Quinta ed ultima prova

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Argomento: Finale diverso
Tipo: Fanfiction 

Katniss' POV 

Terrificante. Ecco come riesco a riassumere gli ultimi quindici minuti. Siamo stati attaccati dagli ibridi nella parte sotterranea di Capitol City, nei livelli inferiori al Transito. Decine, centinaia, migliaia, sembravano non finire mai. Si riversavano a frotte sul mio gruppo aprendo le loro bocche, emettendo quei versi striduli così acuti da far tremare le ginocchia. Il loro odore, è stato quello a terrorizzarmi ancora di più: quello dei rettili mischiato con quello delle rose di Snow, che mi ricordava di essere perennemente sotto il suo controllo, sotto i suoi occhi.
La sapeva, in qualche modo era a conoscenza della nostra posizione; come aveva fatto a trovarci? Per un momento, avevo perfino dubitato di Cressida e Messalla, pensando che stessero facendo un doppio gioco;
Vedere il corpo del ragazzo sciogliersi come cera al sole nel raggio del baccello, mi aveva lasciato senza fiato, come se avessero aspirato tutta l'aria dei miei polmoni e li avessero poi esposti al calore di un deserto.
E Cressida... non riuscirò mai a togliermi quella scena dagli occhi.
Io in cima alle scale, lei dietro di me. Finnick di sotto, che cerca di respingere con il suo tridente decine e decine di ibridi, ma tre di questi gli si buttano sopra, scaraventandolo nell'acqua.

<<Finnick!>> avevo urlato terrorizzata.
<< Aspettate, vado a prenderlo! Qualcuno di voi cerchi di allontanarne il più possibile sparando.>> aveva proposto Gale mentre si levava uno zaino dalle spalle per avere maggior libertà di movimento.
<< No, vado io, sono già pronta >> aveva mormorato Cressida un attimo prima di scendere tutte le scale con un solo, agilissimo movimento. 

Aveva agito come una iena inferocita, sparando, infilzando, saltando, tutto insieme, animata da una forza che non so da dove sia spuntata fuori.  Ho solo qualche sprazzo confuso di quei momenti: ricordo solo il ronzio nelle orecchie mischiato con il frastuono degli spari, dell' acqua, delle urla e degli orribili versi degli ibridi; immagini sfocate di fucili, caricatori e figure non completamente umane. Il fracasso che hanno fatto Cressida e Finnick quando si erano lasciati cadere sul pavimento in cima alle scale mi aveva riportato alla realtà e mi ero accorta solo in quel momento che Peeta era rimasto in un angolo con le mani sulle orecchie e con le palpebre serrate. Mi ero avvicinata a lui tremante e avevo allungato una mano.

<< Peeta, andiamo! >> avevo esclamato. Non era giunta nessuna risposta, solo qualche lamento soffocato.
<<  Dai, Peeta! Dobbiamo sbrigarci! >> avevo insistito. Nonostante stessi ad un passo da lui, continuava a dondolarsi avanti e indietro, tenendo la testa tra le mani sulle ginocchia. Avevo tirato un piccolo sospiro e poi avevo preso il suo viso tra le mie mani, costringendolo a guardarmi negli occhi.
<< Peeta...>> avevo detto un attimo prima di baciarlo. Le sue labbra erano fredde, dure e bagnate, ma avevano fatto comunque il loro effetto su di me.
<< Resta con me.>> 
<< Sempre. >> aveva risposto, guardandomi con le pupille enormemente dilatate, quasi come fossero pozzi neri. 

