Capitolo Uno- Irrequietezza

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-È ancora lì?- Gli domandò la sorella, trattenendo le risate, osservando quanto fosse ridicolo da spaventato.
Il fratello se ne stava curvo, rannicchiato sulla sedia girevole e con gli occhi nascosti tra le fessure della tapparella che spiavano tutto con occhiate veloci e fulminee, le orecchie tirate all'insù in guardia, come quelle di un felino o un coniglio sull'attenti che scruta il pericolo.

-Ti ho detto un milione di volte che non devi entrare in camera mia senza permesso, razza di idiota.- Disse a denti stretti, cercando di non perdere di vista l'oggetto delle sue attenzioni e delle sue inquietudini.

-Capisco che il fratellino è in piena età ormonale e quindi ha bisogno di sfogarsi, ma abbi la decenza di non sembrare un sociopatico.-
La sentì trattenere le risate, la stronza di sua sorella era tanto intelligente quanto rincretinita, davanti ai suoi ed ai parenti era tutta perfettina con ottime prospettive per il futuro, poi veniva da lui a cagargli il cazzo.
Doveva pur sfogare la cattiveria che tratteneva davanti agli altri, non era così dolce e carina come voleva dimostrare.

-Mi pare che mamma volesse congratularsi per qualche altra cagata di premio o borsa di studio che hai vinto. Perché non vai a scassare le palle a lei?- Ringhiò scontroso.
Anche lui aveva dell'ira repressa che sfogava solo davanti alla sorella.
Il loro rapporto si basava su questo, usare l'altro/a come sacco da boxe per sfogarsi. Per il resto, sembravano perfetti, forse sarebbero andati davvero d'accordo se non avessero avuto tanto di negativo in loro, ma non aveva importanza, non agli occhi loro e di tutti.

-Simone il Sociopatico del cazzo.-
Lo salutò elegantemente lei.

-Vanessa la Perfettina di sta minchia.-
Ricambiò con altrettanta eleganza.

La osservò dal riflesso della finestra sbattere la porta ed andarsene via dalla sua camera, finalmente.
Non la odiava, ma il loro rapporto di "buttarsi merda a vicenda" non lasciava alcuna possibilità di affetto fra di loro.
Inoltre avevano molti anni di differenza; lui era un 14enne in piena crisi adolescenziale, pieni di dubbi ed odio verso il mondo, normale per un neo-adolescente ai giorni loro, mentre lei era una donna di 20 anni-quasi-, stressata dall'Università ed in cerca di lavoro ed un appartamento, il più lontano possibile da lui e dalla sua famiglia.
Probabilmente le sarebbe andato bene anche una stanzetta piena di muffa in culo al mondo, l'importante era non vederlo.
Vedersi, per loro, significava riaccendere la fiamma di odio e dolore che si erano conservati durante tutta la giornata.
Non avevano stipulato un patto, era sempre stato così e basta.

Gli occhi di Simone ruotarono per l'infantilità della sorella, poi ripresero a cercare ciò che stavano osservando prima che Vanessa irrompesse in camera sua.
Sentì il cuore sprofondare quando, strabuzzando gli occhi e cercando velocemente con lo sguardo, non la trovò più nel giardino della casa di fronte a bighellonare; le mani iniziarono a sudargli dalla paura, alzò bruscamente un po' la tapparella per cercarla meglio, dov'era finita quel mostriciattolo?

Da quando, qualche settimana fa, era arrivata nel suo quartiere, non era più riuscito a chiudere occhio, ogni volta che usciva di casa incontrava il suo sguardo sorridente ed inquietante che lo salutava, sempre sull'uscio della casa di fronte, alla stessa ora, lei era lì.
Alzava la mano sinistra e la agitava in un semplice 'ciao', gli occhi, due pozzi neri, che lo affogavano e trascinavano nell'oscurità eterna, sempre sorridenti ed amichevoli all'apparenza, ma che gli trasmettevano paura e negatività.
Certe volte gli aveva anche sorriso, un po' bambinesca, lasciando trapariee dei denti ricoperti d'argento e metallo, persino il suo sorriso ricoperto da una macchinetta era inquietante!

Non le aveva mai risposto, spesso distoglieva lo sguardo e se ne andava per la sua strada, o abbozzava una specie di sorriso, anche se evidentemente finto ed impaurito.

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