Prologo

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Sento delle voci in lontananza, ma non riesco a distinguerle. L'unica cosa quasi lucida nella mia mente è la vista delle mie ginocchia davanti il soffitto scuro che si muovono frenetiche, e la presa forte e decisa delle sue mani sul mio interno coscia.
Sento i suoi fianchi che sbattono con premurosa violenza contro i miei, e da lontano una voce che grida.
I suoni sono confusi come fossero un'eco di un' altra dimensione. Le urla sono molto alte, ma dolci ed ovattate: una musica di parole confuse. Non riesco a capire. Realizzo piano che quelle parole in realtà sono solo una. Un nome solo, ripetuto come una preghiera, come una supplica.
In un breve lasso di lucidità riesco a prendere un briciolo di controllo. Capisco che sono io ad urlare, ad invocare il suo nome, con tutto il fiato che ho in gola. Più e più volte.
Allungo una mano e raggiungo il lembo del colletto della sua camicia aperta. Lo afferro con forza e lo tiro verso di me.
Lui si piega in avanti per assecondare la mia volontà, ed io sento le mie interiora spinte velocemente ancor più verso l'alto. Sposta le sue mani verso l'alto fino a raggiungere le mie caviglie, passando per le ginocchia. Una carezza violenta, calma ed appagante, e sento la mia voce raggiungere toni ancora più alti.
...Sebastian...Sebastian... Continuo a ripeterlo, non riesco a fermare la mia bocca.
Mi aggrappo più che posso alle sue spalle con le mie braccia.
Sento ovattato, il cigolio del letto che frenetico si agita al ritmo delle nostre spinte.
Le lenzuola di seta si increspano sempre di più guidate dai nostri movimenti.
Apro gli occhi, guardo avanti a me.
Il suo busto perfetto come una scultura greca, ondeggia avanti ed indietro accompagnando l'estatica invasione dentro il mio corpo.
Vedo i suoi occhi cremisi fissarmi, ma il suo volto non è disteso e rilassato come al solito. Una piccola smorfia di piacere distorce i suoi lineamenti eleganti
Lascia la presa da una mia caviglia e muove con esasperante lentezza una mano verso il mio inguine, passando prima a torturarmi un capezzolo.
Con misurata calma comincia a massaggiarmi tra le gambe, ed io mi sento pervaso da una sensazione cocente iniziando a sentire l'impulso di liberarmi di tutto questo calore.
Evidentemente riesce a percepire questo mio desiderio, e aumenta le spinte.
Più veloce: ancora, ancora, ancora...
Sento dentro di me una piacevole invasione calda, e io comincio ad urlare e a muovermi sempre più freneticamente fino a che mi sciolgo nella sua mano.
«Signorino» mi sussurra sensualmente ad un orecchio. La sua voce è rotta dall'orgasmo appena avuto, ma non perde la sua studiata compostezza.
«Togliti» Gli ordino perentorio, facendo appello a quel briciolo di forza che mi è rimasta, per spostarlo da sopra di me. Con quest'ultima mossa, perdo i sensi per la stanchezza, ma prima di cadere nel mio sonno mortale, mi sento rispondere: « Si, mio Signore.»

Sulla capitale marciava una coltre di nubi cariche di sventura. Nell'aria non si percepiva solo l'odore della pioggia, ma anche quello della morte che avanzava insieme all'oscurità tra le strade di Parigi.
Un uomo che portava sulle spalle un grande baule bordeaux con rifiniture dorate, si trascinava solenne verso un vicolo buio. Entrò sotto un arco e bussò ad una porta.
Aspettò pazientemente osservando i mattoni scuri ed umidi di quella stradina. Desolanti.
Non c'era nemmeno una finestra illuminata, nemmeno un lampione.
Ma una lieve luce rischiarò i contorni della porta davanti a lui, ed una donna di mezza età dagli occhi vitrei e gli abiti dismessi aprì la porta e lo fece accomodare con un cenno della mano.
L'uomo si addentrò in quella saletta cupa, non riuscendo a distinguere nulla nonostante la luce del candelabro tenuto in mano dalla donna.
Posò con notevole sforzo il baule per terra e si tolse pigramente il pesante cappotto beige che indossava, lasciandolo cadere con noncuranza sul baule. Portò una mano alla visiera dell'alto cappello a cilindro corvino spostandolo di qualche centimetro, ma senza toglierlo.
La donna notò sotto quel cappello un occhio inquietante, di un affascinante quanto spaventoso nero.
«Infine l'hai portata!» Esultò un giovane ragazzo dall'aspetto trasandato ed i lunghi capelli argentati che entrò con passi larghi, ma leggiadri, nella stanza.
«E' arrivata ieri da Londra. Avrei voluto portarvela prima, Lord Faure, ma la pigrizia me lo ha impedito» Spiegò scocciato l'uomo con l'alto cappello.
«Fa nulla, fa nulla, caro Shown. L'importante è che ora sia qui con me. Ma ti prego resta a cena!» Rise il ragazzo con aria felice. Poi si rivolse verso la donna «Marielle! Prepara qualcosa di caldo per il nostro caro Shown, che si è preso il disturbo di fare questo viaggio!».
Marielle si diresse verso una porticina e vi scomparve dentro, dopo aver posato il candelabro su di un tavolo di legno vecchio e logoro.
Shown non dava segni di voler rimanere per cena, ma non aveva nemmeno voglia di andarsene sotto quella pioggia. Aveva fatto una fatica bestiale per portare il baule sotto quell'acqua scrosciante, che appesantiva ancora di più il carico, in oltre era freddo... chi glie lo faceva fare di tornare alla propria casa con quel tempo? Magari si sarebbe fermato anche a dormire, ma avere intorno Faure era stancante. Avrebbe posticipato la decisione.
«Shown carissimo, hai portato a termine anche l'altro incarico che ti avevo affidato?» Si incupì il giovane.
«Si. Ora Lord Phantomhive si trova in Italia, per la precisione a Firenze... Quel dannato Sebastian è con lui.» Disse Shown sbadigliando.
«Benissimo!!!» Urlò gioiosamente Faure facendo sobbalzare l'altro. «Non vedo l'ora di rivedere il caro Seb.» Aggiunse, sghignazzando con un viscido sorrisetto che gli piegava le labbra.

LA LACRIMA DEL DIAVOLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora