Il ragazzo che scappa come una gazzella.

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Ciao, mi chiamo Sarah. Sarah Pinko. Per gli amici Pink.

Ho 18 anni. Frequento l'ultimo anno di un istituto tecnico.

Non so come si iniziano queste cose, non ne l'ho mai fatto prima. Raccontare una storia intendo. Quando non so da dove cominciare ripeto sempre nella testa le parole di uno dei miei scrittori preferiti:

«Inizia dall'inizio e vai avanti finche' non arrivi alla fine: poi, fermati.»

Ed e' esattamente quello che faro'.

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«bip. Bip. BIP. BIIIPPPPPPPP»

Il suono della mia sveglia. il suono della mia odiosa sveglia. Per molti indica l'inizio del nuovo giorno. Per me e' solo un suono senza senso. Sospiro. Con la mano spengo a sveglia. Mi metto a sedere con le gambe a penzoloni lungo il lato del letto. Mi sono alzata troppo in fretta e la testa mi gira percio' la tengo ben stretta fra le mani, sperando che quasto aiuti la stanza a smettere di girare.

Devo essere rimasta cosi per un tempo lunghissimo perche' mia madre è entrata nella stanza come una furia urlando:

«SARAAAHHHHHH, Sarah tesoro, sbrigati che e' tardi»

Io alzo la testa di scatto. Devo essermi riappisolata. Sposto lo sguardo verso la sveglia. Merda sono le 7:40.

«Oh cavolo! lo so mamma, hai ragione ora mi vesto e sono giù tra 10 minuti.»

Mi affretto a dire. Mia madre e' una lunatica di prima categoria. Non so mai di che umore e', e siccome la giornata e' appena cominciata, non voglio iniziare con il piede sbagliato, percio' la assecondo. Ha funzionato. Il suo sguardo si addolcisce.

«Va bene tesoro, ma sbrigati.»

Mi da un bacio sulla fronte ed esce dalla stanza. Non ho tempo da perdere. Mi alzo e mi dirigo verso l'armadio. Decido di indossare i miei jeans preferiti, strappati, a vita alta e larghi. Molto larghi. Cosi' larghi che potrebbero essere di mio padre. Poi indosso una felpa nera, anch'essa larga. Mi dirigo verso il bagno, mi lavo la faccia i denti e il viso ed infine, mi trucco. Anche al trucco non ho mai dedicato troppo tempo: ombretto nero, matita, e mascara. Semplice ma d'effetto.

Mi fiondo giu dalle scale per raggiungere mia madre in cucina. Guardo l'ora. Sono le 7:54. Non c'e tempo di fare colazione, percio' afferro una mela ed esco. Mia madre mi sta aspettando in macchina. Appena chiudo lo sportello della macchina lei accende il motore e partiamo. Destinazione? Scuola. Ovviamente. So che puo' sembrare un cliche' ma oggi e' il mio primo giorno in una scuola nuova. Ma non sono spaventata, terrorizzata o cazzate simili. Se funziona come la mia vecchia scuola andra' alla grande, ossia loro non parlano con me ed io non parlo con loro. adoravo la mia vecchia scuola per questo. Non dovevo preoccuparmi di cosa dire o di cosa fare o di come vestirmi, come truccarmi... insomma non dovevo preoccuparmi di niente perche' loro non mi consideravano, ed io facevo altrettanto.

«Nervosa, eh?»

La voce di mia madre interrompe i miei pensieri.

«Ehm...no, non direi»

Mi squadra con la coda dell'occhio. Per vedere se io stia scherzando. Non e' cosi'.

«Ricoradati che verro' a prenderti verso le 14. Ce la fai a stare da sola fino a quell'ora?»

«Si, certo, non preoccuparti»

«Bene, mi raccomando Sarah, ricordati di comportarti normalmente, non fare a botte con nessuno e...»

«...cerca di farti qualche amico, lo so mamma. Abbiamo gia' fatto il discorso. Tranquilla. Non sono agitata. Mi sento pronta. Non preoccuparti ok?»

