Capitolo 4

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《Chiavi di casa- Michele Bravi》

Il ragazzo tornò a casa ansioso: i suoi genitori erano rigidissimi con lui e se fosse arrivato tardi di solo un minuto, la sua faccia sarebbe diventata viola. Una volta gli successe; fu una delle esperienze più brutte e macabre della sua vita. I suoi genitori erano capaci di tutto, proprio di tutto. Allora era solo un adolescente confuso ma gli aspettò comunque una punizione, che gli avrebbe poi marchiato il resto dell'esistenza. Si diresse a passo svelto verso l'abitacolo ripensando a tutto ciò che gli era accaduto una mezz'oretta prima. Nessuno gli aveva fatto dimenticare, anche se solo per poco, la sua vita: tutti gliela ricordavano in un modo o nell'altro. C'era chi lo insultava, chi lo ignorava, chi lo guardava male. Ma mai nessuno che cercava di capirlo, mai qualcuno aveva cercato di parlargli, di chiedergli come stesse, di farlo stare meglio. Era un errore. Uno stupido, inutile e insignificante errore. O forse erano loro ad esserlo? A sbagliare nei suoi confronti? Ad essere troppo crudeli?
Queste domande avrebbero dovuto attraversare la mente di Benjamin, ma il ragazzo era come cieco: non vedeva altro che i suoi sbagli, ormai lo avevano convinto, ci erano riusciti; lo avevano reso una nullità. Tutti sapevano che non ci sarebbe mai stato qualcuno disposto ad aiutarlo, qualcuno dalla sua parte.

Senza rendersene conto si ritrovò davanti casa sua. Aprì la porta, cercando di non farsi sentire ed entrò. In casa regnava il silenzio, spezzato solo dal rumore dei passi del ragazzo.
"Via libera"
Pensò, credendo l'assenza dei suoi. Neanche il tempo di salire uno scalino, che si ritrovò di fronte i genitori, a braccia conserte, a bloccargli il passaggio, su per le scale.
"Sei tornato a casa finalmente"
La madre usò un tono severo e aspro che gli fece accapponare la pelle. "S-si"
Balbettò di rimando abbassando il capo.
"Che ore sono Benjamin?"
Gli chiese ancora canzonatoria, inclinando la testa di lato.
A quel punto il panico iniziò a impossessarsi del moro che, tremante, guardò il suo orologio per controllare l'ora appunto. "L-le venti e trenta m-minuti"
La madre, Eleonor, ridacchiò scuotendo la testa.
"E a che ora ti avevamo chiesto di tornare a casa Benjamin?"
Continuò il padre sempre con quel tono fastidiosamente canzonatorio.
"A-alle venti e v-venticinque m-minuti..."
Non ci poteva credere: aveva fatto ritardo!
Ora-ora sarebbe finita male, malissimo.
I genitori, con un ghigno dipinto sul volto, esclamarono all'unisono: "Bravo Benjamin!"
Si avvicinarono così al ragazzo, prendendolo per le spalle con forza. Lo bloccarono appoggiandolo al muro.
"Ti avevamo avvertito sui ritardi ragazzino, non hai rispettato i patti e ora ne paghi le conseguenze."
Lo guardarono con l'odio nitidamente dipinto negli occhi e Benjamin non fece resistenza, altrimenti sarebbe finita anche peggio. Semplicemente subì e pensò al ragazzo inconsapevole e innocente che aveva incontrato, con le lacrime agli occhi e il cuore spezzato.

"Mi dispiace Federico, mi dispiace così tanto, ma non ci rivedremo in futuro. Non ti metterò in pericolo facendoti entrare nella mia vita, ti proteggerò dai miei demoni."

***
Dopo le varie torture il ragazzo, ormai distrutto, salì in camera sua, sempre a testa bassa e si sdraiò sul letto, pieno di nuovi tagli e ferite per tutto il corpo, reduce dello scontro con i suoi genitori. Si addormentò piangendo, le lacrime non volevano cessare, non finivano. Proprio come il ragazzo non voleva che se ne andassero: le lacrime erano il suo unico modo per sfogarsi.
Si addormentò sempre meno sicuro di sè. Lui era rimasto solo e ne aveva pagato le conseguenze, era restato in silenzio ma non servì a nulla, perchè soffrì lo stesso.
"Perchè non mi è servito a niente rimanere solo, e non è vero che il silenzio può risolvere"
Recitava una delle sue canzoni italiane preferite, l'unica che gli piaceva davvero.
Ogni tanto la ascoltava, lo faceva sempre emozionare. Gli ricordava molto lui e quello che stava vivendo.

