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Non è mai stato facile essere la giovane figlia di un discografico.

Quando andai alle elementari, un paio di bambine divennero mie amiche soltanto per ricevere l'autografo del loro idolo musicale.

Quando scoprirono che, più che altro, vivevo con Daria, la mia domestica moldava, decisero improvvisamente che ero una sfigata che arrossiva in continuazione e non avrebbe mai avuto un ragazzo.

Mi scaricarono, e ripresi la mia vita solitaria.

Da quando ricordavo, vivevo nella mia megavilla bianca sulla collina:

I pavimenti erano sempre lucidi come specchi, e Daria e Maggie giravano per casa come spettri.

Maggie era l'altra domestica,  insieme a Daria: era una ragazza di una ventina d'anni che mi regalava i trucchi e mi diceva che ero una bambina bellissima.

Sempre:"Sei una bambina bellissima, Jay. Una bambina bellissima."

Ed io non ci credevo. Per qualche motivo, davo più credito alle mie compagne di classe che ad una matura ventenne.

Forse perchè Maggie veniva pagata.

Amavo la musica, perchè l'aveva amata mamma e la amava papà, tanto da farne il suo lavoro, ma non mi ero mai spinta più avanti dell'ascoltare.

La mia vita era fatta di rumori, di pulsazioni, non di suoni veri e propri.

I suoni squarciavano il silenzio, i rumori lo accarezzavano e lo blandivano fino a inglobarsi in lui.

Quando Daria mi vide tamburellare con le dita sul tavolo, lo disse a mio padre.

- La bambina mostra interesse per il pianoforte, come sua madre! - disse, con entusiasmo palpabile nella voce. 

Mio padre, che stava mangiando in silenzio dall'altra parte del tavolo rispetto a dov'ero seduta io, in soggezione come tutte le (rare) volte che tornava a casa, alzò lo sguardo e mi lanciò un'occhiata.

I suoi occhi azzurri incontarono i miei, poi abbassò nuovamente lo sguardo sul piatto e disse: 

- Bene. Molto bene. -

Così incominciai a suonare il pianoforte.

All'inizio, ogni volta che sentivo la volontà venirmi meno pensavo allo sguardo di mio padre, al modo in cui avevadetto "molto bene".

Ma sapevo benissimo di non essere interessata al pianoforte, così come non ne ero neanche portata;

E poi, nel perpetuo silenzio di casa mia, era uno sgradevole estraneo.

No, suonare il pianoforte non mi piaceva, anche se avrei tanto voluto: pensavo che forse, se lo  avessi amato come mia madre, mio padre avrebbe amato me come un tempo amava lei.

Ma mia madre era morta.

Ed io, per quanto mi sforzassi, non potevo risvegliare quella parte di mio padre che le apparteneva.

Così, smisi di esercitarmi e, in breve, l'enorme pianoforte a coda nella Stanza Della Musica si ricoprì di uno strato di polvere.

In quel periodo, incominciai le medie. Le ragazze volevano essere di nuovo mie amiche, ma per un motivo diverso: a 12 anni, ero una ragazzina insolitamente matura, con un corpo che non era molto diverso da quello di adesso.

- Vedi? - disse Maggie, dandomi un buffetto sulla guancia. - Lo dicevo io che eri una bambina bellissima. -

Sì, era stata la prima a dirlo.

Nell'estate tra l'ultimo anno delle medie e la prima liceo, Maggie si dimise: si sposò a Giugno, e invitò me e mio padre al ricevimento.

Andai da sola e, proprio lì, diedi il mio primo bacio, con il cugino di Maggie in uno sgabuzzino freddo. Mi palpò per bene per quei due minuti, e uscita di lì giurai che non sarei mai più finita in una situazione del genere.

Non rispettai il giuramento, ma questa è un'altra storia.

Quella stessa estate, incominciai a suonare la batteria.

Non so come incominciò.

In qualche modo, capii che tamburellare ovunque poteva essere tradotto in qualcosa di più complesso, che mio padre avrebbe potuto apprezzare.

Trovai le percussioni in un armadio della Stanza Della Musica, chiuso e abbandonato a sè stesso.

Comprai una batteria, e mi misi a suonarla in modo serio: o, come diceva Daria, a "fare fracasso".

Questo non mi fece avvicinare a mio padre, ma mi diede un motivo.

Il primo giorno del liceo, mi sentivo bene, davvero bene, bene con me stessa.

Si notava.

E più la gente mi guardava come se fossi figa, più mi ci sentivo.

Incominciai a masticare le gomme e dipingermi le unghie di nero. Ero un po' dark, un po' ribelle, disinteressata, strafottente.

Un giorno che mio padre si era fatto vedere a casa, gli urlai contro che era un uomo di merda, un padre di merda, che mi aveva rovinato l'infanzia e che lo odiavo. Testuali parole.

Lui non rispose nulla.

Io mi alzai e andai in camera mia.

I ragazzi cominciarono ad andarmi dietro, e le ragazze a voler essere mie amiche perchè ero popolare. Mi crogiolavo nella loro adorazione, ma volevo di più.

Sebbene non mi mancassero gli spasimanti, io mi sentivo più grande, piùmatura.

Volevo un uomo, non un ragazzo.

E, a 17 anni, lo trovai.

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