L'ODORE DI ALCOOL

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Era venerdì. Mancava solamente un giorno alla festa di compleanno di Adam. La prima festa per Tori. Lei non era brava in queste cose, non sapeva come funzionasse. Era spaventata ed emozionata. Dentro di lei ripetute e piccole scosse elettriche, quasi impercettibili, segno che anche il suo corpo, come la sua mente, non vedeva l'ora di andare a quella stramaledettissima festa.

Ero comodamente seduta sulla sedia della cucina, mangiando della pizza, quando Ander (era il soprannome che fin da piccola avevo dato a mio fratello) entrò in casa. Lanciò le chiavi sul tavolo, e si sedette stanco accanto a me. Un gesto per lui insignificante. Io mi sentii appartenere ad una famiglia, per una volta. Ander non si era mai seduto accanto a me, con l'intento di parlare, mangiando insieme.

"Si Ander, okey l'amore e tutto...ma stai mangiando la MIA pizza!" gli sbraitai contro, evidentemente seccata.

"Di che cazzo stai parlando? E poi qui non c'è altro cibo. Non rompere bambina.".

'Bambina'. Odiavo quel soprannome. Potrebbe sembrare un vezzeggiativo tra fratelli, qualcosa di carino e dolce, ma con 'bambina' lui intendeva 'piccola bocia immatura'.
Sentii i nervi sguizzare, tesi.

"Ho saputo che andrai alla festa di Adam...". Un pizzico di preoccupazione nella voce.

"Si. Ti crea problemi?".

"No...solo, stai attenta.". I suoi occhi, grigi come l'oceano in inverno, nascondevano qualcosa, ma non riuscii a capire cosa.

Detto ciò si alzò, una massa di capelli color rame spettinati ondeggiò fiera a quel semplice gesto. Mi lanciò un ultimo gelido sguardo, rimise a posto la sedia con un calcio non troppo delicato e si diresse nella sua stanza, in fondo al corridoio. Tori rimase sola, ancora una volta.
Lentamente e con aria annoiata, salì le scale e si chiuse in camera sua. Indossati dei vestiti puliti, si infilò sotto le coperte. Guardò fuori dalla finestra: il caldo vento cullava gli alberi, il lieve rumore che si era creato ricordava vagamente  un respiro. Gli alberi stavano respirando all'unisono, e io con loro.
Tori passò il resto della serata ascoltando quei respiri calmi e regolari, e lentamente sprofondò nel sonno.

L'insistente rumore della sveglia mi penetrò le orecchie, svegliandomi. Indossata una canotta bianca e dei jeans strappati, afferrai il mio solito zaino e le chiavi di casa, e con un calcio chiusi la porta dietro di me, avviandomi.
Camminai velocemente, come se qualcuno mi stesse inseguendo, ma non ero pienamente consapevole di ciò, finché non andai a finire contro qualcosa, o meglio, qualcuno. Caddi rovinosamente a terra, l'asfalto caldo che mi bruciava i palmi della mano. Guardai in su, con tutta l'intenzione di iniziare un putiferio, ma appena sollevai il capo rimasi di sasso. Ryan mi offrii la mano per aiutarmi, e non appena non ottenne nessuna reazione dalla sottoscritta, mi sollevò di peso. Mi rimisi dritta, ancora in trance, imbarazzata per l'accaduto. Sentii avvampare, il colore della pelle assumere una sfumatura rossastra. Ringraziai i lunghi capelli, che nascosero almeno un pochino l'imbarazzo. Mi scusai timidamente, per poi scappare via in direzione della mia meta.

"Buongiorno! Io sono Eloise. Posso esserle d'aiuto?".

L'allegra commessa dai capelli biondi raccolti in una elegante coda mi stava sorridendo.

"Si...ehm, cerco un abito.".

Comprato il necessario, corsi a casa. Avevo circa due ore per prepararmi all'evento che avrebbe sconvolto la mia monotona vita.