Benjamin si svegliò a causa di un vociare confuso, le voci ovattate a causa della distanza da cui provenivano. Erano le undici di sera ma lui aveva il sonno leggero. Si alzò pentendosene subito: lo stomaco era pieno di lividi e lui, molto intelligentemente, si era alzato di scatto, per poi piegarsi in due dal forte dolore. Veramente astuto da parte tua Benjamin: complimenti, si disse.
Digrignò i denti per la botta e si riaccasciò sul letto, arrendendosi al fatto di non potersi muovere. Quando le voci si fecero più vicine, il ragazzo ne riconobbe solo una: Elijah. Stava parlando con una ragazza, lo intuiva dal timbro di voce e dal tono da oca che stava usando. Non aveva mai sopportato le ragazze vanitose, credevano di essere chi sa chi, mentre erano solo delle stupide con tre chili di trucco spalmati in faccia. Secondo lui erano accecate dalla superbia, uno dei sette vizi capitali, il più grave tra l'altro, e non si rendevano conto del male che potevano procurare ai più deboli. Il loro ego veniva prima di tutto e tutti.
"Come va allora con quello?"
Udì suo fratello parlare con la ragazza. L'ansia s'impossessò del suo io senza un apparente motivo. Che fosse un presentimento?
"L'ho lasciato, ma me ne pento: è davvero un bravo ragazzo, in tutti i sensi."
Benjamin poteva immaginare la ragazza mentre diceva quelle parole solo dal modo in cui le aveva pronunciate: gomma da masticare in bocca, sguardo da provocatrice, capelli attorcigliati in un dito in un movimento rotatorio continuo.
"Mi fa piacere. Quindi procede bene"
"Abbastanza"
Il moro rabbrividì: di cosa stavano parlando? E perchè la cosa gli metteva alquanto ansia?
Si stavano allontanando, e il ragazzo non riuscì a sentire oltre. Quel discorso tra i due lo aveva fatto riflettere e non poco. Suo fratello in quella settimana sembrava quasi accettarlo, accettare la sua presenza, ma in quel momento si ricredette: non lo avrebbe mai accettato, era solo una sua illusione. Il fratello era sempre stato cattivo e lo sarebbe stato in futuro. Un' altra pugnalata al petto, un altro pezzo del cuore già infranto di Benjamin, che volava via con suo fratello, che se lo era preso in malo modo, facendolo soffrire. Suo fratello lo aveva illuso, ancora.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo di un telefono, il suo.
Chi poteva essere a quest'ora?
Controllò e rimase sorpreso quando vide il messaggio che proveniva da uno sconosciuto. Lo lesse: era lui.

"Ehi, sono Federico, scusa l'orario, volevo augurarti la buonanotte"
Il ragazzo avrebbe tanto voluto esaudire il desiderio del biondino, voleva davvero che la sua fosse una buonanotte, così come voleva rispondere a quel messaggio. Ma non poteva, se lo era promesso e avrebbe mantenuto la sua promessa.

Mi dispiace, ma ho troppa paura, spero che tu mi capisca Federico.

Non gli rispose, ma gli mandò quel messaggio con la mente, credendo che davvero potesse arrivargli.

Comunque, buonanotte anche a te Federico.

Gli disse infine.














***
Hi!
Eh già, come avete visto cercheremo di aggiornare tutti i giorni (ci scusiamo se non sarà possibile sempre). Benjamin ha preso questa decisione; secondo voi resisterà a lungo?
Fatecelo sapere nei commenti!
Ps: la canzone scritta all'inizio è quella che vi consigliamo di ascoltare mentre leggete il capitolo💟
A domani😘
//Annarita💓
•07/03/2017•

Quello che non ti ho mai detto|| FenjiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora