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Sembrava non terminare più, ma finalmente quel suono assordante finì.

«Abbiamo finito, Emma. Quando te la senti puoi rialzarti», mi dice il dottore, per lui è una TAC come tante altre, io sono una persona come tante.

Mi sistemo e mi alzo prima con il busto, e poi mettendo giù le gambe. Scendo dal lettino, mi gira un po' la testa ma riprendo subito l'equilibrio.

Mi ritrovo a guardare l'interlocutore e mi viene spontaneo capire se questa TAC è servita ha chiarire la mia situazione di salute.

«Quindi dottore? Sa già dirmi qualcosa?»

«Di solito in situazioni diverse l'esito viene emesso una settimana dopo la risonanza magnetica, ma siccome il tuo caso non è tra questi, ti chiedo di aspettare con i tuoi genitori in sala d'attesa, appena saranno pronti gli esiti, ti richiamerò per discuterne insieme a te e ai tuoi genitori.»

«Lei non ha visto proprio niente?», dico pesando le parole.

«Preferisco aspettare per analizzare al meglio le immagini, ora stai tranquilla e vai in sala d'attesa. Ci vediamo dopo»

«Ok, se lo dice lei.», rispondo sbuffando, quanto mistero oh, cammino sparata verso la porta aprendola e sbattendola con la stessa forza, trovandomi gli sguardi di tutti addosso.

I miei genitori e Stefano si precipitano da me, abbandonando i loro posti a sedere.

«Tesoro, è andato tutto bene?»mi chiede mia madre, come se fossi un medico io, che ne so come è andata? Sono stufa...

«Sono stata sdraiata su quel lettino, immobile come mi ha chiesto il dottore, ma non mi ha detto nulla. Dobbiamo aspettare che siano pronte le immagini, dopo di ché ci chiamerà nel suo studio.»

«Capisco, va bene nell'attesa potremmo andare a fare una bella colazione. Cosa ne dite?», sono stranita dalla calma di mia madre, ma credo che riempirmi lo stomaco mi sarà di grande aiuto per far calmare l'ansia che mi attanaglia.

Annuisco semplicemente sentendomi poi avvolgere dalle braccia di Stefano, «Potrei unirmi anche io?», chiede, come se non fosse già inteso che l'invito era esteso anche a lui. A volte mi sembra un po ingenuo, o forse sono io che in questo periodo sono apatica e cinica.

«Certamente, Stefano. Dai andiamo.», mentre usciamo dalla sala d'attesa, ho la sensazione di essere osservata, mi giro guardando verso la direzione da cui sento arrivare quella sensazione e mi ritrovo a guardare la ragazza con cui avevo fatto amicizia un'ora prima. Mi scruta, in attesa di una qualche risposta, che cretina, mi aveva promesso che sarebbe rimasta ad aspettarmi ed io mi ero completamente dimenticata dopo essere stata circondata dai miei.

Abbandono il corpo di Stefano, dirigendomi verso di lei, «Britney», alza lo sguardo verso di me, «Hey», mi risponde solamente a voce bassa.

«Scusami ma, i miei non mi hanno lasciato un attimo da quando sono uscita dalla TAC», «Tranquilla, anzi non pensavo neanche che ti saresti ricordata di me», ma cosa dice? Cioè in un certo senso mi ero dimenticata ma non per quello che pensa lei.

«Ma cosa ti passa per la testa, anche se abbiamo parlato mezzora, non significa che avrei potuto dimenticarmi di te, così' dal nulla poi? Ogni persona che entra nella tua vita anche solo per un attimo ti lascia qualcosa, e tu sei una di queste.», farfuglia qualcosa ma non capisco.

«Non ho capito, cosa hai detto?»

«Che non sarebbe la prima volta..»i suoi occhi iniziano ad inumidirsi, l'avvolgo in un abbraccio, che cosa ha vissuto questa ragazza? Ѐ così fragile.

«Vieni con noi a fare colazione? Intanto aspettiamo l'esito della mia TAC e festeggiamo il tuo?» Cerco di cambiare l'atmosfera che si è creata, ed ha funzionato, facendo comparire un timido sorriso sulle sue labbra.

«Andiamo...» la prendo a braccetto e la porto dai miei genitori e da Stefano, «Eccomi, lei è Britney, Britney: loro sono i miei genitori e lui è Stefano», si scambiano le presentazioni, ora possiamo andare a mangiare!

«Ora ci siamo tutti, possiamo andare a fare colazione», conferma il mio pensiero mia madre.

Ci dirigiamo verso il bar dell'ospedale, i miei genitori ordinano due caffè e due brioches, mentre io, Stefano e Britney tre cappuccini con cacao e tre brioches.

Finiamo di bere e mangiare la nostra colazione, chiacchierando del più e del meno, quando abbiamo terminato tutti, mio padre paga la colazione e ritorniamo in sala d'attesa in radiologia.

Fortunatamente troviamo dei posti liberi e ci accomodiamo.
Passa un'altra mezz'oretta buona, quando vediamo aprire la porta ed uscire il dottore.
La nostra attenzione e su di lui, e su quello che pronuncerà da li a poco.

«Emma Ferraris?» dice, con tono serio. Non preannuncia niente di buono.

«Siamo qui», rispondono i miei in coro.

«Sono pronti gli esiti, vorrei discuterne con voi. Prego.»

Ci alziamo di scatto, andando verso quella porta che ci dirà una volta per tutte come stanno realmente le cose, dietro quella porta scoprirò cosa mi aspetterà.

Cosa ha in serbo , per me, la vita.

Il mio destino - La mia rivincita [ Moments Series]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora