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- Ehi. Jo. - sentii dire da qualcuno, mentre percorrevo indisturbata il marciapiede assolato che mi avrebbe portato a casa.

Mi girai, e Jo mi sorrise.

Mi fermai, sorridendogli di rimando.

- Ehi. - risposi. - Jo. -

- Com'è piccolo il mondo. - osservò lui, con un sorrisetto impertinente.

Quel giorno non aveva il cappello, ed i suoi capelli castani rilucevano alla luce del sole, rossi e arancioni.

- Già. - dissi.

- Dove stavi andando? - sussurrò lui, come se mi stesse chiedendo il mio più grande segreto.

- A casa. - risposi, onestamente.

Lui si guardò intorno, stupito, come ad accertarsi di dove fosse.

- Pensavo vivessi con Scott. Pensavo... - disse, mentre i suoi occhi si illuminavano di una luce nuova.

Mi sono sbagliata, pensai.

Mi ero sbagliata, la prima volta. I suoi occhi non erano neri. Erano più castano chiaro, quasi miele.

- ... che tu fossi la sua ragazza. - concluse.

- Infatti. - risposi, alzando le spalle.

- Ah. -

- E vivo praticamente lì. Ma ho 17 anni. -

Jo sembrò sorpreso.

Ovviamente, non avrei dovuto dirglielo. Ma Jo mi piaceva, mi ispirava fiducia.

Ero sicura che non mi avrebbe fatto niente di brutto con quell'informazione.

- Ah. Wow. 17. - borbottò. Mi guardò negli occhi, con un espressione stupita sul volto. - Scott... è piuttosto grande per te. -

Annuii.

- Ma compio gli anni tra poco. - mi affrettai a specificare.

Anche se non era proprio vero.

Compivo gli anni a gennaio, quindi tecnicamente ero ancora nell'anno dei miei 17 anni.

- Hai solo un anno in più di mia sorella. - disse, con uno sguardo dolce negli occhi.

- Hai una sorella? - chiesi.

E sa che ti droghi?

Ma certo che no.

Potevo leggergli negli occhi quanto tenesse a questa misteriosa ragazza.

Me lo immaginavo, come fratellone protettivo.

Il fratello che avevo sempre desiderato.

- Si, si chiama Bay. - rispose, sorridendo.

Poi, indicando la strada davanti a noi, disse:

- Ma non stavi andando a casa? Ti accompagno, finchè mi è di strada. -

Annuii, e ci avviammo su per la Collina.

La mia casa era stata costruita esattamente due anni prima che io nascessi, e madre ci aveva vissuto un anno soltanto.

Daria una volta mi aveva detto che mamma la detestava: diceva che era troppo grande, troppo fredda.

Non potevo che essere d'accordo con lei, ma quello non era il tipo di casa che puoi "ridare indietro".

Era sulla cima della "Collina delle villette", come lo chiamavo io.

Era una sorta di crescendo, una specie di piramide sociale: più eri in alto, più eri ricco, più la tua casa era grande.

Sopra di noi c'era solo il mega-villone degli Smith. Il signor Smith era uno degli uomini più ricchi del mondo, un magnate del petrolio o cose del genere, e i suoi figli (entrambi di qualche anno più piccoli di me) erano due boriosi bimbetti con la puzza sotto il naso. In ogni caso, la loro casa assomigliava vagamente alla Casa Blanca, mentre la nostra era leggermente più in basso e quasi completamente di vetro.

A modo suo, era bella.

Di certo molto più di quella degli Smith, e sulla Collina la conoscevano tutti, perchè gli bastava alzare lo sguardo.

Quindi non ero troppo incline a rivelare all'inaspettatamente abitante della Collina Jo che ero Johanna Lise, della Casa Lise.

Si, quella di vetro in cima.

Eppure, stavamo entrambi aspettando che uno dei due si fermasse, per vedere a che livello si trovava.

Per lo meno, lui stava aspettando che io mi fermassi, perchè io sapevo benissimo che non era uno degli Smith, e, di conseguenza, era più in basso di me.

Jo si fermò all'incirca al livello "Case Quasi Grandi".

Personalmente, avevo suddiviso la Collina in 6 settori:

- Case Piccole (rispetto alla mia, perchè rispetto alle case normali erano case grandi)

- Case Medie

- Case Quasi Grandi

- Case Grandi

- Case Molto Grandi

- La Punta (Gli Smith e noi)

Tutto questo perchè da piccola non avevo niente da fare.

Che bambina infelice.

Comunque, Jo mi guardò con un certo imbarazzo, e mi salutò con altrettanto imbarazzo.

E non sapeva neanche esattamente dove ero.

Se l'avesse saputo, probabilmente, sarebbe uscito di testa.

Per questo non ci tenevo particolarmente a dirglielo.

O a farglielo sapere.

Le persone ti trattano sempre diversamente quando sanno da dove vieni.

Ma, se c'è una cosa che Jonha Black mi ha insegnato, è che è giusto così.

È il passato a renderci ciò che siamo.

E il mio passato é una grossa casa vuota, e un pianoforte chiuso.

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