Mi affretto a dire. Guardo mia madre e poi le sorrido, per farle capire che e' tutto ok, insomma. Lei sorride a sua volta, ma e' palese la sua preoccupazione.

Sta accostando lungo il marciapiede opposto alla mia nuova scuola. Una volta fatto, spegne il motore.

«Mi raccomando.»

«Tranquilla, ma. So quello che faccio.»

Detto questo le scocco un sonoro bacio sulla guancia ed esco dalla macchina. Attraverso la strada e oltrepasso il cancello della scuola. La campanella sta suonando. Dio ti ringrazio! Sono arrivata appena in tempo, cosi' non ti tocchera' socializzare almeno per altre tre ore.

Sono nell'atrio della scuola. Predo il foglio con il mio orario. Lunedi > Prima ora > Letteratura, aula 12.

Una volta trovata l'aula, entro e mi siedo all'ultimo banco. Tiro su il cappuccio e siccome la prof ancora non e' arrivata ne approfitto per dare un occhiata in giro:

Tre banchi piu a destra di me, c'e un gruppo di ragazze, tutte bionde, tutte vestite uguali. Mi annoto mentalmente di starle alla larga.

Due banchi avanti a me c'è un gruppo di ragazzi. Da evitare anche quello.

Man mano che la classe si riempie io smetto di osservare. troppi soggetti da analizzare e non voglio farmi venire il mal di testa in prima ora.

Arriva la prof. E' alta, con i capelli biondi, ricci e corti. Molto corti. Sembrano quasi un caschetto. Stava iniziando l'appello, quando in classe si fiondo' un ragazzo.

«Scusi prof. L'autobus ha fatto tardi.»

E' alto, magro. Ha i capelli castano chiaro e gli occhi verde smeraldo.

« Martini, vogliamo comniciare quast'anno con un ritardo? Vatti a sedere va'. C'e un posto vicino a qualla nuova. Magari fate amicizia.» (Altro cliche', lo so.)

"Quella nuova"?? quella nuova ha un nome. Non voglio arrabbiarmi. Quindi lascio correre.

Il ritardatario alza un dito per obiettare, ma la prof lo fulmina con lo sguardo e lui abbassa immediatamente il dito, si volta e si dirige verso di me. Voglio dire, verso il mio banco. Quando e' abbastanza vicino riesco a sentirgli bisbigliare un '"che palle". Perfetto. Neanche lui e' contento di questa "unione forzata" . Ottimo.

Siamo a meta' della prima ora il ritardatario sta cominciando a comportarsi in modo strano. Con la sedia si sta allontanando da me, ha iniziato ad avere una sorta di tick nervoso alla gamba, che prima non aveva. Ora sta anche tamburellando con le dita sul banco e sta guardando ripetutamente l'orologio con fare impaziente, vuole andare via. Da me? Dalla classe? Questo non posso saperlo. Io, allarmata, lo guardo. Ha le puille dilatate. Sembra che stia per avere un attacco di panico. Ma di cosa dovrebbe aver paura? Cerco di avvicinarmi, per capire cos'abbia, ma ad ogni mio passo lui si allontana un po di piu'. Come i vampiri con l'aglio.

Questo gioco sta iniziando a stancarmi. Di cosa ha paura? Forse sono io che lo spavento. Ho l'aria spaventosa? Ho qualcosa che non va? Voglio dire ho sempre saputo di avere qualcosa che non andasse, ma non al punto da spaventare la gente.

Decido di girarmi e affrontarlo. Ma come apro la bocca per dire qualcosa, suona la campanella, e lui si fionda verso la porta nel modo in cui una gazzella scapperebbe da un leone.

Non mi ero mai sentita cosi'. Rifiutata. Ho sempre visto la cosa in modo diverso. Come se fossi io a riufitare gli altri e non viceversa. Ma adesso era evidente. Ero stata riufiutata. E nel modo piu indelicato possibile. Raccolgo le mie cose ed esco dall'aula. Quell'aula nella quale ero entrata come una guerriera e dalla quale non avrei mai pensato di uscire con la coda fra le gambe.

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