10: Sostenuto (parte I)

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    YUNE si era addormentato con la testa poggiata sulle sue gambe. SIRAH lo aveva guardato, sconcertata e sconvolta dalla scena a cui aveva appena assistito. Quell'uomo, all'apparenza diffidente e insensibile, soffriva a causa di un evidente disagio mentale. Almeno, era ciò di cui gli androidi ospedalieri erano convinti. Lei non sapeva cosa pensare di quel che aveva visto. Inizialmente, le era sembrato che fosse impazzito. Le era apparso con delle vesti completamente diverse, con un volto irriconoscibile, contratto in una maschera di tormento. Per poche pause, aveva avuto la sensazione di poter finalmente capire cosa ci fosse nella sua mente. Le voci. Suoni incomprensibili che l'ossessionavano in ogni istante della sua vita.

    Vedendolo in quello stato, aveva compreso molte cose. Aveva capito perché diffidasse tanto degli altri e per quale ragione sembrasse sempre così introverso e imperscrutabile. Cercava di nascondere il suo stato, in modo che le macchine e le persone che lo circondavano non si accorgessero delle sue condizioni. Il motivo appariva, adesso, evidente agli occhi di SIRAH, che lanciò uno sguardo diffidente all'androide privato del Programmatore. Era stato quell'aggeggio a proporre di chiamare i suoi compari specializzati nelle arti mediche, ma quale era stato il risultato?

    Avevano drogato YUNE, trascinandolo nella spirale della dipendenza ancora una volta. Non per placare il suo tormento, ma solo per impedirgli di diventare un problema. Aveva visto la boccetta infranta contro il muro: anche se non era stata presente, poteva immaginare perché l'uomo si fosse rifiutato di assumere la sostanza.

    Era convinta che stesse cercando di smettere e, a giudicare dalle parole che uno degli androidi ospedalieri le aveva rivolto, la cosa non stava bene alle macchine. I calcolatori non erano interessati a scoprire la reale causa dei deliri di YUNE: volevano solamente che si comportasse come un animaletto addomesticato. Che fosse docile e ubbidiente. Si rammaricò di quei pensieri, che non avrebbe mai formulato prima di arrivare nel Distretto A. Eppure aveva visto più cose lì, vicino al centro della Cupola, che in periferia. Il fatto che le ipocrisie del Sistema si mostrassero per ciò che erano davvero, senza veli o tentativi di dissimulare, la sconcertava. L'idea, poi, che nessuno trovasse inquietanti i comportamenti delle macchine la lasciava ancora più basita.

    Forse era perché gli abitanti del Distretto A erano abituati a quell'atteggiamento, o forse era colpa del Programmatore, che le apriva gli occhi ogni volta che parlava. Sì, doveva essere proprio così. Persino nel delirio, YUNE l'aveva sconvolta dentro. Aveva accusato gli androidi di volerlo infettare: le convinzioni di SIRAH, le cui fondamenta erano già precarie, erano definitivamente crollate. Per la prima volta da quando lo conosceva, aveva davvero ascoltato cos'aveva da dire. Era pazzo, indubbiamente, eppure lei non riusciva a non ripensarci. Quella frase le attraversava la mente in continuazione, come una capsula di trasporto che viaggiava da una parte all'altra della Cupola.

    "Non m'infetterete come avete fatto con loro", aveva detto.

    Era assurdo: le macchine non potevano mettersi a trasmettere le malattie. Loro le annientavano, sterminando i batteri e i virus con ogni mezzo a disposizione. L'ambiente era talmente sterile che le persone erano costrette a esporsi ai malanni ogni tre sottogruppi. Tuttavia un cavillo si era ormai formato nella testa di SIRAH. Un cavillo che non sembrava intenzionato a lasciarsi rimuovere dalla ragione.

    Forse perché la ragione stessa non credeva alle proprie menzogne.

    Accarezzò lentamente i capelli di YUNE. Anche da addormentato, aveva un'espressione indecifrabile, a metà tra il concentrato e l'inconsapevole. Si chiese se percepisse le voci anche mentre sognava. Questo le rievocò alla mente la scena a cui aveva assistito. Ricordò le bizzarre parole pronunciate dal Programmatore. Risentì la loro cadenza, così piacevole e allo stesso tempo inquietante. Erano bellissime, gradevoli da ascoltare. Nonostante ciò, SIRAH non dubitava del tormento di quell'uomo: anche lei sarebbe impazzita, se avesse dovuto sentirle in ogni arco e antiarco della propria esistenza. Non osava immaginare quanto forti potessero essere. Aveva visto come YUNE si stringeva il capo tra le mani. Sembrava quasi che volesse sfondarsi il cranio, solo per farle uscire.

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