Il campanello scattò sotto la leggera pressione delle mie piccole dita, annunciando il mio arrivo. Il vestitino verde smeraldo danzava libero al ritmo del vento, un leggero strato di pelle d'oca aveva ricoperto il mio corpo. Non appena entrai il calore mi accolse, accompagnato da un forte odore dolciastro, molto familiare: l'odore di alcool, che pungente mi penetrò le narici.
Non sapendo come comportarmi, studiai i movimenti degli altri invitati, provando a imitarli.
Nicolas Frays, il migliore amico del festeggiato, mi offrii da bere. Stupidamente accettai. Il suo sorriso era freddo, spettrale, i suoi occhi del colore dell'oro mi scrutavano. Il suo volto assunse un'aria di impazienza, o almeno è ciò che mi parve quando la stanza cominciò vorticosamente a girare. Mi sentii afferrare e sollevare di peso, e senza sapere come, mi  ritrovai in braccio a Nicolas. Tentai con tutte le mie forze di liberarmi, ma con scarsi risultati. Le pareti color cremisi sembravano ondeggiare, così come il resto del soggiorno. Nicolas mi sbatté di violenza su un letto, probabilmente nella camera di Adam. Ben presto i miei interrogativi riguardanti il proprietario della stanza lasciarono spazio al puro terrore quando sentii la sua mano, calda e prepotente, accarezzarmi una coscia. Provai a scappare, urlai, feci qualsiasi cosa mi passò per la mente, ma nessuno mi sentiva. Nicolas bloccò avidamente il mio corpo sotto il suo, mettendosi a cavalcioni su di me, la mano sinistra mi teneva ferma le mani, la destra mi spogliava. Aveva le pupille dilatate, segno che in quel momento non riusciva a ragionare. Decisi di sfruttare la cosa a mio vantaggio, e lo assecondai. Iniziai a baciarlo, prima lentamente, poi più ferocemente. Sembrava apprezzare. Sentivo le sue mani ovunque, mentre la sua bocca mi mordeva il collo. Tutto ciò che riuscivo a provare era pena, pena per un ragazzo che aveva perso il controllo della sua vita, pena per un fallito, pena per un debole.

"Sei solo uno sporco maiale.". Glielo sussurrai vicino all'orecchio, il tono di voce fermo e severo. Raccolsi tutte le mie forze e gli tirai una ginocchiata ben assestata nei coglioni. Lui prese a lamentarsi, i tempi di reazione troppo lenti.
Corsi via, le lacrime che bruciavano in gola.
In fondo al lungo corridoio color verde menta c'era mio fratello, che parlava con Ryan.

"Cazzo." Si voltarono contemporaneamente, e capirono.
Alexander, anche se era uno stronzo e un deficiente, non avrebbe lasciato correre, lo capivo dai suoi occhi iniettati di sangue, e dai suoi pugni così stretti da far diventare bianche le nocche. Entrò a passi svelti e sicuri in quella fottutissima stanza, socchiudendo la lucida porta di mogano alle sue spalle. Avrebbe onorato il suo soprannome. Non veniva chiamato 'Pitbull' per caso.

Riemersi dai miei pensieri sentendo una voce, che mi chiamava con insistenza. Ryan mi afferrò delicatamente le spalle, scuotendomi quel tanto che bastava a riportarmi indietro. Mi guardò per un tempo che mi parve eterno, la preoccupazione nei suoi fantastici occhi, che avevano assunto una tonalità più scura, quella del mare in burrasca.
Mi sentii appoggiare una giacca sulle spalle. Porca troia, ero nuda. Il colore delle mie guance assunse velocemente una tonalità più scura, un brivido gelido mi percorse la schiena. Ryan mi condusse velocemente fuori da quell'inferno, la sua mano ben salda nella mia. Ci fermammo appena fummo lontani abbastanza da non essere notati. Sentii le lacrime bruciarmi in gola, e mi ripormisi di non cedere davanti a lui, ma mente e corpo sembravano scollegati, e le mie guance iniziarono velocemente a inumidirsi. Scoppiai a piangere come scoppia un temporale in piena estate. Le lacrime della stessa sostanza del mare.
Ryan mi prese fra le sue braccia, mi sentivo al sicuro. Per la prima fottuta volta in tutta la mia vita mi sentivo al sicuro. Non avevo paura, stavo bene. Sarei rimasta così per sempre, ascoltando il suo cuore, che batteva lento e regolare all'unisono col mio.

Col profumo del mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora