XXVIII - FINALMENTE

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Camilla.
A scuola le ore passano in modo interminabile: grazie al cielo ho preso la sufficienza nel compito di matematica e il professore di ginnastica ci ha fatto correre per svariati minuti.
All'uscita Melissa mi blocca, domandandomi come sia andata la mia festa di compleanno: ovviamente la avevo invitata, ma a causa di un impegno ha dovuto rinunciare.
Da un lato forse è stato meglio così, si sarebbero create delle situazioni spiacevoli ed imbarazzanti siccome anche Leonardo era presente.
«È andato tutto bene.» proferisco allacciandomi la giacca.
«Tieni- mi porge un piccolo sacchetto dal quale fuoriesce una carta argentata- questo è il mio regalo. Auguri.»
Mi stampa un bacio sulla guancia, io la abbraccio e la ringrazio.
Non faccio in tempo ad aggiungere qualcosa che i miei occhi si posano su un motorino parcheggiato all'uscita: è indubbiamente quello di Leonardo.
Ma che ci fa qui?
«Io devo andare. Ci sentiamo, okay?» asserisco di fretta e furia, senza nemmeno ascoltare la risposta di Melissa.
Prometto a me stessa che mi scuserò, ma adesso devo capire cosa è venuto a fare a scuola.
Quasi tutti gli studenti sono usciti, ne rimangono pochi che si sono trattenuti e la maggior parte dei professori è già nella propria auto.
È strano vedere l'atrio vuoto, mi guardo attorno, ma di Leo nessuna traccia.
Procedo verso la segreteria, unico luogo dove potrebbe essere, e difatti lo trovo di spalle a parlottare con una delle bidelle.
I pantaloni attillati si adattano alla sua figura slanciata in modo perfetto e le sue mani affondano di tanto in tanto tra la folta chioma bionda.
Mi sento così stupida, non so nemmeno cosa diavolo io stia facendo ancora qui.
Ho troppa foga nel volerlo vedere di nuovo, non mi era mai capitato così intensamente.
Leonardo prende alcuni fogli che gli vengono consegnati e poi li mette in tasca dopo averli piegati in due: bella cura che ha degli oggetti, spero non tratti così anche me...
«Salve.» la sua voce calda trasforma il mio corpo in un unico tremito che però si allevia quando i suoi occhi si incastrano, ancora una volta, coi miei:«Ciao.» sussurra e mi stringe le guance tra le mani.
La sua bocca si allarga in un sorriso ed io mi limito a fare lo stesso.
«Scusa se ti ho seguito, ma avevo visto il tuo motorino qui fuori.»
Lui scoppia a ridere:«Ci avrei scommesso.»
Usciamo dalla stanza e procediamo verso l'uscita:«Non hai intenzione di riprendere con la scuola?» supplico con gli occhi grandi, mi farebbe piacere che tornasse, ma soprattutto dovrebbe farlo per sé e per il suo futuro.
«In questo momento non mi interessa, non ho alcuna voglia. Si vedrà più avanti, anche perché come ben sai ho bisogno di lavorare per mantenere la mia famiglia.»
La sua espressione è crucciata, non avrei dovuto infierire, era inevitabile che dovesse toccare l'argomento famiglia, il tasto dolente del suo ultimo periodo.
Giungiamo in prossimità del suo motorino e, dopo avermi chiesto se avessi gradito un passaggio, mi guarda negli occhi, come se avesse avuto un'illuminazione:«Ti ricordi che ti avevo detto che sarei passato oggi a darti il regalo?»
Annuisco e lo sprono a continuare:«Che ne dici di venire tu a casa mia? Ti preparo qualcosa da mangiare, ho fatto la spesa questa mattina.»
Penso ad Alessandro che dovrà pranzare da solo, mi dispiace, ma giuro che rimarrò da Leonardo solo per un'ora.
«D'accordo, ma tornerò presto a casa.»
«Tutto quello che vuoi.» dice mentre mi allaccia il casco.
Le sue dita scivolano sulle mie labbra e premono contro di esse poi, probabilmente non del tutto soddisfatto, mi stampa un bacio sulla bocca: chiudo gli occhi, anche se per pochi secondi, e il battito cardiaco aumenta in maniera esponenziale.
«Possiamo andare.» sussurra al mio orecchio, per poi sghignazzare a causa di una testata presa tra caschi.

