, battei le palpebre davanti al foglio e rimasi leggermente confusa nel vedere lo stesso personaggio disegnato più volte.

«Non lo so».

Non avevo idea di chi fosse.
Il disegno più chiaro mostrava un signore con una giacca nera e la pelliccia esageratamente voluminosa sulle spalle.
Aveva un bel sorriso felice e due occhi gialli un po' coperti dalla frangia.
Era vestito con abiti scuri e in mano teneva un bauletto azzurro. Forse un carillon.

«Forse l'ho visto in qualche libro d'illustrazioni».

«Andiamoci a prendere un gelato». Daisy cambiò discorso, sembrando poco interessata.

«Le formiche mi stanno entrando sotto la gonna!».

Quella stessa notte feci un altro incubo e fu peggiore di quello precedente.
Sognai ancora quella figura scura, che mi torturava senza pietà continuando a ripetere sempre la stessa frase: "Lei è mia".
Mi svegliai verso le due del mattino con l'affanno e mi rannicchiai contro il muro alle mie spalle.
Posai le mani sul mio volto e inspirai profondamente.

«Era solo un sogno, soltanto un sogno». Mormorai.

Poi posai lo sguardo sul coniglietto accanto a me, che mi fissava con il suo occhio nero, e con uno sguardo infastidito lo buttai per terra.
Da quando dormivo con quell'affare vicino, i miei sogni erano diventati incubi senza senso!
Mi voltai stendendo le gambe e fu in quel momento che toccai qualcosa con il piede.
Alzai lo sguardo e notai una bambola seduta sul letto.
Per i primi istanti rimasi bloccata a fissarla, non capivo come fosse arrivata lì e la prima cosa che pensai era che forse i miei genitori mi avevano fatto un regalo.
Non avevo un particolare interesse per le bambole e a dire il vero sentii una sensazione di fastidio nell'averla in stanza.
Era una bambola particolare, fatta di cera, e aveva delle caratteristiche fuori dal comune.
Aveva un casco di fiori in testa che scendevano sui capelli, e soltanto pochi ciuffi accarezzavano le sue guance. Indossava un grazioso vestito bianco pieno di ricami e merletti, con un nastro nero stretto sulla vita.
Le braccia erano più lunghe del normale, non erano nemmeno umane e aveva lunghe dita affusolate.
Il particolare che catturò la mia attenzione era una rosa al centro della sua bocca, come per tappargliela.
Mi avvicinai la bambola e la scrutai sotto la luce della luna.
Toccai il suo viso e mi resi conto che qualcosa non andava.
Mi stavo inginocchiando per osservarla più da vicino quando sentii qualcosa.
Una sorta di suono sommesso... come un rantolo. Che proveniva dall'interno stesso della bambola. Con un grido la lasciai cadere e mi alzai in piedi, tremando violentemente.
Premetti la schiena contro il muro e continuai a gridare chiamando i miei genitori.

E all'improvviso tutto diventò surreale.

Il muro accanto alla porta si gonfiò in un punto, come se ci fosse una bolla tra la vernice e il cemento, e lentamente apparvero delle crepe che si moltiplicarono.
La vernice prese a cadere a pezzi sul pavimento e rivelò una porta azzurra.
Non avevo idea di cosa stesse succedendo.
Queste cose dovevano esistere soltanto nei libri e nell'immaginazione, ma di fronte al mio sgomento qualcosa stava uscendo da quella porta e le mani nere erano le stesse che apparivano nei miei incubi.

«Non sei contenta che Daisy sia venuta a trovarti?».
Disse il mostro, rimanendo sulla soglia della porta, «Non piaceva nemmeno a me, sai? Urlava troppo».

Daisy? Cosa c'entrava Daisy?

Mi guardai attorno confusa, cercando la presenza della mia amica che ovviamente non c'era.
E infine, i miei occhi caddero sulla bambola.
Con i capelli biondi e quel viso di cera che mi era risultato stranamente familiare.
Mi si strozzò il respiro in gola, un incubo, quello era sicuramente un altro incubo.
Mi precipitai sulla bambola e con mani tremanti la voltai verso di me.
Le premetti l'orecchio contro il petto e sentii un altro suono oltre a quell'orribile rantolo, era il battito di un cuore.

«Daisy! Daisy!». Urlai disperata.

Non poteva non essere un incubo.
Non poteva star succedendo una cosa del genere. Dai rumori realizzai che i miei genitori erano vicini alla mia stanza, dovevano aver sentito le grida, ma il mostro andò a bloccare l'entrata. Spinse la porta nel verso opposto in cui si apriva e la incastrò nella sua stessa cornice, deformando il legno. I miei genitori iniziarono a picchiare dall'altro lato, ed io non sapevo che cosa fare. Quello non sembrava un sogno, era troppo chiaro, più reale anche di quei sogni orrendi fatti di buio e di torture.
Il cuore mi faceva quasi male tanto velocemente batteva, sentivo il sudore sulla fronte e la bambola tremava fra le mie mani, che non riuscivo a tenere ferme.
E il mostro era di fronte all'entrata e da lì non si muoveva.
Nella penombra riuscivo a intravederne il ghigno compiaciuto, come se aspettasse una mia reazione. Sbottonai il vestito di Daisy, che sembrava essere imprigionata sotto quegli strati di cera, e presi a scavare per cercare di liberarla.
Scavavo, scavavo e scavavo, mentre i suoi lamenti si facevano sempre più intensi... fino a che sentii qualcosa di bagnato sotto le unghie.
Guardai le mie mani e le vidi intrise di sangue.
La sua pelle doveva essersi fusa con la cera e scavando non avevo fatto altro che peggiorare la situazione.
Quella cosa che doveva essere Daisy soffriva, i suoi rantoli erano strazianti ma la sua espressione era quella impassibile di una bambola.
Tremavo dall'orrore.
Dovetti reprimere un conato di vomito, e all'improvviso mi sentii afferrare per un braccio.

Jason the Toy Maker [Ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora