SENSO DI COLPA

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[Pov Hoseok]

Me ne vado, pestando i piedi con tutta la frustrazione possibile.
Dovrei essere felice di aver mostrato il mio balletto alla manifestazione che ho organizzato io e a cui è venuta anche molta gente.
Ma non lo sono, affatto.
Sembra quasi che tutti i miei amici vogliano mettersi contro di me e schierarsi dalla sua parte.
L'unica cosa che volevo oggi era ballare con il mio migliore amico.
Era la nostra serata, la nostra manifestazione e invece è andata in fumo.

Ma forse avrei dovuto capirlo che avrebbe scelto lui, invece che me.
In fondo non ho fatto altro che urlargli contro e mettergli i piedi in testa da quando ci conosciamo.
Io non volevo farlo, non ce l'avevo con lui, ma con il mondo.
Davo la colpa al resto del mondo per la morte di mia madre, che mi ha cambiato nel profondo, quando invece la colpa è solo mia.

Lei è stata l'unica a credere in me e permettermi di realizzare i miei sogni, separandosi persino da mio padre e lavorando il doppio per permettermi di studiare danza.
Ma la malattia l'ha distrutta, come ha distrutto me, poco a poco.
Sono cambiato a tal punto da urlare ai miei amici, farmi sospendere da scuola e arrestare per una piccola cazzata in moto. Lei non avrebbe voluto questo.

Prima non ero così, mi sentivo bene, ero felice, proprio come quando stavo con lui: Taehyung.
La prima volta che l'ho conosciuto era ad una festa a casa di Tao, ero completamente ubriaco e scambiandolo per una bellissima ragazza, l'avevo invitato a venire a letto con me. Non ricordo esattamente com'è finita, ma credo di aver ricevuto una porta in faccia.
La seconda volta invece, è stata la più imbarazzante di tutta la mia vita.

Ero davanti ad un parco, stavo scendendo dalla moto perché avevo visto un gruppo di ragazze in fondo alla strada e cercavo di farmi più spavaldo per conquistarne una, ma ovviamente fallí, ricevendo uno schiaffo in faccia.
Dietro di me, seduto su una panchina ad osservare tutto, c'era lui a guardarmi divertito.
In quel momento non ricordavo minimamente chi fosse, per me era solo un ragazzo che volevo prendere a pugni come se fosse lui la causa di tutto.
"Dovresti migliorare un po' la tua tattica di rimorchio, sai?" Rise.

E come sempre- perché non so fare altro- gli urlai contro e me ne andai.
La terza volta è stata piuttosto tranquilla, ero insieme a Jimin e stavamo provando nello stesso parco, non mi ero accorto che ci stava osservando da un po'.
Quando finimmo di ballare, ci applaudí e Jimin iniziò a conversare con lui.
Solo allora mi ricordai chi fosse e che lo conoscevo da un po'.

"Che fai, mi pedini?" Domandai.
Lui rise e rispose.
"Mi sembri abbastanza interessante per poterlo fare"
"Certo che lo sono!"
Da quel giorno iniziammo a parlare e ad incontraci in quel parchetto, che ci piaceva tanto.
Io non ero gay, ma c'era qualcosa in quel ragazzo che mi intrigava molto. Era la persona più strana e dolce, che avessi mai conosciuto.

Mi ero perdutamente innamorato di lui, non riuscivo a pensare ad altro.
Mentre ballavo, dormivo, respiravo, nei miei pensieri c'era sempre e soltanto lui. Era come un ossessione.
Dovevo farlo mio.

Un paio di mesi dopo, il mio sogno si realizzò e ci mettemmo insieme.
Da allora ero più sereno, avevo smesso di urlare in faccia alle persone, il mio lavoro andava a gonfie vele e la vita mi aveva finalmente sorriso.
Ogni giorno lo vedevo sempre più bello, ridevo continuamente e mi faceva sentire bene trasmettere la mia felicità anche agli altri. Anche i miei amici erano sorpresi di vedermi così, dopo tanto tempo.

Avevamo avuto alcuni problemi, perché io insistevo nel fare l'amore e cos'altro, ma lui non voleva e finivamo sempre col litigare.
Però, io non ci davo tanto peso, non pensavo fosse un problema tanto grande in fondo lo amavo e cercavo di dargli tutto lo spazio e il tempo possibile.
Ero la persona più felice del mondo, quando ci baciammo per la prima volta dietro casa di Tao, il posto dove ci incontrammo la prima volta. Credevo che finalmente ci sarebbe stata una svolta nel nostro rapporto.
Ed è per questo che non dimenticherò mai quel giorno in cui una parte di me è morta lentamente.

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