Capitolo 1

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È già tardi, mia madre cammina veloce per la mia stanza, sperando che sentendo i suoi passi io mi svegli, ma non ha fatto bene i conti, io ancora dormo tranquillamente nel mio letto caldo,e sotto le coperte stringo forte le lenzuola.

Mia madre si avvicina alla mia faccia dandomi dei schiaffetti delicati sul viso,
"Giulia svegliati! È tardi! Devi andare a scuola sono le sette meno dieci!", mi giro dalla parte opposta del letto, vedo il comodino accanto a me, sposto la mia mano calda cercando il mio elastico.

Lo tengo in mano, mi siedo sul letto, e delicatamente apro gli occhi, resto per cinque minuti in silenzio ad osservare il muro davanti a me, ruoto la testa a destra e vedo la faccia di mia madre poco lontana dalla mia che mi guarda preoccupata.

"Ti vuoi muovere? L'autobus tra un po' passa, lo perderai se non ti alzi subito!", guardo per altri cinque minuti intorno.

Metto una gamba calda fuori dal letto, sento freddo, le gambe subito assorbisco quel gelo, cerco le ciabatte, con lentezza ne metto una poi tiro fuori l'altra gamba e metto anche l'altra ciabatta.

Sono in piedi, mia madre ancora mi osserva "Allora? Che aspetti? Vuoi anche un invito?" mi alzo dal letto, vado in bagno mi sciacquo la faccia con quell'acqua gelida.

Colazione? No,è troppo tardi,però non posso andare a scuola a stomaco vuoto! Mi prenderò qualcosa ad un bar, sempre se riesco a raggiungere i soldi, raccolgo un euro dalla mia scrivania apro lo zaino, lo metto dentro al portafoglio, chiudo tutto e vado a prepararmi.

Mia sorella è già pronta, vestita
, truccata, e ha già i capelli piastrati, lei è sempre così perfetta, siamo molto diverse, lei è sempre così impeccabile, ordinata e precisa, io invece pasticciona, disordinata e molto ritardataria.

Ah giusto! Devo sbrigarmi! L'autobus non mi aspetta.

Mi vesto velocemente, mi metto il mascara e mi pettino i capelli con la solita fretta che ogni mattina mi accompagna.

Non capisco perché ogni giorno mi riduco all'ultimo e devo sempre fare le corse.

Prendo lo zaino, me lo metto su una spalla, con il fiatone in gola e la stanchezza negli occhi, mi dirigo verso la porta, saluto velocemente mia madre e le mando un bacio da lontano, chiudo la porta alle mie spalle e volo praticamente per le scale.

La discesa è ripida, per fortuna non piove perché sennò altro che scuola sarei dovuta andare all'ospedale.

Finalmente sono alla fermata, appena in tempo per salire sul autobus e tirare un sospiro di sollievo.

"Ciao Debora" dico alla mia solita compagna di autobus, mi risponde con un freddo "ehi".

Finalmente siamo partiti.

La ballerina che è in meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora