Stavolta quella che scappa sono io.

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Ammettimolo, non è esattamente quello che mi aspettavo. Sono davvero cosi ripugnante? Forse sono risultata troppo acida. O scontrosa. Troppo snob, forse? Oh Dio, non saprei...Tutto quello che so è che il minuto prima era tutto normale. Io a farmi i fatti miei e lui i suoi, e poi... BOOM! E' come se mi fossi trasformata in aglio e lui in un vampiro. Mi sono sentita malissimo, per la prima volta mi sono sentita ferita, a disagio, sbagliata...

Fanculo! non mi sono mai sentita sbagliata prima e chi deve darmi questa sensazione? Un estraneo, mai visto prima, e lui non sa neanche come mi chiamo e già mi giudica? Fanculo! Fanculo lui, fanculo tutti! Non merito di sentirmi cosi! 

Abbasso il volume della musica. Sto andando a scuola. Secondo giorno. E la musica ad alto volume non aiuta il mio battito cardiaco. 

Arrivo una seconda volta proprio mentre suona la campanella. Ottimo. Salgo spedita in classe, Pronta a dirgliene quattro, ma lui non c'è.

Sono spiazzata di nuovo. 

Come puo non venire il secondo giorno di scuola? Mi siedo al mio posto. Da sola va molto meglio. Anche se non posso fare a meno di pensare che la sua assenza sia colpa mia.

Voglio dire, so che io non ho fatto nulla. Non so neanche il suo nome, ma una parte di me si sente rifiutata. E' una sensazione nuova, ho bisogno di tempo per assimilarla. Sembrava quasi disgustato a starmi vicino. Forse dovrei lasciar perdere e cambiare posto domani. Perche verrà domani, no?

No. Non si è fatto vedere per tutto il resto della settimana. Ed ogni giorno che passava, mi sentivo sempre piu colpevole e un pezzetto della mia autostima finiva nel cesso.

Oggi è di nuovo lunedi. Ormai ho capito come funziona. La campanella suona alle 8:08. Quindi io devo uscire da casa alle 7:34 per arrivare in tempo per il suono della campanella ed entrare in classe. 

Sono le 7:48. Sono sull'autobus. Seduta tra il finestrino ed una ragazza che odora di cannella e mela.

Adesso l'odore di cannella comicia a darmi alla testa  quindi mi appoggio con la fronte sul vetro, che è freddo, quindi mi da un pò di sollievo, opto per una playlist soft. Non il mio classico rock spaccatimpani. Qualcosa di piu leggero, scorro il dito sullo schermo del telefono, cercando la canzone giusta, ed eccola qua: Only God Can Judge Me.

Quale canzone se non questa per riaccendere la mia rabbia nei confronti del ritardatario che mi ha fatto sentire fuori posto tutta la settimana. Arrivo a scuola carica come una molla, con il discorso pronto nel caso in cui lui si degnasse di presentarsi oggi. Attraverso la porta della classe ed eccoli li. Seduto. Al suo posto. Intento a leggere non so cosa. 

Sono spiazzata di nuovo. Mi dirigo vero il mio banco. Lui vedendomi alza lo sguardo dal libro, mi rivolge un sorriso timido e poi torna a leggere. Mi sorride? Ha idea di quello che mi ha fatto passare questa settimana? La mia mente mi ha quasi ucciso. La mia faccia diventa rossa di rabbia, le mie mani si gelarono, con rabbia getto lo zaino sotto la mia parte del banco. Così forte da farlo sobbalzare. Mi fissa con stupore ed io gli lancio uno degli sguardi piu taglienti che ho nell'archivio. Lui fa finta di niente e torna a leggere. Io mi siedo e decido, per il mio bene, e per il suo di contare fino a 10, prendere un bel respiro e di inziare ad esporre il mio disagio civilmente, prima di spaccargli la testa con lo spigolo del banco. Sempre civilmente, ovvio.

Comincio. 

1,2,3...Adesso glie ne dico quattro. Come si è permesso. 

5,6,7... Ha anche avuto il coraggio di sorridermi. Come se non fosse successo niente! Che faccia tosta!

8,9....

«C-Ciao. Tu devi essere Sarah»

Non posso crederci, allora il ritardatario ha una lingua, non solo la straoridinaria indelicatezza di Hitler. 

Mi sta fissando. Si aspetta una risposta. La mia rabbia si disperde e tutte le mie parole furiose e piene di risentimento mi si bloccano in gola. Cosa mi sta succedendo? Devo comunque rispondergli.

«Pink» Sussuro.

«Come scusa?»

«Il mio nome» Spiego «Tutti mi chiamano Pink. Nessuno qui mi chiama Sarah. Non sono neanche abituata a sentirmi chiamare così. Se lo fai è possibile che io neanche ti risponda.»

Ho parlato troppo. In un primo momento mi guardò con aria confusa, poi scoppiò a ridere. 

«Ok allora, suppongo che dovrò iniziare a chiamarti Pink anche io» Sorride. 

La conversazione sta finendo. Non voglio che finisca, Quindi colgo la palla al balzo. 

«Non sei piu venuto»

«Sono andato un paio di giorni fuori città. Motivi personali.» Risponde in tono freddo. 

Bhe il messaggio è chiaro no? Devo fami i cazzi miei. Annuisco e continuo a disegnare sul mio quaderno degli appunti. Vorrei guardarlo per capire cosa stai pensando ma decido di non farlo. Oh ma chi se ne frega! 

Mi volto verso di lui. Sta leggendo un libro. Non sembra il libro di italiano, però. Lui alza lo sguardo di scatto.

«Che c'è?»

«Niente» Mi affretto a dire, per poi tornare a guardare la lavagna. 

«Sar..Pink, dimmi che c'è.»

«Niente, rilassati.» Perche si è innervosito? Si mette in posizione eretta. Stacca la schiena dallo schieanle della sedia e avvicina la testa al mio orecchio. Così che nessuno ci senta. 

«Stai pensando a qualcosa. Dimmi che cosa» Lo sento sorridere contro la mia guancia. E' diveritito. Credevo fosse nervoso. Non ci sto capendo più nulla. La testa mi gira. Ora sono io quella che si sta innervosendo. Ok, vuole una risposta? Ed una risposta avrà.

«Perchè ti sei comportato cosi la settimana scorsa?»

Mi volto a guardarlo. E' bianco come un cadavere. 

«Che c'è? Ora non vuoi più sapere a cosa stavo pesando? Credi che io non me ne sia accorta?»

Continua a fissarmi. A bocca aperta.

«Credevi non mi fossi accorta di come ti allontanavi da me. Come se io fossi l'aglio e tu il vampiro.»

Tutto un tratto, la rabbia, la tristezza e l'inadeguatezza di quesi giorni salta fuori, e gli occhi mi si riempirono di lacrime. La gola mi brucia. So che se dicessi anche solo un altra parola, scoppierei a piangere. E, Dio, se c'è una cosa che non voglio è che  lui mi veda piangere.

C'è ancora qualche secondo di silenzio, in cui ci guardiamo dritti negli occhi, senza dire una parola,  poi il suono della campanella.

E stavolta sono io quella che si precipita fuori dall'aula. Nel modo in cui una gazzella scapperebbe da un leone.

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