Era una domenica quando i miei genitori mi portarono qui. Avevano paura di me, dicevano. Avevano paura del loro stesso figlio, o meglio, della mia malattia.
Avevano paura che io potessi fare del male a loro.
Non sono stato un bambino normale quando ero piccolo, sapevo di aver qualcosa che non andasse. All'inizio lo sapevo solo io, poi lo scoprirono i miei compagni di classe, i loro genitori e, infine i miei, che decisero di portarmi in questo centro psichiatrico a soli 11 anni, ora ne ho 23.
Sono qui perché ho una sindrome maniaco-depressiva. In poche parole sono bipolare, di 1º tipo, ovvero:
-Non riesco a dormire quasi mai
-Sintomi depressivi
-Fuga delle idee e bruschi cambiamenti di pensiero
-Scarso giudizio
-Irrequietezza
-Aumento della libido, ovvero ho impulsi sessuali
Mi piace, anche, far soffrire le persone, ma non persone a caso, ma quelle che mi fanno qualcosa.
Indipendentemente da tutte queste cose, io so che infondo, molto infondo, qualcosa di normale ce l'ho. Ad esempio, come dicono i dottori, è già tanto che riesco a controllare, quasi, i miei istinti.
In questo posto ho anche degli amici, diciamo.
C'è Federica, che è psicopatica, malata di mente e poi c'è Robert che, invece, non abbiamo capito il perché sia qui, in realtà non lo sa nemmeno lui.
***
Domenica 14 maggio, 6:50
"Benjamin, sveglia, devi andare a lavarti" mi chiamò Lauren, ormai era così da tre anni.
"È mai possibile che, essendo passati tre anni, non ancora hai capito che non dorma?!" le chiesi acido.
"Mh, come siamo oggi" mi disse roteando gli occhi.
Mi alzo dal letto e prendo una nuova, stupidissima, tunica per poi andarmi a lavare.
"Bel culo Anna" dissi dandole uno schiaffetto.
"Non riesci proprio a contenerti eh?"
***
7:15
"Oh ancora questo schifo" dissi lamentandomi del pasto che avevo davanti.
Stavo per rovesciare il piatto a terra quando Lauren mi bloccò.
"Benjamin, sai cosa accadrà" mi disse Lauren stringendomi il polso
"Meglio no? Lo dicono sempre i dottori" le dissi tenendo sempre lo sguardo puntato nei suoi occhi.
Lasciò la presa.
"Attento a quello che fai" disse per poi andare via.
Ecco, ora è arrivato il momento che odio di più. Dottori, psicologi che cercano di aiutarmi, senza risultato.
"Come stai?" mi chiese Alfred, lo psicologo.
"Come sempre" gli dissi.
"Specifica"
"Sto bene"
"Non stai bene"
"E allora perché continui a chiedermelo ogni volta se sai già la risposta?"
"Allora, cosa vorresti fare oggi?"
"Vorrei uscire"
"Benjamin, lo sai che non si può fare"
"So controllarmi"
"Non abbastanza"
"Invece sì"
"Un altro giorno"
"Mi stai prendendo per il culo?" gli dissi urlando.
"Siediti" mi disse indicando la sedia.
Non lo feci.
"Allora, oggi andremo in giardino"
Sbuffai.
"Non ti piace l'idea?"
"Secondo te?"
Si fermò un attimo.
"Dammi solo 10 minuti"