<< Forza, veloci, veloci, veloci! >> ci esorta Cressida, essendo alla testa del gruppo.
<< Cressida, dove stiamo andando?! >> chiede Finnick, mentre con un braccio aiuta Gale a mandare avanti Peeta.
<< L'ultimo posto in cui pensavo di tornare, casa mia. >> sussurra lei mesta. 
Non capisco il motivo per cui parla così affranta, non credo che lei abbia mai sofferto la fame o visto i suoi amici essere sorteggiati nella piazza sotto casa sua per andare a morire. Non provo rabbia, solo... non lo so nemmeno io. Provo a pensare a qualcosa da dire ma Pollux cattura la mia attenzione facendo gesti frenetici con le mani.
<< Mh? >>  mormoro.
Indica verso Finnick e vedo che ha un pessimo colorito verdastro in faccia e gli occhi strabuzzati.
<< Finnick! Cressida, quanto manca a casa tua? Finnick non sta bene! >> chiedo agitata alla ragazza.
<< Eccoci, siamo arrivati, dobbiamo percorrere questo isolato e ci siamo; muoviamoci! >> risponde lei pronta. Controlla che non ci sia nessuno per la strada e poi ci fa cenno di seguirla. Tutte le vie sono tappezzate di manifesti con i nostri volti.
" Aiuta Panem a depistare i suoi nemici " recita lo slogan.
Trascinando piedi, sbattendo fucili e soffocando imprecazioni, riusciamo ad arrivare all'appartamento. Saliamo le scale e quando arriviamo in cima ci lasciamo tutti crollare sul pavimento lucido, dopo aver adagiato Finnick sul divano. Mi libero dello zaino, dell'arco e del fucile che ho appeso alla spalla e mi avvicino al ragazzo del Distretto 4. Ha il respiro limitato ad un rantolo e gocce di sudore che gli colano lungo i lati del viso. Senza chiedere il permesso a Cressida, vado nella stanza in cui Messalla ci aveva detto che i capitolini tengono la cassetta del pronto soccorso. La casa è abbastanza disordinata, i letti sono sfatti e delle cornici sono rovesciate, ma non è questo ciò che cattura la mia attenzione: per terra ci sono tantissime buste contenenti lettere e fogli scritti strappati; saranno centinaia. Alzo le spalle e torno di fretta nell'ingresso con la cassetta, sedendomi accanto a Finnick. Vedo che si tiene le mani giunte sotto le costole.
<< Finnick... forse dobbiamo levare la maglietta e vedere cosa è successo... hai un pessimo colorito. >> dico piano.
<< Uhm, si...>> risponde lui tra gemiti di dolore.
Delicatamente, con l'aiuto di Gale, gli leviamo tutta l'attrezzatura e poi sfiliamo con delicatezza la t-shirt nera aderente che mette in risalto il fisico muscoloso del ragazzo. Ciò che vedo mi lascia senza fiato: c'è una ferita profonda all'altezza dello stomaco, piena di sangue, fresco e rappreso, siero e tessuto rovinato. Deglutisco a fatica e mi scambio un'occhiata con Gale e leggo nei suoi occhi un'espressione di paura.
Dentro di me, mi ripeto come un mantra " Fa' come facevano mamma e Prim. Pensa a loro. Che avrebbero fatto, se fossero state li con te? " 
<< Andrà tutto bene, Finnick, vedrai...non è niente>> balbetto mentre con le mani che tremano smisto nervosamente nella cassetta, alla ricerca di qualcosa che mi possa aiutare a ripulire la ferita. Con pomate, rotoli di garza e acqua la sistemo alla bell'e meglio mentre Finnick sembra riacquistare un po' di colore in faccia, passando dal verdognolo ad un pallore malato. Posizioniamo qualche cuscino, in modo da farlo stendere comodamente. Nel frattempo, Cressida ha rifocillato Peeta e Pollux, il quale non è riuscito nemmeno a ringraziarla; si è lasciato andare, concedendosi totalmente al pianto per il fratello, dilaniato davanti a lui dagli ibridi. Ci sediamo tutti intorno a lui rimanendo in silenzio per rispettare il suo dolore. Mentre si asciuga una lacrima si apre la giacca ed estrae un pezzo di carta non più grande di un pugno e lo porge a Gale, che si trova immediatamente alla sua destra. Lo vedo sbarrare gli occhi e poi sospira profondamente, mentre mi passa il foglietto. Lo prendo e rimango esterrefatta da ciò che vedo: è una foto di Castor e Pollux, prima che quest' ultimo venisse fatto prigioniero dato che ha la bocca aperta. I due sorridono e si stanno scambiando una pacca sulla spalla. Il volto di Castor è pulito ed aperto in una smorfia di genuina felicità mentre quello di Pollux è gioioso, con la lingua di fuori e gli occhi fissi sull'obiettivo. Do la foto a Peeta, che la guarda con Cressida, mentre Finnick allunga il collo per vederla; nella stanza non si sente nessun rumore, se non dei singhiozzi. Come sempre, è Peeta a dire le parole giuste per esprimere anche i nostri sentimenti. 

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