***
Leonardo.
Mio padre non è in casa, non so quando tornerà, ma non mi interessa un cazzo.
Prima avevo fame, ora mi è passata, perché se Camilla è qua mi potrò nutrire di lei, dei suoi baci e del suo affetto.
La vedo togliersi le scarpe e posare lo zaino nella mia stanza, rimango qualche secondo a fissarla e quando si volta nella mia direzione capisco di non averlo fatto solo per qualche secondo: è più forte di me, non me ne accorgo del tempo che passo a guardarla, perché ogni volta sembra più bella della prima volta che l'ho vista in classe, con lo sguardo assente e talvolta scocciato, con quei capelli che le arrivavano sopra al seno, stimolando la mia fantasia e non solo.
«Mangiamo?» chiede allacciandomi le braccia in torno al collo.
«Sì, ora andiamo.»
«Mi porti in spalla al piano di sotto?» tira fuori il labbruccio, e solo Dio sa quanto vorrei morderglielo, carnoso e rosso.
«Al massimo ti porto in braccio- il suo sguardo è stupefatto, sembra felice- sul letto.»
Il suo entusiasmo sembra sfumare, ma non mi importa perché so che lo desidera anche lei.
Abbiamo lasciato in sospeso fin troppe cose, ieri, ed oggi le riprendiamo.
«Ma io ho fame!» esclama con un velo di delusione sul volto.
La sbatto al muro tanto che la sento sussultare:«Ti ho spaventata?» dico delicatamente tirandole il lobo dell'orecchio coi denti.
«No.» balbetta aspettandosi che io ci infili la lingua: detto fatto, piccola.
Dopo averla stuzzicata un po', la tiro su con forza e la faccio distendere sul letto, mettendola a suo agio il più possibile.
Non faccio in tempo a fare un minimo movimento che mi slaccia i pantaloni, tanto che mi sorprendo di essere già in mutande.
La lascio fare, voglio vedere fin dove ha intenzione di spingersi: la amo da morire, non riesco più ad aspettare.
Dopodiché mi leva anche la maglia, e appena le sue mani gelide mi sfiorano, comprendo quanto io stia andando a fuoco.
Chiudo gli occhi e mi mordo il labbro, lo faccio dall'inizio alla fine, perché per adesso non voglio lasciarmi andare troppo, mi vergogno ancora.
Le sue dita giocherellano con l'elastico delle mie mutande ed io onestamente non vedo l'ora che giocherellino col mio pene scoperto.
Lo sento durissimo, il bello è che non me l'ha ancora toccato.
Poi mi viene in mente il motivo per cui l'ho invitata qua: ma certo! Il suo regalo!
Voglio vederglielo indosso, so già che le starà benissimo ed io impazziró per l'ennesima volta.
Le sue mani ora premono contro la mia erezione ed io mi bagno inevitabilmente: sento di stare navigando, ma vorrei che tutto questo liquido riempisse la sua intimità.
«Aspetta, ti dó il regalo.» ansimo con la voce che oramai mi ha abbandonato.
Mi rizzo in piedi, ancora stordito per tutto ciò che è successo negli ultimi cinque minuti, e le porgo il sacchetto.
«Perché me lo dai ora?» proferisce con una nota di sconforto nella voce.
«Ora lo scoprirai, per favore aprilo.»
Mi piazzo dietro di lei, le cingo i fianchi, mentre il mio membro le si appoggia sul fondoschiena.
Camilla provoca un gran baccano nello scartare quello che le ho comprato, e dopo averlo guardato per qualche secondo, manifesta un'espressione sbalordita:«Ti prego, è stupendo!»
Mi si butta al collo e mi stringe fortissimo: non mi aspettavo questa reazione, forse non è abituata a ricevere qualcosa di simile, anche perché penso che morirei di gelosia se qualcun altro osasse regalarglielo.
«Provatelo adesso.» impongo accovacciandomi e cominciando a baciarle prima le gambe, per poi procedere fin sopra la schiena.
La sento irrigidirsi tutta e noto la sua pelle rabbrividire ogni qualvolta che le mie labbra si posano su di lei.
Arrivo alle spalle, gliele massaggio per un po', e delicatamente le sfilo prima la maglietta, poi il reggiseno.
Anche i pantaloni le cadono a terra e lo stesso vale per le mutande: la guardo così tanto che ho paura di rovinare quella dolce bellezza che le dipinge il corpo come farebbe un artista con le tempere.
«Vado in bagno a metterlo.» sussurra al mio orecchio ed io sprofondo letteralmente nel letto: mi sdraio e tengo un braccio dietro la testa.
Rimuovo le mutande, non ne posso più, mi sento troppo oppresso e il tessuto sembra cedere: ho il membro così in tiro che è diventato bordeaux, se mi tocca vengo subito.
Camilla fa il suo ingresso nella mia stanza e la mia temperatura corporea sembra aumentare sempre di più: sento di bruciare vivo, ma almeno sarei felice perché lei è qua con me.
«Allora, come sto?» proferisce strizzandosi i seni e passandosi la lingua sulle labbra.
«Mi stai uccidendo.» ammetto con la voglia a mille.

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