Simulazione di Seconda Prova

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A partire dal 1900, le culture hanno avuto la possibilità di confrontarsi in modo sempre più aperto in parte per i flussi migratori, in parte per la crescente facilità di scambio di informazioni e di merci da posti molto distanti dovuta all'introduzione di tecnologie come il telegrafo, il telefono, i mezzi di trasporto più veloci e internet. Il concetto di "Stato" come qualcosa di rigido, forte, che esercita una totale sovranità sulla popolazione si è perso gradualmente proprio mentre viaggiare e vivere in un altro luogo è diventato più semplice e alla portata di tutti. Da questo punto di vista è come se i confini fisici non corrispondessero più a quelli culturali: oggi in ogni Stato è possibile trovare dei cittadini di origini molto diverse. Questo può essere visto come un vantaggio perché lo scambio culturale arricchisce molto, ma come prendere questa nuova realtà? E' meglio creare una totale integrazione o riconoscere e mantenere le differenze nonostante possano creare problemi in una società "abituata" a certi schemi? Bisogna garantire ai musulmani di pregare cinque volte al giorno anche durante le ore lavorative per rispettare il loro credo o "occidentalizzarli" e negare questa possibilità? E' più corretto conformare l'abbigliamento nelle classi con divise, uniformi e stabilendo addirittura una capigliatura uguale per tutti come avviene in Cina o permettere ad ognuno di esprimere il proprio carattere e la propria fede attraverso l'abbigliamento nei luoghi pubblici? E che cosa ne pensano le minoranze etniche?

Innanzitutto bisogna sottolineare che questi scambi dovuti alla globalizzazione oggi sono ancora troppo ininfluenti per permettere un'utopistica società in cui si ha una perfetta integrazione dal momento che i dati mostrano come si tratti sempre di una piccola frazione della popolazione (in Italia, come afferma la rivista Focus di Aprile 2017, solo il 9% consiste in immigrati, ma se intervistate le persone rispondono che la cifra si aggira intorno al 35%, questo potrebbe essere dovuto all'influenza dei media) e che questi preferiscono mantenere le loro origini e non cambiare stile di vita creando così uno Stato in cui coesistono culture differenti che non interagiscono anche per colpa delle istituzioni che spesso non favoriscono l'integrazione, con la possibilità di avere episodi di discriminazione e di bullismo non solo da parte delle popolazioni che li ospitano, ma anche delle famiglie stesse che, come rende noto la cronaca recente, a volte usano la violenza sui figli che preferiscono avere uno stile di vita occidentale che seguire le tradizioni della famiglia.

Come N. J. Smeller fa notare ne "Manuale di Sociologia", le differenze tra culture sono infinite, ma gli antropologi sanno che queste sono solo divergenze superficiali e che le culture hanno moltissimi aspetti in comune: George Murdock è riuscito ad elencarne oltre sessanta tra cui lo sport, l'ornamento nel corpo, il lavoro cooperativo, la danza, l'istruzione, i riti funebri, la distribuzione dei doni, il tabù dell'incesto, il linguaggio, i riti religiosi e la fabbricazione di utensili. Levi-Strauss stesso notò dei tratti comuni a tutte le culture e contestò la concezione di "razza umana" e di culture inferiori: non esistono popoli bambini, se non possiamo comprendere una cultura non dobbiamo giudicarla come primitiva. Andò contro il tipico etnocentrismo occidentale dimostrando come le opere derivate dalla cultura non sono soggette ad evoluzione: un utensile non genera un nuovo utensile. Da queste osservazioni nasce però un grande dilemma, come fa presente T. Todorov ne "La paura dei barbari", ossia cadere negli eccessi e da un lato assolutizzare la propria cultura e ritenere di saper discernere l'universalmente giusto, ritenendosi quindi in diritto di invadere i paesi degli altri per modernizzarli e farli godere degli stessi vantaggi che si reputano essere frutto del vero progresso con lo stesso spirito che mossero i crociati alla guerra santa; dall'altro accettare qualsiasi cosa perché lo si fa nelle altre culture, quindi poter ammettere la pena di morte e la tortura solo perché e praticata in alcune società.

E' un tema dibattutissimo, come anche è scritto nella seconda uscita del bimestrale L'Ateo dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti del 2017: le unioni civili sono state approvate come una sorta di surrogato al matrimonio senza volerle veramente riconoscere come tali, approvando solamente pochi diritti essenziali, ma cosa succederebbe se iniziassero ad immigrare culture che hanno un concetto di famiglia totalmente diverso dal nostro? Ci sono culture in cui non esiste la figura del padre e le donne accudiscono i figli insieme alle madri e alle sorelle in modo autonomo, altre in cui esiste la poligamia. Come si possono garantire dei diritti e delle tutele anche a famiglie di questo stampo in una società come la nostra in cui nemmeno la cosiddetta famiglia "tradizionale" (ma tradizionale per chi, visto che non è un valore universale?) è protetta? Purtroppo capita tutti i giorni che le donne si vedono negare il lavoro per via di una gravidanza o contratti pessimi che non sono sufficienti per poter formare una famiglia, o addirittura lunghi periodi di stage non retribuiti. E' compito dello Stato garantire in ogni caso quante più tutele possibili per proteggere le minoranze e al contempo garantire l'integrazione facendo frequentare ai bambini stranieri le scuole insieme a bambini "indigeni" sperando da un lato di aiutare a far imparare meglio la lingua e di integrare socialmente i bambini, dall'altro di arricchire le classi con degli scambi culturali. Sono moltissimi, anche, gli studenti che frequentano un anno all'estero per esperienza personale.

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